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 2014  dicembre 18 Giovedì calendario

Il numero uno di Etihad Hogan spiega la strategia per il rilancio di Alitalia. Aumenteranno le rotte e cresceranno gli standard di ospitalità per riportare il marchio a livello globale. La rete sarà mondiale: più collegamenti in America Latina e con l’Asia, Sky Team garantirà la presenza negli Usa. E in Italia saranno rafforzate le tratte con le grandi città

 «Quando giochi a rugby sai che prima di entrare in campo devi prepararti al meglio, se vuoi vincere la partita». James Hogan, numero uno di Etihad, australiano doc, ex “avanti” sui campi di palla ovale, l’uomo che ha deciso di puntare su Alitalia, spiega perché si sia lanciato nella pericolosa mischia di una linea aerea quasi fallita, superando difficoltà che parevano insormontabili.
In una intervista esclusiva il manager parla dell’investimento in Alitalia. È appena tornato trafelato da Fiumicino in una giornata segnata dal solito caos del traffico di Roma, città che nonostante tutto Hogan definisce «straordinaria».
Allora mister Hogan, perché Alitalia? Ma chi ve lo ha fatto fare?
«Ce lo ha fatto fare la certezza di poter mettere in pratica il nostro gioco in maniera pulita, sapendo che i risultati arrivano quando sei preparato e messo nella condizione di potertela giocare. Abbiamo avuto una prima partita, per chiudere l’accordo: è durata dodici mesi di trattative a volte molto aspre. E abbiamo messo in fila tutti i nodi che avremmo incontrato e abbiamo cercato di affrontarli al meglio. Per vincere questa sfida avevamo bisogno di essere preparati e motivati. E noi lo siamo. It’s business. Lei sa che da ex giocatore di rugby non entro sul campo di gioco tanto per partecipare. No, perché se gioco lo faccio per vincere. Ma in questo caso se ce l’abbiamo fatta è stato grazie all’impegno e alla responsabilità di tutti, comprese la nostre controparti: il governo Renzi, il ministro dei Trasporti, le banche, i sindacati lo hanno compreso e va dato loro atto».
Quali problemi ha affrontato sul suo percorso italiano?
«Nonostante tutti i suoi punti di forza, la vecchia compagnia non era profittevole. Cioè nelle condizioni in cui l’abbiamo trovata non sarebbe mai stata in grado di rialzarsi, di diventare una realtà capace di competere con le grandi. Il problema principale è stato quindi quello di creare le condizioni affinché il rilancio potesse avere una concreta possibilità di successo».
Quindi lei crede che oggi Alitalia possa sfidare a viso aperto gli altri big dei cieli?
«L’Italia merita un vettore capace di portare in giro per il mondo l’immagine che si è conquistata. Oggi per fortuna ci sono le condizioni per dire che Alitalia può essere questo vettore, che ce la può fare, grazie a un eccellente management team guidato da Silvano Cassano e con un cda di grande qualità. E forse qualche nervosismo che vedo circolare in Europa è proprio dovuto a questo».
Detta così sembra una partita semplice da giocare. Anzi, in Italia molti già pensano che la questione Alitalia sia praticamente archiviata.
«No assolutamente. Per questo sono previsti tre anni per arrivare ad un bilancio in positivo. E anche le quotazioni del petrolio possono aiutare ma non sono decisive oggi. Il primo passo era quello di mettere Alitalia nelle migliori condizioni per proseguire il suo cammino e questo è stato fatto. Il lavoro per Alitalia sarà duro e occorre restare coi piedi per terra».
E degli esuberi cosa dice?
«Noi siamo abituati ad assumere, non a licenziare, e non è mai piacevole veder mandare a casa dei dipendenti, ma siamo stati costretti a chiedere un ridimensionamento per Alitalia perché altrimenti in pochi mesi vi sarebbe stata una nuova crisi, con conseguenze occupazionali peggiori. Ora starà ad Alitalia giocare la sua partita, sapendo che il suo piano industriale potrà aver successo solo a determinate condizioni e la dimensione corretta è una di quelle cruciali».
Che ruolo ha Alitalia nella strategia di Etihad?
«Intanto Etihad ha una strategia unica, differente rispetto a tutti i suoi concorrenti. Abbiamo una crescita organica, lavoriamo molto col code sharing e investiamo anche in altre compagnie aeree. Operiamo in 105 città del mondo con oltre 100 aerei e abbiamo accordi con 47 vettori in sei continenti. In Europa siamo azionisti di minoranza di due importanti vettori: Air Berlin e Air Serbia e stiamo per finalizzare i nostri investimenti in Darwin e in Alitalia. Quando abbiamo guardato all’Italia abbiamo preso in considerazione prima di tutto i suoi punti di forza, il suo mercato, il terzo in Europa. Con Alitalia viaggiamo da Roma e Milano verso Abu Dhabi e lo faremo anche da Venezia, Bologna e Catania in direzione di un network molto ampio che si estende principalmente a Est dove l’economia si espande. Alitalia dal canto suo ha una forte presenza in Sud America così come Sky Team è solida nel Nord America».
Ci saranno ricadute positive per il sistema Italia?
«Per gli italiani è fondamentale avere una compagnia nazionale di qualità, che funzioni e di cui essere fieri. L’ultima parola l’avranno i clienti, che noi in Etihad preferiamo chiamare ospiti, ma sono certo che Alitalia riuscirà a essere competitiva, partendo dalla qualità del servizio. Tutto quello che oggi viene messo in pratica sui voli Alitalia dal 1 gennaio sarà via via elevato agli standard qualitativi di Etihad, i più alti nel mondo. Vi saranno poi benefici di sistema. Penso al Nord Italia, dove con Alitalia lavoreremo per sviluppare le attività negli scali di Malpensa e di Linate, e più in generale ad un aumento dei flussi turistici dalle economie emergenti, basti pensare ai 40 milioni di indiani che viaggiano regolarmente».
Se questo progetto avrà successo ci saranno delle ripercussioni positive anche sul fronte del lavoro? Lei crede che si tornerà ad assumere dipendenti?
«Sì, con una Alitalia riposizionata, ristrutturata e con un marchio competitivo a livello globale. Vorrei anche ricordare che in queste ultime settimane Etihad ha assunto 70 piloti e 100 tecnici italiani».
Cosa pensa della crisi che sta colpendo le grandi dei cieli europei schiacciate tra low cost e le tre big del Golfo ovvero voi, Emirates e Qatar?
«Penso che non vi sia sufficiente consapevolezza del fatto che il trasporto aereo è ormai un business globale. Ma ci tengo a precisare che rispetto alle altre compagnie del Golfo, Etihad si distingue perché in Europa ha investito e ha permesso di salvare decine di migliaia di posti di lavoro, diretti e nell’indotto».
In Europa Lufthansa vi sta facendo una guerra senza quartiere.
«Le compagnie europee come Lufthansa, nate nel dopoguerra, oggi si lamentano dell’ingresso di nuovi competitor. Queste stesse compagnie ieri erano delle aziende di Stato che hanno usufruito di sovvenzioni ed ereditato infrastrutture. Lufthansa, in particolare, prima o poi dovrà sottoporsi ad un percorso di dura ristrutturazione come hanno fatto Iag e Alitalia nei mesi scorsi. Noi invece siamo partiti da zero 11 anni fa, abbiamo ricevuto un capitale di avvio ma poi abbiamo dovuto contare solo sulle nostre forze, costruendo un forte marchio e assumendo migliaia di persone».
Sta pensando di fare ancora shopping di compagnie? Air France, ad esempio, vola in cieli turbolenti...
«No, assolutamente. In questo momento ci basta quel che abbiamo messo in cantiere con Alitalia che sono certo diventerà una storia di successo».
Un’ultima domanda: siete pronti a impegnarvi nella sponsorizzazione di eventi culturali e sportivi?
«Sì. Dove operiamo abbiamo sempre investito. Anche in Italia, come nel resto del mondo siamo pronti a sostenere cultura, sport ed eventi popolari. Il primo esempio è l’Expo di Milano dove insieme ad Alitalia avremo una importante partecipazione e che sosteniamo con un programma di comunicazione sui nostri voli».