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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

«Ergodan vuole destituire Assad non per strategia, ma per punirlo. Vuole cacciare colui che ha rifiutato la mediazione di Ankara con i ribelli islamici e che ha osato deridere in pubblico lo stesso leader turco». Parla Kristian Brakel, esperto di Medio Oriente

Candidata all’Europa, ma con lo sguardo rivolto al mondo arabo. Laica, ma sempre più tentata dal velo islamico. Nella Nato, ma in contrasto con gli interessi alleati. È la Turchia di Recep Tayipp Erdogan, da pochi mesi alla presidenza della Repubblica. Dopo settimane di pressanti richieste, ieri Ankara ha acconsentito ad aiutare i curdi siriani di Kobane, in prima linea contro il Califfato. Ma il molti è rimasta la sensazione che Erdogan voglia solo mettere il cappello su una guerra non sua. Va ricordato che solo una settimana fa l’aviazione turca ha bombardato le postazioni dei curdi del Pkk nel sud-est del Paese e negato l’uso delle basi ai jet Usa. Secondo la Foundation for the Defense of Democracies, «la Turchia non è più un partner per la Nato e non lo è per la lotta contro l’Isis». Libero ne ha parlato con Kristian Brakel, massimo esperto di Turchia della Società tedesca per la politica estera. «Cacciare Ankara dall’Alleanza atlantica non è la soluzione alle ambiguità turche», dice. Cioè Ankara è diventata inaffidabile? «Non ci sono alleati fidati e inaffidabili: ci sono solo alleati che restano tali finché ritengono che l’alleanza si prende cura dei propri interessi. Oggi invece gli obiettivi divergono: per la Nato è prioritario fermare il Califfato, per Erdogan deporre Assad». Erdogan contro tutti? «No. Dopo una serie di fallimenti, Erdogan è obbligato a guardare a ovest: dapprima ha spinto per l’ingresso del suo Paese in Europa ma è stato stoppato da Francia e Germania; quindi si è affidato alla dottrina “nessun problema con i vicini” elaborata da Davutoglu. Un disastro testimoniato dalla quasi rottura dei rapporti con Israele, Siria ed Egitto». E la tentata leadership del mondo arabo e islamico? «Un altro fallimento: la destituzione dell’ex presidente islamico egiziano Morsi da parte dei militari ha segnato l’ultima batosta per l’ex premier turco che aveva puntato sulla primavera araba». Una scelta anti-Occidente? «No, per lui era la ripetizione della storia turca più recente: un movimento islamico moderato in lotta per la democrazia contro vecchi tiranni sostenuti dall’esercito». L’ultima sconfitta è di giovedì scorso quando la Turchia ha tentato di farsi eleggere membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ma è stata battuta da Spagna e Nuova Zelanda. Perché tanti errori in politica estera per un leader così forte in patria? «Erdogan ha il vizio di mescolare l’interesse nazionale alle sue idiosincrasie personali. Lui vuole destituire Assad non per strategia, ma per punirlo. Vuole cacciare colui che ha rifiutato la mediazione di Ankara con i ribelli islamici e che ha osato deridere in pubblico lo stesso leader turco». Un affronto imperdonabile... «Ecco perché Erdogan chiede da anni una no-fly-zone sulla Siria con la scusa di voler proteggere i rifugiati interni dall’aviazione di Damasco. Anche questa è una strumentalizzazione di un dramma umanitario per limitare la pressione dei rifugiati siriani sulla Turchia, per legare le mani ad Assad e per meglio controllare i curdi della regione» . E l’Isis? «Erdogan sa che il Califfato è una minaccia che prima o poi andrà affrontata. Ma la politica di voler prendere troppi piccioni con una fava può risultare pericolosa».