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 2014  novembre 24 Lunedì calendario

Segantini in mostra. La vita pittore delle Alpi, dalla sua terribile infanzia alla sua morte prematura

Un’infanzia terribile; scarsi studi e formazione assai poco dottrinale; vita breve, appena 41 anni; eppure, per lui, le Alpi sono state più «che la Provenza per Van Gogh, e Tahiti per Gauguin», come diceva Francesco Arcangeli; Carlo Carrà «giurava sulla sua arte come il vangelo della vera pittura moderna», e Primo Levi scriveva: «Ogni giorno, ogni quadro, era per lui una battaglia»; poi, «aveva ragione di dire di tornare all’umile margherita del prato, lasciando le arie di abili artistoni», affermava Umberto Boccioni. Per sommi capi, questo è stato Giovanni Segantini (1858 – 99): non soltanto «pittore delle Alpi» (dove dimorò a lungo), bensì maestro prima del divisionismo, poi del simbolismo. Milano, ove ha studiato e vissuto parecchio in gioventù, gli dedica la maggiore mostra che abbia mai avuto (Palazzo Reale, fino al 18 gennaio; a cura di Annie-Paule Quinsac, cat. Skira, che la produce con il Comune), 140 opere oltre a documenti, che provengono da tante collezioni private e molti musei, specialmente quello che gli è intitolato, a Saint-Moritz.
L’ADDIO
Perché Segantini, il cui cognome non aveva la «n» che egli sempre vi ha aggiunto, nasce ad Arco di Trento, che allora era Austria, ma italofona: rinuncia alla nazionalità (e per l’Italia sarà renitente alla leva), ma resta come apolide e vive, dopo un po’ di Milano e di Brianza, in buona misura in Svizzera, una baita al Maloja. Stava sempre in disparte; pochi amici: il pittore Emilio Longoni e Vittore Grubicy, critico e organizzatore d’arte, cui resterà sempre legato. Sposa Bice, sorella dell’ebanista ed amico Carlo Bugatti: avranno quattro figli. Con il terzo, Mario, e la donna che aiuta in casa, Barbara Huffer detta Baba, a settembre 1899 sale in una capanna a 2.700 metri, su un ghiacciaio dello Schafberg, per lavorare alla sua più grande realizzazione: un Trittico destinato, l’anno dopo, all’Expo di Parigi. Ma s’ammala: attacco di peritonite, i soccorsi non arrivano in tempo. I disegni per l’immensa opera non finita (ben dieci metri e passa di lunghezza), sono ora esposti in mostra.
I CAPOLAVORI
Li vediamo con i suoi quadri più celebri: tutti ispirati alla natura, ma senza retorica, esaltati dalla luminosità. Così, “Alla stanga”, lungo quattro metri e conservato alla Galleria nazionale d’arte moderna di Roma (e una ripresa in gesso nero, al museo nazionale di Praga), mentre è emigrata a Minneapolis “La raccolta delle zucche”; le svariate versioni dell’“Ave Maria a trasbordo”; le Alpi; i pascoli; le Madri. Vicini ai disegni, che preparano accuratamente ogni dipinto e ai primi esperimenti per il Trittico mai finito: pensava «di comporre un’opera grandiosa»; non ne ha avuto il tempo. La pittura è stata la sua (breve) vita: in gioventù aveva, per campare, impegnato anche le prime medaglie ricevute; il lusso non ha mai saputo dove stesse, pur se conservava uno stile alto-borghese; ma resta remoto dal mondo civilizzato. I ritratti e gli autoritratti ce lo tramandano con una grande barba abbastanza incolta: l’aria di un vate. I suoi sono piccoli piaceri: termina un quadro lungo due metri e mezzo, “L’aratura” che sarà esposto a Londra e Parigi e gli varrà una medaglia d’oro, e si fotografa sullo sfondo degli stessi monti, dopo l’ultima pennellata, fiero accanto alla moglie. Gli fanno un museo a Saint-Moritz a soli otto anni dalla morte: un po’, s’ispira al padiglione da lui pensato per l’Expo di Parigi. E ora torna a Milano, dove in pratica aveva iniziato a formarsi; ma da cui era fuggito, in odio alla moderna civiltà, per le Alpi, il luogo della vita pur senza mescolarsi ai contadini, quando già la città e alcuni intellettuali cominciavano già ad apprezzarlo.
LA TECNICA
Dipingeva dando colpi di pennello a cerchio; Previati ne è incuriosito. Studiava la luce: le sue opere, normalmente, sono assai luminose. Aveva grandi tenerezze: dipinge più volte “Le due madri”, una con il figlio in braccio e l’altra una pecora con l’agnellino, e qui ve ne sono tre versioni, una della Galleria milanese d’arte moderna. Le sue strane origini fanno sì che Italia, Austria e Svizzera se lo siano conteso; ma è fin troppo facile sentirlo «nostro». Artista difficile da paragonare ad altri: campione dei monti e del paesaggio più di chiunque, remoto dalle correnti e da ogni moda, da qualunque «ismo».