Corriere della Sera, 27 novembre 2014
Il primo a lasciare è stato il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli. Poi è trapelata la notizia delle probabili dimissioni di Lorenzo Codogno, titolare di una posizione chiave al ministero di via XX settembre. Cosa sta succedendo al Tesoro?
Prima ha gettato la spugna il commissario alla spending review, Carlo Cottarelli: a Beppe Severgnini del Corriere ha confessato tutte le difficoltà che ha dovuto affrontare. A cominciare dai burocrati che non gli aprivano i cassetti. Poi è trapelata la notizia delle probabili dimissioni di Lorenzo Codogno, dirigente del Tesoro titolare di una posizione chiave al ministero di via XX settembre. Ovvero, quella di capo della direzione dell’analisi economico-finanziaria: per capirci, i fondamentali della legge di Stabilità. Ma non solo. Fra i compiti degli uffici diretti da Codogno c’è anche quello di tenere «i rapporti con le istituzioni dell’Unione europea e con gli organismi internazionali nelle materie di competenza». Per quanto ufficialmente non si conoscano le ragioni della decisione, indiscrezioni di stampa circolate nelle scorse settimane parlano di alcune differenze di vedute. Così significative da rendere inutili anche i tentativi del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan per convincerlo a non mollare quell’incarico.
Niente a che vedere, va precisato a scanso di equivoci, questo divorzio ha con la circostanza che Codogno fosse stato ingaggiato al posto di Arrigo Sadun nel 2006 dal governo di Silvio Berlusconi, quando ministro era Giulio Tremonti, giusto poche settimane prima delle elezioni poi perdute dal Cavaliere. Il direttore dell’analisi economica, del resto, era stato successivamente confermato dal secondo governo di Romano Prodi e dal successivo esecutivo di Berlusconi, come anche dai governi di Mario Monti ed Enrico Letta.
Una storia del tutto simile a quella del capo del Dipartimento delle Finanze Fabrizia Lapecorella. La quale, arrivata a ricoprire quel posto nel 2008 con Berlusconi, è poi rimasta anche con Monti e Letta. Per essere riconfermata, al pari di Codogno, anche dal governo di Matteo Renzi.
Ma la similitudine consiste pure nel fatto che da mesi periodicamente riemergono le voci di una sua possibile uscita. Già in estate, dopo la nomina di Giuseppe Pisauro al vertice dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, si era parlato persino di un possibile trasferimento di Fabrizia Lapecorella a capo della Scuola superiore di Economia e Finanza, la ex Vanoni.
E le voci non si sono mai sopite del tutto, soprattutto in considerazione del ruolo chiave che ha anche questa direzione del ministero di via XX Settembre nel momento in cui c’è in ballo la delega fiscale. Un passaggio decisivo per il governo, a cui sta lavorando l’ex sottosegretario del governo Monti Vieri Ceriani, ora consigliere di Pier Carlo Padoan, che con Fabrizia Lapecorella non ha mai avuto particolari attriti. Tanto che qualcuno arriva a fantasticare che l’eventuale avvicendamento della direttrice delle Finanze non resterebbe senza conseguenze.
Bisogna ricordare che le strutture operative del nostro fisco sono state già investite da un cambiamento radicale. È davvero sorprendente per le modalità con cui è avvenuta la nomina di Rossella Orlandi al vertice dell’Agenzia delle entrate in sostituzione di Attilio Befera che aveva lasciato per raggiunti limiti di età.
La scelta di Padoan, al quale spetta il compito di proporre il nome del direttore, era infatti caduta sul numero due della stessa Agenzia, Marco Di Capua. La sua proposta era stata già regolarmente formalizzata: ma anziché il suo nome, dal Consiglio dei ministri è uscito quello di Rossella Orlandi, toscana di Empoli, direttrice delle Entrate in Piemonte. Con la benedizione, sostengono i bene informati, dell’ex ministro diessino delle Finanze Vincenzo Visco.