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 2015  gennaio 27 Martedì calendario

Il giuramento di Alexis Tsipras, senza Bibbia, benedizione ortodossa né cravatta. Lo ha fatto portando in dote al presidente della Repubblica Papoulias l’accordo con l’Anel di Panos Kammenos, la quale sarà pure contraria ad ogni piano di austerità, ma è nei fatti un movimento di destra nato da una scissione di Nd

Niente cravatta, fedele al vezzo anticonformista, ha preteso una cerimonia laica, senza la tradizionale benedizione ortodossa e senza posare la mano sulla Bibbia. E però allo stesso tempo ha messo nero su bianco un discusso patto di governo con i conservatori di Anel. Non ha perso tempo Alexis Tsipras: il giorno dopo le elezioni che hanno visto Syriza surclassare il centrodestra di Nuova Democrazia è stato nominato primo ministro, il più giovane della storia greca. Lo ha fatto portando in dote al presidente della Repubblica Karolos Papoulias l’accordo con la formazione di Panos Kammenos, la quale sarà pure contraria ad ogni piano di austerità, ma è nei fatti un movimento di destra nato da una scissione di Nd.
Lo si era capito già prima della festa davanti all’università, che a Syriza il 36,3 per cento finale non sarebbe bastato per conquistare la maggioranza assoluta. Così infatti è stato, con la soglia minima di 151 eletti fallito per soli due seggi. Niente psicodrammi però, perché in mente (e in tasca) Tsipras aveva già l’intesa con i greci indipendenti (Anel), altri 13 seggi in cascina. Poteva fare diversamente? C’era solo un altro partito ancora tra quelli che hanno superato il quorum che in questi anni si era rifiutato di votare i memorandum voluti da Ue, Bce e Fmi, la famigerata Troika, ed era il Kke. Ma i comunisti, da sempre e con una certa pervicacia, si erano e si sono chiamati fuori rispetto a una qualsiasi forma di collaborazione con Syriza. L’altra alleanza possibile, quella con i neonati liberaldemocratici di To Potami, dava poche garanzie sulla politica economica. Lo sguardo rivolto ad Anel è stata quindi una scelta obbligata per il 40enne neo premier, che così rafforza la propria linea anti-austerity e oltretutto – molto pragmaticamente – si guadagna la non ostilità di due categorie storicamente temute a sinistra (i militari e la polizia).
La prima cosa che Tsipras ha fatto da premier, subito dopo aver giurato, è stata la visita in un luogo simbolo della Grecia. Fiori in mano, sguardo serio e mano sul cuore, è andato a Kesariani, lì dove 200 combattenti greci nel 1944 vennero uccisi dai nazisti per rappresaglia dopo un attacco dei partigiani. Per i maligni, un messaggio alla Germania; per tutti gli altri, invece, un pensiero alla sinistra e al partito: il potere non ci ruberà l’anima. Resta da vedere come e se la strana accoppiata reggerà l’urto delle proprie contraddizioni. Kammenos ha posizioni agli antipodi di Syriza su molte questioni: diritti civili, immigrazione, laicità. È un nazionalista che dalla Germania vorrebbe miliardi di euro di risarcimento per i danni inflitti alla Grecia durante la seconda guerra mondiale; definì «nazisti» i falchi del rigore; e, altro scivolone verbale, accusò gli ebrei di pagare meno tasse. In favore di Anel – provano a guardare il bicchiere mezzo pieno in piazza Koumoundourou, la sede di Syriza – c’è il lavoro fatto in questi anni proprio insieme ai militanti della sinistra negli ambulatori sociali, nelle mense per i poveri, nei mercati di quartiere. Accanto a chi, insomma, ha pagato di più lo scotto di una crisi i cui effetti sono ancora sotto gli occhi di tutti.
Tsipras ostenta sicurezza. La priorità – ha ripetuto ai suoi – è la battaglia campale contro il rigore e non è il momento di fare gli schizzinosi. Si parla di un esecutivo a breve termine (due o tre anni per riuscire ad aumentare stipendi e pensioni e creare lavoro con un intervento pubblico), oppure a lunga gittata ma con la tecnica dei due forni (sui diritti, ad esempio, sono possibili convergenze con socialisti e comunisti). Le file di Syriza il premier le ha già serrate in anticipo: nel comitato centrale si vota in libertà – è il documento che ha fatto firmare ai candidati – ma una volta che la maggioranza ha deciso, in Parlamento si va compatti. Per chi non ci sta, la porta è sempre aperta.