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 2014  novembre 27 Giovedì calendario

Al centro di una nuova mostra a Novara la domanda che l’uomo si pone da sempre: da dove veniamo? Ordine cosmico o Big Bang? Un racconto che ha inizio con l’Enuma elish, il grande poema di Babilonia

«La Luna non splendeva ancora, l’oscurità si estendeva dappertutto... Gli dei del Cielo e gli dei della Terra non c’erano». Così un testo di oltre 4 mila anni fa, della Terza Dinastia di Ur dei Caldei, la città di cui si favoleggia fosse originario Abramo. Circa un millennio dopo, il grande poema di Babilonia, l’ Enuma elish, si apre con le nozze tra Apsu, ovvero l’Abisso, e Tiamat, la madre del creato, che si congiungono dando vita appunto agli dei; forgiano il Sole e la Luna; fanno confluire le acque dolci delle profondità con quelle salate di superficie; ma «in alto i cieli non avevano nome, in basso la Terra non aveva parola che l’indicasse».
Con la forza della parola dall’indifferenziato nasce il cosmo, cioè l’ordine del mondo, che si rifletterà nelle istituzioni delle città-stato. Apsu si stanca presto dei suoi rumorosi figli, e con l’aiuto di Mummu, tuttofare a servizio del partito dell’Abisso, cerca il modo per sterminarli. Tiamat difende la prole, e Ea, il più «saggio e scaltro» dei suoi rampolli, si impadronisce del potere, diventa il nuovo Signore del Profondo, spaccia il genitore e butta in carcere il «malevolo» politicante.
Ben prima che compaia un Machiavelli a spiegare al Principe come si deve fare a ribellarsi per istituire un nuovo Stato! Nemmeno gli esseri umani hanno fatto ancora la loro comparsa; ma gli dei (sudditi di chi ora li governa) hanno bisogno di aiutanti che sbrighino per loro le più umili incombenze. Al contrario di quanto potrebbe suggerire il primo libro della Bibbia, donne e uomini qui non sono né dominatori né custodi dell’ambiente, ma creati per essere servi di servi, e le divinità li hanno voluti irrimediabilmente mortali perché non si facciano troppe illusioni.
I miti della Mesopotamia potrebbero sembrarci l’opposto della narrazione scientifica delle origini, per la quale il nostro universo è sbocciato da uno scoppio primordiale, il Big Bang: una densissima «palla di fuoco» avrebbe cominciato a espandersi e a raffreddarsi, prima ancora che le galassie e le stelle cominciassero a ornare il cielo delle configurazioni che noi scorgiamo quando fa buio.
Oggi la cosmologia scientifica ritiene di poter risalire nell’evoluzione dell’universo osservabile fino a pochi istanti da quel «botto iniziale». Ai tempi delle coraggiose congetture di Georges Lemaître e di George Gamow (rispettivamente anni Trenta e Quaranta del ‘900) la maggioranza dei ricercatori trattava tutto ciò come speculazione matematica lontana dalle possibilità di controllo empirico; però, in qualche decennio le cose sono cambiate. Come scrive Martin Rees, Astronomo Reale britannico in uno dei suoi più brillanti libri, Prima dell’inizio. Il nostro universo e gli altri (tr. it. Raffaello Cortina, Milano 1998), «personalmente sarei disposto a scommettere dieci contro uno che il Big Bang c’è stato per davvero... La maggior parte dei cosmologi accetterebbe scommesse altrettanto forti, anche se credo che ci sia ancora una minoranza che non sarebbe d’accordo».
Ma l’idea dell’ordine cosmico e politico che emerge dal disordine è tutt’altro che morta. Per Rees e molti con lui, il principio non è mai un vero «principio», perché il nostro universo potrebbe essere stato prodotto dal collasso di un universo precedente, o da qualche altra «diavoleria». Il riferimento al Maligno è più che mai opportuno: i mitici creatori del mondo paiono tutt’altro che benevoli nei confronti delle loro creature. Già nei poemi mesopotamici la creatura può persino sfidare i creatori. Agostino di Ippona, alla domanda circa cosa facesse Dio prima di forgiare il mondo soleva rispondere che stava preparando l’inferno per coloro che ponevano tali scomodi quesiti.
Ma la comparsa delle capacità tecnologiche presso i nostri primitivi antenati, l’accoppiamento di tecnica e linguaggio, l’uso astuto della parola (sì, anche per ingannare, come sapevano fare Ulisse e Dedalo!), la pratica artistica che non si limita a copiare ma pretende di arricchire il mondo, la rappresentazione matematica della realtà, che unisce l’immaginazione della geometria e l’efficacia del calcolo, sono tutti aspetti (in un certo senso, potremmo dire da Prometeo in poi) dello sforzo incessante dei mortali di dare l’assalto al Cielo.
Si tratti dell’immaginazione degli scienziati nostri contemporanei o di quella degli antichi cantori di Grecia o di Mesopotamia, la creazione è rivoluzione permanente. Il momento iniziale è sempre adesso.