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 2014  ottobre 23 Giovedì calendario

«La lettera della Commissione europea al governo Renzi è un atto dovuto. Per ora si chiedono solo chiarimenti, e Francia e Italia sono ancora sullo stesso piano». Così Daniel Gros, direttore del Center for European Policy Studies di Bruxelles

«La lettera della commissione è un atto dovuto. Per ora si chiedono solo chiarimenti, e Francia e Italia sono ancora sullo stesso piano. Il secondo stadio sarà quello più importante, e cioè l’affermazione o meno che qualcosa non va, e qui la posizione dell’Italia comincia un po’ a scivolare nei confronti della Francia. Il terzo stadio è l’apertura della procedura d’infrazione, e scommetto che non ci si arriverà per la Francia. Sull’Italia non mi sbilancio». Daniel Gros, direttore del Center for European Policy Studies di Bruxelles, è un economista tedesco del fronte anti-austerity: sostiene la posizione italiana e francese verso il rigore della Germania ma ci tiene a fare professione di realismo. «L’Italia sarà anche meglio posizionata sul fronte della correttezza di bilancio, ma di fatto rischia di più in sede comunitaria».
Perché?
«Guardiamo alla Francia. D’accordo, ha sforato il deficit e per di più su questo ha sfidato l’Europa. Però, ci piaccia o no, è sempre un Paese grande e forte, una potenza nucleare, e ha una relazione speciale con la Germania che malgrado tutto tiene anche se non è più come ai tempi di Kohl e Mitterrand. Ma ora ha un’altra insperata arma: Marine Le Pen. Gli antieuropeisti fanno paura a tutti, soprattutto all’Europa».
Non è un incredibile paradosso?
«Certo, però è realpolitik. Guardate che se l’Italia avesse Grillo ante portas sarebbe anch’essa avvantaggiata dal fattore- paura. Non vi stupite. Detto questo, l’Italia potrà far valere il fatto che bene o male sta sotto il 3% sia pure di pochi centimetri. È l’unico dato incontrovertibile e preciso. Allora bisognerà studiare con la massima attenzione l’atteggiamento della nuova Commissione, perché essa avrà un fortissimo potere discrezionale sugli appunti e le eventuali sanzioni contro il vostro Paese».
Nella relazione privilegiata Germania-Francia rientra l’incontro dell’altro giorno fra i ministri delle Finanze dei due Paesi con la promessa tedesca di fare finalmente investimenti pro-crescita?
«Certo, però non bisogna farsi illusioni. Il ministro tedesco Gabriel, non a caso leader della Spd, ha promesso investimenti aggiuntivi in gran quantità, ma ha volutamente omesso di dire due cose: la Germania non ha più quel grande surplus, anzi lo ha ridotto a zero vista la crisi dei partner, con cui finanziare spese pubbliche. Dovrebbe finanziarle con le tasse, ma allora non si vede quale sarebbe il contributo alla crescita visto che le tasse, come sappiamo, mortificano qualsiasi spinta ai consumi. Secondo, la maggior parte degli investimenti pubblici non è appannaggio dello Stato bensì dei comuni e dei Laender, e convincere le autorità locali potete capire quant’è difficile. Resta l’ipotesi di incentivi e sgravi per i privati, però anche in questo caso costringere per decreto gli industriali tedeschi a investire in nome dell’Europa non è un gioco da ragazzi».