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 2014  novembre 21 Venerdì calendario

Il sistema italiano di prescrizione del reato è unico al mondo. La nostra specialità sembra essere quella di scappara dal processo. Lo dice il magistrato Piercamillo Davigo. «Solo da noi le leggi consentono di allungare i tempi per farla franca»

Il sistema vigente in Italia di prescrizione del reato è a dir poco singolare e la sua scarsa ragionevolezza è stata accentuata dalla riforma di cui alla legge 5 dicembre 2005, n. 251 (cosiddetta ex Cirielli), sicché anziché contribuire alla ragionevole durata del procedimento ne determina l’allungamento. La legge fissa un termine, superato il quale il reato si prescrive. Tale termine è di 6 anni dalla data del commesso reato per i delitti puniti con pena fino a 6 anni (minore per le contravvenzioni) e pari alla pena massima prevista per il delitto per le pene superiori (i delitti puniti con la pena dell’ergastolo sono imprescrittibili).   
Il compimento di determinati atti (ad esempio l’interrogatorio dell’indagato, le sentenze di condanna in primo o secondo grado) interrompe il decorso del termine di prescrizione, che ricomincia a decorrere dall’inizio. Però, tranne che per determinati reati o per i recidivi, “in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere” (in precedenza il tetto era della metà). (...)
Il pubblico ministero, allorché riceve notizia di un reato il cui termine di prescrizione è ad esempio di 6 anni, commesso 5 anni prima, dovrà procedere interrompendo il decorso della prescrizione, ma gli resteranno 2 anni e 6 mesi per procedere alle indagini preliminari, all’eventuale udienza preliminare e ai giudizi di primo grado, appello e Cassazione. (...)
Un simile sistema di prescrizione diviene infatti un potente incentivo per condotte dilatorie e per la presentazione di impugnazioni pretestuose da parte degli imputati o dei loro difensori, perché, se si riesce a far passare il tempo previsto dalla legge, si evita la condanna.   
Una diversa normativa, basata sul principio che, una volta iniziato il procedimento (rinvio a giudizio, o se proprio si vuole, almeno dopo la condanna in primo grado) la prescrizione cessa di decorrere (come avviene nel procedimento civile), o che, quantomeno, preveda limiti più elevati conseguenti all’interruzione e alla sospensione, farebbe venir meno l’interesse dell’imputato a prolungare il procedimento e quindi, in definitiva, concorrerebbe a ridurre la durata dei processi. Tanto più che la prescrizione è ambita più dagli imputati colpevoli che da quelli innocenti.   
In altri paesi (ad esempio Usa a livello federale) la prescrizione (tranne che per i reali imprescrittibili) è di 5 anni, ma cessa di decorrere dopo la richiesta di rinvio a giudizio. È questa l’ovvia via maestra. Infine, pur essendo la prescrizione rinunciabile da parte dell’imputato, non vi sono apprezzabili conseguenze (neppure di biasimo morale) per chi, ricoprendo cariche elettive, se ne avvalga in spregio all’articolo 54 della Costituzione, che impone ai cittadini che ricoprono cariche pubbliche il dovere di adempierle “con disciplina e onore”. Vi è disciplina e onore nel ricercare la prescrizione e nell’avvalersene?   
La cosa che più sorprende è che la prescrizione continua a decorrere anche quando l’impugnazione sia proposta dal solo imputato condannato (che spera che prima della nuova sentenza scadano i termini, con relativo proscioglimento). Non è facile spiegare agli stranieri perché, se è l’imputato a dolersi della decisione, può godere anche del vantaggio del decorrere della prescrizione, con cui sperare di farla franca prima della nuova sentenza.   

Le possibilità dilatorie
(Come scappare)   
Il vigente codice di procedura penale si fonda sul principio (successivamente inserito nell’art. 111 della Costituzione) della formazione della prova innanzi al giudice nel contraddittorio delle parti, salvo che per gli atti irripetibili e per quelli di cui le parti consentano l’acquisizione al fascicolo del dibattimento. Stante la disciplina della prescrizione, è raro che la difesa consenta l’acquisizione di atti, anche quando non vi è alcuna concreta esigenza di ripetere l’assunzione della prova. Ad esempio, in un processo per ricettazione di assegni, di solito non potrà essere acquisita la denunzia di furto o di smarrimento del libretto degli assegni, ma il denunciante dovrà essere citato come testimone, per dichiarare che ha presentato tale denunzia.
Un altro esempio è l’esame testimoniale degli appartenenti alle forze di polizia, i quali sono di solito i testi d’accusa. La loro attività ordinaria (quella dei processi comuni) è ripetitiva e raramente costoro, a distanza di mesi o di anni, sono in grado di ricordare i particolari relativi a uno scippo o a un borseggio. Peraltro essi documentano il loro operato in annotazioni di servizio, delle quali non è consentita l’acquisizione al fascicolo del dibattimento se non con il consenso delle parti.   
Pertanto è necessario citarli (mancando normalmente il consenso della difesa all’acquisizione delle annotazioni di servizio) per poi vederli consultare gli atti da loro redatti in aiuto alla memoria (...).   

Le impugnazioni 
non pagano dazio
In Italia nel processo penale impugnare conviene perché non si corrono rischi, in quanto vi è il divieto di peggiorare la posizione dell’imputato se è solo lui appellante, e non anche il pubblico ministero. La Corte d’appello non può aumentare la pena inflitta in precedenza, pertanto non vi sono rischi a proporre appelli infondati e dilatori. Attualmente perché in Italia l’imputato condannato a una pena da eseguire non dovrebbe appellare? Se è detenuto, può uscire per decorrenza termini; se è invece libero, non andrà in carcere fino a sentenza definitiva. Dopo l’appello, ci si può    rivolgere alla Corte di    Cassazione. Alla fine di questa lunga corsa a tappe, dopo aver scalato tutti i gradi, si può sempre sperare nella prescrizione (...).
La soluzione va trovata nell’autoregolamentazione, introducendo dei rischi a carico di ch i propone impugnazioni infondate e meramente dilatorie. In pratica, si deve consentire la reformatio in peius in appello, in modo da introdurre una qualche deterrenza e ricondurre il numero di impugnazioni a livello di quello di altri paesi.   
Come funziona nel resto del mondo
Il confronto con altri Stati è infatti impietoso per l’Italia. Sono poco più di 37 mila gli appelli pendenti in Francia (dove non vi è il divieto di reformatio in peius) a fine 2009, contro i “nostri” 169 mila. La Corte di Cassazione francese è investita di circa 8 mila ricorsi all’anno, con un centinaio di avvocati abilitati alle giurisdizioni superiori (meno che nella sola città di Rieti). In Italia i ricorsi in Cassazione penali sono circa 50 mila l’anno, quasi altrettanti nel civile e gli avvocati iscritti all’albo delle giurisdizioni superiori sono circa 50 mila (...).
Negli Usa vi sono gli ordinamenti di 50 Stati, quello federale ordinario e quello federale militare (...) Nel 2010, sono stati appena 12.797 gli appelli che, provenienti dalle Us District Courts, sono stati giudicati dalle US Courts of Appeals, con una riduzione del 7 % rispetto al 2009. Per quel che riguarda la Corte suprema degli Stati Uniti, nel 2009 solo 8.159 casi (civili e penali) sono approdati all’esame della più alta istanza giudiziaria americana con un aumento del 5,4 % rispetto all’anno precedente. Di questi, peraltro, solo una piccolissima parte vieneesaminata,essendonecessarioche almeno 4 dei 9 giudici chiedano di esaminare il ricorso.   
In Italia il ricorso è sempre possibile   
(In Italia) il ricorso per Cassazione, secondo l’articolo 111 della Costituzione, è sempre ammesso contro le sentenze e i provvedimenti sulla libertà personale. Ne l 2013, a fronte di quasi 53 mila ricorsi in materia penale, il 15,9 % dei procedimenti è stato definito con decisione di rigetto e il 17,7 % con annullamento (con rinvio nel 9,9 % dei casi, senza rinvio nel 7,8 %). Il 64,3 % dei definiti è stato dichiarato inammissibile.   
In caso di inammissibilità viene di solito inflitta una sanzione pecuniaria (normalmente mille euro a favore della Cassa delle ammende), ma una percentuale ridicolmente bassa delle relative somme viene effettivamente riscossa, posto che la maggior parte degli imputati non risulta intestataria di beni su cui eseguire coattivamente la sanzione (...). Una peculiarità italiana è l’elevato numero di ricorsi per Cassazione proposti contro le sentenze di applicazione pena (patteggiamento). Infatti il 14,9 % dei ricorsi riguarda sentenze di patteggiamento, rispetto alle quali la funzione quasi esclusivamente dilatoria del ricorso è evidente.   
Amnistie e indulti ad alta frequenza
In Italia fra il 1942 e il 1986 vi erano stati circa 35 provvedimenti di amnistia (che estingue il reato) e indulto (che estingue la pena). (...) Nel 1990, dopo l’entrata in vigore del codice di procedura penale vi fu un’amnistia. Successivamente vi è stato un indulto nel 2006 e recentemente si è tornati a proporre un provvedimento di indulto a fronte del problema del sovraffollamento delle carceri. In altri paesi l’amnistia è un provvedimento di carattere eccezionale e piuttosto raro.   
Qualche tempo dopo l’entrata in vigore del codice accusatorio, alcuni giudici della California vennero in Italia e parteciparono a un incontro organizzato dall’Associazione nazionale magistrati a Milano. Erano interessati a comprendere perché in Italia fosse così ridotta la percentuale di patteggiamenti e furono loro indicate le varie cause. Costoro, che avevano compreso benissimo anche questioni complesse, quando si indicò il frequente ricorso all’amnistia, chiesero più volte all’interprete di ritradurre. Dopo una consultazione fra loro chiesero se fosse qualcosa di analogo al perdono presidenziale, ma fu risposto che quello corrisponde in Italia alla grazia, mentre l’amnistia è una legge che perdona tutti. Vi fu una nuova consultazione fra loro seguita da ampi sorrisi e dissero che avevano capito: stavamo facendo loro uno scherzo.   
Il solo parlare di amnistia o indulto, come avvenuto ancora di recente, riduce le richieste di riti alternativi e incentiva ulteriormente i comportamenti dilatori e le impugnazioni. Infatti se la sentenza diviene definitiva il condannato deve scontare la pena, ma se riesce a differire il passaggio in giudicato della sentenza potrebbe arrivare un provvedimento di clemenza (...). Sotto questo profilo la modifica del sistema di prescrizione e l’introduzione di adeguati rischi alla proposizione di impugnazioni dilatorie è indispensabile per cercare di dare efficienza e dignità al processo penale.
(da Micromega n. 7/2014)