Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

Il caro medicine: così lievitano i prezzi. Secondo gli esperti bisognerebbe pagare solo quando i risultati sono certi. I costi per i cittadini e per il Sistema sanitario in Italia

I farmaci, per essere approvati a livello europeo, non hanno bisogno di dimostrarsi superiori agli altri: basta che non siano inferiori. Ma come si arriva a determinare il prezzo di una medicina? La distribuzione di un farmaco nei Paesi dell’Ue viene autorizzata dall’Ema (European medicine agency). Allo scopo, il produttore deve presentare un dossier con tutti gli studi necessari (sperimentazioni di fase I, II, e III, quelle su un largo numero di pazienti). In base a questi dati, l’Ema valuta sicurezza, efficacia e qualità della molecola. E in questa fase, come premesso, non vengono richiesti studi «di superiorità» rispetto ad altri principi attivi in commercio per la stessa indicazione: basta che «non siano inferiori».
Se approvato, il farmaco può essere prescritto e acquistato nella Ue al prezzo deciso dall’azienda ma non viene ancora rimborsato da Servizi sanitari nazionali o assicurazioni. Per questo è necessaria una trattativa a livello nazionale con le agenzie regolatorie dei singoli Paesi (per l’Italia l’Aifa).
L’azienda, in genere, indica alle proprie filiali nazionali un prezzo-obiettivo per ogni Paese, che può variare da caso a caso, perché tiene conto di molte variabili, come potenziale numero di pazienti, capacità di spesa e tipo di rimborso dei singoli Paesi (a carico dello Stato, assicurativo o misto).
Una volta avviata la trattativa, l’ente regolatorio, di solito, procedere in due modi: se ritiene che il nuovo farmaco non dia benefici aggiuntivi rispetto ad altri già in commercio proporrà all’azienda il prezzo più basso fra quelli della stessa classe. Se invece giudica che il farmaco porti benefici aggiuntivi tende a prendere come riferimento il prezzo più basso già ottenuto dall’azienda in altri Paesi europei. Per questo le case farmaceutiche di solito (non sempre) negoziano prima il rimborso in Paesi in cui c’è maggiore probabilità che il farmaco «spunti» un prezzo alto (per esempio la Germania).
«In questo giocano un ruolo molto importante i diversi modelli di rimborso» precisa Luca Pani, direttore dell’Aifa. «In Germania può accadere , per esempio, che un farmaco sia tenuto in fascia A (a carico dello Stato) per un anno. Poi, se alla cura risponde solo una percentuale bassa di pazienti, viene passato in fascia C (a carico del paziente). Così i malati che avevano un beneficio devono pagare interamente il farmaco, anche se è un salvavita».
«Poi è decisiva, ovviamente, la diversa compartecipazione dei sistemi privati e assicurativi», prosegue Pani. «Da noi i farmaci arrivano più tardi perché la trattativa è più lunga e delicata perché siamo rimasti l’unico Paese con un sistema solidaristico universale, in cui i farmaci importanti sono totalmente gratuiti per i cittadini».
Ma come possiamo essere sicuri che il farmaco in condizioni reali funzionerà davvero? E che alla fine si sia davvero fatto bene a rimborsarlo?
«Il Sofosbuvir, di cui si parla ora, può essere un esempio per un’utile riflessione», interviene Silvio Garattini. «Secondo i produttori ottiene la scomparsa del virus nell’80-95% dei casi. Ma i risultati non riguardano tutto il possibile universo dei portatori del virus. La presenza del virus è stata effettuata, poi, misurando il suo Rna nel siero, ma il metodo ha un limite di quantificazione di 25 Ui (Unità internazionali) e quindi non certifica una sterilizzazione. Il farmaco è certamente attivo, ma solo sul lungo termine si potrà dire se si tratti davvero di completa estirpazione, e in che misura ridurrà davvero il numero di cirrosi e tumori causati dall’epatite C. Fra 10 anni però lo sapremo, e allora perché non pagare sulla base dei risultati, con un sistema di rateizzazione?».
«L’Aifa proprio per questo valuta la effectiveness nelle reali condizioni d’uso, cioè della sua performance effettiva in condizioni reali, che è diversa dall’ efficacy , che è l’efficacia dimostrata nei programmi di ricerca sperimentale» precisa Pani. «A questo scopo sono stati realizzati i Registri di monitoraggio. Questi sistemi considerano il valore della terapia non solo da un punto di vista clinico ma anche economico, il cosiddetto “value for money”, che consiste in un processo di valutazione dei risultati, espressi in termini di salute aggiuntiva prodotta, valutando anche la riduzione di altre voci di costo sanitario».
«Infine — chiude Pani — in fase di negoziazione, a seguito di specifica valutazione dell’incertezza (definita in termini di sicurezza, efficacia e impatto economico) eventualmente ascrivibile al farmaco, l’Aifa utilizza strumenti specifici di condivisione del rischio con l’azienda produttrice che consentono al Ssn di mitigare l’effetto di tale incertezza, attraverso meccanismi di pay per performance , fino ad annullarla completamente nel caso del payment by results ovvero del pay only for responders».