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 2014  ottobre 22 Mercoledì calendario

Cirino Pomicino propone un supercontributo volontario dai più ricchi per ridurre il debito pubblico, la somma potrebbe essere compresa fra 30 mila e 5 milioni di euro, a seconda del reddito personale o del fatturato dell’azienda. In cambio quattro anni di impunità

«Verso il governo Renzi ho un pregiudizio positivo perché ci sono tanti democristiani. Ma dice il vecchio insegnamento cattolico che senza soldi le Messe non si sono mai cantate». E allora? «Gli 80 euro servono a poco, qua ci vuole una cosa tranchant . Io mi sarei permesso di fare qualche calcolo, qualche stima. Senta qua». Paolo Cirino Pomicino, 75 anni, fresco sposo («forse è stato proprio il matrimonio a sollecitarmi») si rimette con una certa soddisfazione i panni do ministro.
Qual è la sua proposta?
«Dobbiamo chiamare in causa gli italiani che stanno meglio, quel 10% che ha il 45% della ricchezza. E chiedere loro un contributo volontario a fondo perduto per abbattere il debito pubblico. La somma potrebbe essere compresa fra 30 mila e 5 milioni di euro, a seconda del reddito personale o del fatturato dell’azienda».
Oro alla patria.
«In un certo senso sì. Ma l’oro lo prenderemmo ai più ricchi, quelli che negli ultimi 20 anni non hanno mai pagato».
Perché dovrebbero fare un favore allo Stato?
«Certo, la volontarietà va sempre incentivata. Chi dà il contributo avrebbe la garanzia di non subire accertamenti fiscali per 4 anni».
Un chiaro invito all’evasione, non le sembra?
«Aspetti. Per non avere accertamenti il reddito della persona o il fatturato dell’azienda dovrebbe crescere almeno dell’1,5% l’anno. Così invitiamo tutti a pagare di più e anche a produrre di più».
Sembra sempre un condono preventivo, però.
«Capisco l’ambiguità costruttiva, come la chiamava il mio amico Andreotti. Ma qui bisogna dire con chiarezza che siamo in una situazione di guerra e che servono decisioni coraggiose. Secondo i miei calcoli aderirebbero 2 milioni di persone con un contributo medio di 60 mila euro. In termini di interessi sul debito, risparmieremmo 10 miliardi che farebbero ripartire gli investimenti, creando lavoro».
Ne ha parlato col governo?
«Con Delrio, con Guerrini, e anche con Cuperlo. Sembravano interessati ma poi non ho saputo nulla. La verità è che la proposta è ottima ma siccome arriva da Pomicino la schifano».
Forse perché sta proponendo di abbattere una montagna, il debito pubblico, che lei stesso ha tirato su.
«Rieccolo. Dopo se mi dà la mail le mando le tabelle di Padoa Schioppa, pace all’anima sua. Nel 1989 quando divento ministro del Bilancio prendo dal mio amico Giuliano Amato un disavanzo primario di 38 mila miliardi di lire. Nel ‘92, quando sempre Amato diventa presidente del consiglio, gli consegno un avanzo di 3 mila miliardi. Chiedete a lui, piuttosto».
Però in quei tre anni il debito pubblico è salito dal 93 al 98% del Pil.
«Noi avevamo due nemici da combattere, terrorismo e inflazione. Il debito è cresciuto non perché spendevamo a go go ma perché non potevamo permetterci una tassazione restrittiva. Pagava pantalone, è vero. Però quei due nemici li abbiamo sconfitti. Viva la prima Repubblica, altro che».