Libero, 27 novembre 2014
Perle d’espoir, la Ong francese che finanziava il jihad. Donazioni e aiuti finivano nelle tasche dei miliziani dell’Isis. Il caso denunciato da Le Monde
Ha un nome tenero, conciliante, quasi misericordioso. «Perle d’espoir»: perla della speranza. I suoi manifesti non possono che attirare la compassione di colui o colei che li guarda. Bambini siriani e palestinesi, dal volto martoriato e gli occhi tristi, che implorano aiuto a quell’Occidente così lontano da quello che sta succedendo in Medio Oriente. «Venite, la Siria ha bisogno di NOI, e noi abbiamo bisogno di VOI», si legge su uno di essi. Ma dietro la patina di associazione umanitaria e caritativa, con la quale «Perle d’espoir» si era presentata nel 2012 alla prefettura di Parigi, si nasconde l’ennesima fonte di finanziamento occulto al jihad.
Lo rivela Le Monde, l’affaire che sta scuotendo la Francia e che riporta sotto i riflettori la triste realtà delle false Ong travestite per perseguire fini tutt’altro che umanitari. La missione annunciata da «Perle d’espoir» al momento della sua nascita, due anni fa, era quella di soccorrere il popolo siriano e palestinese, tramite azioni reiterate nel tempo, atte a valorizzare l’educazione, le condizioni sanitarie e financo il «civismo» e la «democrazia», come si legge nel lungo reportage di Le Monde. Ma i servizi segreti francesi hanno scoperto che approfittando di quei convogli umanitari e delle numerose donazioni giunte da persone ignare di dove andassero a finire i loro soldi, l’associazione finanziava i miliziani dello Stato Islamico. A settembre, l’associazione aveva organizzato una campagna per attirare donatori, chiamata un «montone per l’Aid» – l’Aid El Kabir è per i musulmani la festa del sacrificio, durante la quale vengono immolati in nome di Allah migliaia di montoni – che aveva raccolto quasi diecimila euro. Soldi poi finiti nelle mani dei combattenti jihadisti. Secondo la Direzione generale della sicurezza interna (Dgsi), questo affaire illustra il labile quanto drammatico confine tra impegno umanitario e partecipazione attiva al conflitto siriano. Una confusione, sottolinea la Dgse, che ha spinto e spinge sempre più giovani francesi a partire per combattere la «guerra santa» in Siria accanto ai miliziani dell’Isis. Da venerdì scorso, i due fondatori dell’associazione, Nabil O., 22 anni, responsabile operativo, e Yasmine Z., 34 anni, presidente, sono sotto inchiesta con l’accusa di finanziamento al terrorismo e associazione a delinquere finalizzata al terrorismo. I loro profili Facebook, d’altronde, non lasciavano alcun dubbio sulla loro vicinanza al jihadismo: foto e video di decapitazioni e bandiere sventolanti dell’Isis imperavano sulle loro pagine. Con Nabil e Yasmine, sono in stato di fermo altri tre membri dell’associazione. L’affaire, scoperchiato da Le Monde, giunge a pochi giorni dall’annuncio del ministro dell’Interno, Bernard Cazeneuve, riguardante le cifre choc dello jihad in Francia. 1132 francesi sarebbero attualmente implicati nelle filiere jihadiste. 362 combattono in Siria e in Iraq tra cui 88 donne e 10 minori. 36 hanno già trovato la morte.