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 2014  ottobre 24 Venerdì calendario

Daniel Baremboim: «Schubert è un precursore. Se non fosse morto a soli trentuno anni, forse non ci sarebbe stato bisogno di Bruckner e di Mahler»

Daniel Barenboim non lo ferma nessuno. A settantadue anni il grande musicista argentino ha un’energia incredibile. Da qui al prossimo 31 dicembre salirà sui palcoscenici di Milano, Monaco e Berlino per venti volte: tre opere (Tristan und Isolde a Berlino, Simon Boccanegra e Falstaff Scala) e molti recital solistici: in dicembre si esibirà come pianista in quattro concerti alla Scala con l’integrale per pianoforte di Schubert, appena incisa magnificamente in un cofanetto di quattro cd. In novembre dirigerà la Filarmonica della Scala in Mozart e Mahler.
Nato a Buenos Aires nel 1942, Barenboim ha iniziato a studiare a cinque anni con la madre e poi con il padre, prima di trasferirsi in Israele. A dieci ha debuttato a Vienna e a Roma come pianista e dagli anni sessanta ha iniziato una grandissima carriera come direttore d’orchestra, che lo ho portato a lavorare con le migliori orchestre del mondo. Lavora dal 1992 alla Staaskapelle di Berlino, dove nel 2000 è stato nominato direttore musicale a vita. Nel 1999 assieme all’intellettuale palestinese Edward Said, scrittore e professore di letteratura comparata, ha fondato il workshop “West-Eastern Divan” che ogni estate invita giovani musicisti d’Israele e dei Paesi arabi a lavorare insieme in orchestra. Dal 2011 è direttore musicale della Scala.
Come fa, maestro?
«La musica è la mia vita. Un giorno senza musica mi sembra più povero. Pochi mesi fa ho festeggiato a Berlino i cinquant’anni dal mio debutto come pianista con Berliner diretti da Simon Rattle e mio figlio mi ha detto che dovrei suonare di più il pianoforte, finché posso, e mettermi a dirigere quando non potrò più suonare».
Da dove viene la scelta dell’integrale di Schubert?
«Si tratta di un compositore troppo a lungo ignorato. Ancora nel 1936 Rachmaninov incontrò il grande pianista Artur Schnabel negli studi di registrazione della Emi di Londra chiedendogli cosa stesse registrando. Lui rispose che stava incidendo Schubert e Rachmaninov, uomo di vastissima cultura, non conosceva questo repertorio».
Cosa ha trovato in questa musica?
«Quello che mi ha più emozionato è il fatto che la sua musica si esprime per insinuazioni. Non ci sono mai asserzioni, ma tutto si gioca su una grandissima immaginazione armonica e la capacità di tenere insieme elementi di forte contrasto. Sembra impossibile pensare che queste Sonate siano state scritte nell’arco di dodici anni. Schubert è un precursore. Se non fosse morto a soli trentuno anni, forse non ci sarebbe stato bisogno di Bruckner e di Mahler».
C’è un brano prediletto?
«Non mi piace mai pensare a un brano prediletto. Ogni volta che suono o dirigo, penso che quello che sto eseguendo sia il mio prediletto».
Quale consiglio dare ai giovani che vogliono diventare musicisti, in questo momento così difficile per il mercato del lavoro?
«La musica, a livello professionale, si fa quando si avverte un forte sentimento di necessità, non una semplice passione. Se non si avverte questo, è meglio non farla».
Lei ha una grande esperienza anche come direttore di prestigiosi teatri d’opera. Esiste un modello di riferimento che garantisca un buon funzionamento ed eviti le tensioni, come sta avvenendo a Roma?
«Penso di no. A Vienna c’è un modello, a Berlino ne esiste un altro. I modelli non sono esportabili. Ogni situazione ha le sue peculiarità e le soluzioni devono essere trovate per ciascuna realtà produttiva».