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 2014  ottobre 21 Martedì calendario

Intrighi, segreti, rivalità e qualche nota thriller: i retroscena del Premio Strega sotto forma di romanzo. Si intitola “La polveriera”. C’è persino la morte dell’organizzatrice Anna Maria Rimoaldi presentata come “sospetta” agli occhi di chi rinviene il corpo nella casa dell’Elba

Se un romanzo sul Premio Strega s’intitola La polveriera qualcosa vorrà dire. Intrighi, veleni, amicizie rotte e nuove alleanze, tradimenti, schede bianche e franchi tiratori: tutto vero. C’è persino la morte dell’organizzatrice Anna Maria Rimoaldi presentata come “sospetta” agli occhi di chi rinviene il corpo nella casa dell’Elba, in un tardo pomeriggio dell’agosto 2007. La stanza appare in uno “strano disordine”. Vederlo nero su bianco fa un certo effetto. L’autore però è un prudente e insospettabile “insider”: Stefano Petrocchi, il direttore della Fondazione Bellonci. Petrocchi ha raccolto l’aneddotica intorno al premio e l’ha abilmente trasformata in un romanzo memoir che esce oggi per Mondadori e che è basato su lettere, carteggi, documenti e cronache giornalistiche. Dentro c’è materia a sufficienza per dire che lo Strega è l’istituzione più gattopardesca che abbiamo, perché è cambiata per rimanere in fondo sempre uguale. Nessuno è passato indenne nel suo tritacarne: da Italo Calvino a Pier Paolo Pasolini, che nel 1968 si scaglia contro gli editori “padroni”. Così come le dimissioni di Moravia e Garboli anticipano solo di qualche anno quelle di Emanuele Trevi.
L’io narrante, l’alter ego dell’autore, è il “segretario fidato” di Anna Maria Rimoaldi, alla reggenza del premio per vent’anni dal 1987 al 2007, chiamata dal suo collaboratore semplicemente “il Capo”. Figura mitica, capace di creare intorno a sé e ai suoi modi bruschi quel tipo di venerazione che si accorda alle divinità. Scopriamo il backstage del premio grazie ai racconti fatti da chi narra a tre personaggi estranei alla società letteraria: un maresciallo, una giovane giornalista freelance e un ragazzo che gestisce un blog. La narrazione restituisce le atmosfere, i documenti i fatti. «Intorno allo Strega – scrive Petrocchi – si muove una giostra di predatori ». D’altra parte la stessa Maria Bellonci aveva scritto nel suo memoir sul premio ( Come un racconto. Gli anni del premio Strega ) di possedere ben chiara «la percezione di aver architettato una polveriera». È negli anni Sessanta che la polveriera diventa pericolosa. L’edizione del 1961 è epica. Si conclude con la vittoria per un voto di Raffaele la Capria ( Ferito a morte, Bompiani) sull’ex aequo di Fausta Cialente e Giovanni Arpino: 96 a 95. La Capria era un outsider: «Ricordo lo sconcerto di tutto lo staff dello Strega quando uscì il mio nome, nessuno se lo aspettava ». Accade inoltre che una scheda in favore di Ballata levantina di Cialente (Feltrinelli) arrivi fuori tempo massimo. Pochi giorni prima Alberto Mondadori aveva spedito un telegramma alla Bellonci per perorare la causa di Arpino in gara con Un delitto d’onore: «Faccio più che mai assegnamento suo prezioso e incondizionato determinante appoggio et di Goffredo stop Sono sicuro che nei limiti di onesta propaganda ella potrà aiutarci validamente raggiungere quota voti necessaria onde evitarmi grosso smacco nel riconoscimento editoriale stop». Nel 1966 inizia invece la Calvino Story. Nella ventesima edizione Calvino paga il fatto di essere il superfavorito e le Cosmicomiche (Einaudi) sono battute da Una spirale di nebbia di Michele Prisco, edito da Rizzoli, casa editrice che in quindici anni si aggiudica il premio ben sette volte. Mentre la Mondadori, dal ‘67 al ‘78, porta a casa cinque Strega e dieci Campiello. Calvino vorrebbe ritentare nell’84 con Palomar, ma quell’anno la Longanesi candida Pietro Citati, autore di Tolstoj. In nome dell’amicizia Calvino si ritira. Morirà l’anno dopo. La Zarina (così veniva chiamata la Rimoaldi) pensa allora di candidare postumo Lezioni americane, ma desiste perché il premio due anni prima era andato a Rinascimento privato della Bellonci: «Due defunti premiati in tre edizioni sembrarono decisamente troppi».
Il Sessantotto arriva anche allo Strega. Scoppia l’affaire Pasolini, che con Teorema ( Garzanti) si vede soffiare la semifinale da Alberto Bevilacqua ( L’occhio del gatto, Rizzoli). Una breve nota ne testimonia la rabbia: «L’ultima votazione ha accentuato in modo incontrovertibile il deterioramento, verificatosi negli ultimi anni, del gioco democratico». Poi sul Giorno scriverà contro gli editori diventati “padroni”, che «sia pure addolciti dal nuovo corso, sono capaci di tutto». Alla fine vince Bevilacqua ma si registrano 117 schede bianche. È Pasolini a parlare per la prima volta del “pacchetto di voti” (almeno 40) amministrato dalla Bellonci, «arbitra assoluta dei destini del premio». La protesta ha conseguenze pesanti: Moravia dà le dimissioni dal comitato direttivo. Vent’anni dopo sarà la volta di Cesare Garboli per aver tentato invano di far passare una modifica «per ridurre l’ingerenza degli editori». Lo Strega è stato a lungo un premio a reggenza matriarcale. Petrocchi, arrivato nel 1999 alla Fondazione grazie a una borsa di studio per lavorare all’inventario del carteggio Bellonci, restituisce un bel ritratto del loro rapporto e soprattutto della Rimoaldi, che con il suo senso pragmatico sarà un costante supporto per l’amica. Non solo compilerà per lei riassunti delle fonti storiche indispensabili per il suo lavoro ma l’aiuterà anche a far quadrare i conti. E una volta prese in mano le chiavi della polveriera si considererà sempre una semplice amministratrice, naturalmente alle sue regole: ricerca del duello, attenzione agli “equilibri editoriali”, capacita di dire “no” (nel 2005 riuscì a convincere Segrate a bloccare la candidatura de Le peggiori intenzioni di Alessandro Piperno). L’esercizio del potere era per lei una pratica ascetica: «Non fare sapere mai a nessuno le tue intenzioni. Mai cedere alla vanità di rivendicare il proprio ruolo». Raramente perdeva le sue battaglie. Non mandò giù la vittoria nel 1989 de La grande sera di Giuseppe Pontiggia contro Le nozze diCadmo e armonia di Roberto Calasso. Da allora nessun autore Adelphi ha più concorso al premio.
Gli ultimi anni nel romanzo sono meno approfonditi ma ricchi di curiosità: dopo l’edizione del 2009 che vede trionfare Scarpa su Scurati arrivano tre schede in ritardo. Nel romanzo il segretario apre le buste. Ci sono tre voti: “Scarpa”, “Scarpa” “Scarpa”. L’intera storia dello Strega è dominata dal duopolio Mondadori-Rizzoli: Mondadori (come sigla editoriale singola) ha vinto 23 edizioni su 68, (il 33,8%, una ogni tre). Il romanzo finisce nel “mistero”: un manoscritto inedito di Maria Bellonci che sbuca da una panca e la morte “sospetta” della Rimoaldi. In quella stanza disordinata, dove in apparenza «sembrava fosse accaduto qualcosa ». «Si scelse di non dare seguito alle indagini, anche per tenere lontana l’attenzione dei media». Che intorno a quella signora anziana e potente sarebbe stata tanta. Tra veleni e ombre lo Strega è da sempre «un formidabile contenitore di storie, perlopiù a sfondo giallo».