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 2014  ottobre 30 Giovedì calendario

La lunga battaglia di Terni per l’acciaio, tra vendite, veti e ristrutturazioni. Da un mese ormai le istituzioni cittadine, Prefettura e Comune, sono presidiate dagli operai che chiedono di ritirare quel piano che vuole ridurre gli organici di 537 unità e ridimensionare le quote di acciaio fuso

Dal 7 ottobre, dopo che al tavolo del Mise, la dirigenza di Ast, Acciai speciali Terni, e sindacati hanno rotto la trattativa sul piano aziendale, ogni giorno cresce la tensione. Le istituzioni cittadine, Prefettura e Comune, sono presidiate dagli operai che chiedono di ritirare quel piano che vuole ridurre gli organici di 537 unità e ridimensionare le quote di acciaio fuso. L’ad Morselli ha avviato la procedura per la mobilità, il conto alla rovescia per i licenziamenti che scatteranno entro la fine dell’anno.
La ministra Guidi, dopo che gli operai, domenica alla Leopolda, hanno strappato al premier Renzi l’impegno ad interessarsi della vicenda ha annunciato che la settimana prossima riconvocherà le parti al Mise. L’Azienda apre ma la vicenda resta complicatissima.
IL MAGNETICO PRIMA FERITA
Dopo la storia del “Magnetico”, acciaio di eccellenza, che dieci anni fa Thyssenkrupp, chiuse a Terni per trasferirlo in Germania, la multinazionale tedesca, che ha acquistato le acciaierie dall’Iri nel ’94, registra oggi il punto più basso nel rapporto ventennale con la città.
Ast negli ultimi due anni e mezzo è stata, infatti, al centro di una trattativa di vendita e fusione che si è conclusa nel febbraio scorso, comportando per la fabbrica mesi e mesi di incertezze. Nel maggio 2011 ThyssenKrupp, ha annunciato di voler uscire dal mercato dell’acciaio inossidabile. Ha accorpato tutti i suoi siti inox in Inoxum,  e li ha messi in vendita. Nel gennaio 2012 Outokumpu, multinazionale finlandese, ha acquistato Inoxum e collocato Ast tra i punti di forza del nuovo colosso dell’inox. Cinque mesi dopo però l’operazione non viene approvata dalla Commissione Europea: supererebbe la soglia del 40 per cento di produzione di inox in Europa. Ast viene messa nuovamente in vendita.
Comincia un periodo di incertezze e tensioni. In questi mesi ci sarà una sola offerta, fatta da Aperam con una cordata di italiani (Arvedi e Marcegaglia) che però viene definita troppo bassa.
THYSSEN, ANDATA E RITORNO
Bisogna trovare un acquirente che sia disposto a comprarla a quel prezzo per non avere un “buco” nel bilancio. Non ci saranno. Il 30 novembre 2013 i finlandesi, con le spalle al muro per i debiti accumulati, annunciano di aver restituito Ast a ThyssenKrupp, una mera operazione finanziaria per non rischiare il fallimento, che i tedeschi devono subire.
Ma poche ore dopo l’acquisizione di Ast, questi annunceranno, a loro volta che si tratta di un’operazione di breve, medio periodo: il tempo di trovare, a loro volta, un compratore.
Passano altri mesi di incertezze, dove Ast viaggia a vista; in un mercato internazionale turbolento e in piena crisi. Giugno 2014. Nel bilancio trimestrale Tk spiega di voler chiudere la produzione a caldo (il cuore dell’azienda), rafforzare quella fredda e tagliare il personale. Il tutto in spregio alle direttive dell’Antitrust, che chiedeva un rilancio di Ast.
L’obiettivo diretto è il ridimensionamento del sito ternano, ma per i sindacati il fine è un altro: «Terni è al centro della guerra europea per le quote dell’acciaio – spiega Riccardo Marcelli, Fim Cisl – chiudere Terni significa rafforzare la Germania che ancora mantiene in vita acciaierie obsolete ma che danno lavoro a migliaia di operai».