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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

Il mistero della fondazione Open, quella che ha raccolto 1,9 milioni per Renzi. Ma che fine hanno fatto questi soldi? «Va sottolineato che questi 2 milioni sono serviti per co-finanziare due Leopolde 2012 e 2013, due primarie, il sito della Fondazione e tantissimi eventi e incontri socio-culturali in tutta Italia». Peccato che il sito sia scarno e che di eventi promossi da loro non ve ne sia traccia

Dunque dove sta, e cosa fa, un po’ più nel dettaglio, la Fondazione Open, che finanzia le Leopolda e non solo?
La curiosità - come in passato per altre fondazioni - dev’essere placata anche nella circostanza della fondazione renziana. Anche perché gli elementi sono pubblici e offerti a chiunque voglia andarli a vedere: disponendo dei bilanci, e avendo la pazienza di sfogliarli, non è difficile trovare un punto da cui partire: indirizzo, sede e numero di telefono della Fondazione. Bisogna domandare a Pistoia, in via Cavour 37. E è quello che facciamo. La risposta di una segretaria, molto gentile, ha il pregio del candore: «No, in realtà qui non c’è la fondazione, è lo studio professionale del dottor Angiolo Bianchi, ma lui non è qui, è anziano, si trova a casa». Dunque non c’è lì qualcosa come degli uffici della Fondazione Open? «In realtà no, ma per questo forse le conviene parlare col dottor Alberto Bianchi».
A differenza di altre strutture analoghe dal punto di vista giuridico, la Fondazione Open - che ha raccolto un milione 905mila euro per le iniziative di Renzi - coincide nella sostanza con le quattro persone (solo quattro) che ormai siedono nel consiglio, è cioè Alberto Bianchi (il presidente), Marco Carrai (il fondatore), Luca Lotti e Maria Elena Boschi (il segretario generale). Non è chiaro quale struttura abbia scritto materialmente la nota di sabato scorso in cui la Fondazione spiegava quello che La Stampa aveva raccontato con chiarezza: del milione e 905mila euro raccolti dalla fondazione per Renzi, per la prossima Leopolda ne sarà spesa una parte, tra 200 e 300mila euro. Cifra analoga agli altri anni. Si pone allora a maggior ragione una domanda: se tre Leopolde sono costate 600mila euro, che ne è del restante un milione e 300mila euro raccolti? Dice la Fondazione: «Va sottolineato che questi 2 milioni sono serviti per co-finanziare due Leopolde 2012 e 2013, due primarie, il sito della Fondazione e tantissimi eventi e incontri socio-culturali in tutta Italia».

Il sito della Fondazione (www.fondazioneopen.it) è però un guscio scarno, che dice poco o nulla, né può esser costato molto. È una semplicissima home page che indica il consiglio, lo statuto, l’atto costitutivo, i due bilanci (quello del 2014 sarà chiuso a metà del 2015). Ma non viene dettagliata l’attività della fondazione. È interessante che si faccia riferimento a «tantissimi eventi e incontri socio-culturali in tutta Italia»; di cui però non c’è assolutamente traccia in giro. Una fonte di primo piano racconta: «A quanto risulta a me non esistono incontri “culturali” fatti dalla fondazione. Mentre invece la fondazione può esser intervenuta varie volte per affittare sale per eventi politici, rimborsare viaggi, insomma, finanziare le attività di una campagna politica. O eventualmente ripianare debiti di passate campagne elettorali renziane».
Tutto legittimo, ma con un aspetto poco «da fondazione» in senso tipico. Paragonata a strutture giuridicamente analoghe, come la dalemiana ItalianiEuropei (e la sua costola Red, al centro di un polemica aspra tra mondo di Veltroni e D’Alema perché accusata di lavorare per la corrente del líder Massimo), o come la lettiana VeDrò, la Open non ha praticamente uffici, non stampa una rivista, non ha un comitato scientifico, né offre contributi culturali. Come contatti il sito offre un’elusiva possibilità di scrivere una e-mail (con form precompilata dalla quale non si vede neanche l’indirizzo mail), e nessun numero di telefono. Quello che abbiamo usato noi è nell’atto costitutivo, allegato al bilancio. Infine: del milione e 900mila euro di finanziamenti, 1 milione e 100mila vengono da finanziatori noti, i restanti 800mila no. «Il grosso, ritengo, sono famiglie fiorentine e toscane», ci viene raccontato autorevolmente. È qui, il core business silenzioso.