Corriere della Sera, 22 ottobre 2014
India, il primo ministro Narendra Modi non ha rilasciato neanche un’intervista a giornali locali da quando è salito al potere il 26 maggio 2014. Salta o neanche convoca le conferenze stampa, si è creato uno studio televisivo in casa, sceglie i reporter, utilizza assiduamente Facebook e Twitter. Altro che Berlusconi
Per realizzare davvero le promesse c’è sempre tempo. La cosa più urgente è impadronirsi della comunicazione, controllare il flusso di informazioni, senza fastidiosi intermediari. Il primo ministro indiano, Narendra Modi, 64 anni, non ha rilasciato neanche un’intervista a giornali locali da quando è salito al potere il 26 maggio 2014. Salta o neanche convoca le conferenze stampa, a meno che non ci siano reporter stranieri. In compenso è un assiduo frequentatore di Facebook e dispensa piccole notazioni quotidiane su Twitter, seguite da oltre sette milioni di follower.
I media di quell’immenso Paese sono tra i più vivaci del mondo, liberi fino alla spregiudicatezza, come l’Italia ha avuto modo di imparare nella vicenda dei due marò. L’accesa concorrenza tra le tv, i giornali, i siti Internet è stata e continua a essere un fattore di crescita civile della società; una garanzia per l’equilibrio della democrazia indiana, la più grande e forse la più complessa del pianeta.
Ma per il nuovo leader tutto questo sembra non contare. Il premier Modi vuole scegliersi le domande, anzi, direttamente i cronisti autorizzati a seguirlo nei suoi viaggi internazionali (solo nove, mentre con il suo predecessore, Manmohan Singh, erano più di trenta); parla solo con l’addomesticata televisione pubblica, anzi, per non sbagliare si è fatto installare uno studio per le riprese nella sua residenza.
L’allergia ai reporter è una tendenza ormai universale, con qualche segnale anche negli Stati Uniti e in Europa, Italia compresa. Il caso Modi ripropone una questione vitale, perché senza critiche e senza contraddittorio l’opinione pubblica si spacca. Una parte sarà abbagliata dai proclami e, gradualmente, come dimostra l’esperienza, si trasformerà in un gregge passivo, senza alcun dinamismo. Un’altra quota di cittadini vivrà come un sopruso l’ostracismo della stampa, alimentando sfiducia e astio nei confronti delle istituzioni democratiche.