Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 21 Martedì calendario

A Iguala, in Messico, sono scomparsi 43 studenti universitari che protestavano contro i tagli del governo. E durante le loro ricerche i contadini hanno scoperto fosse comuni con i resti di decine di corpi. Probabilmente vittime della guerra tra i clan di narcos

Armati di pale e picconi, a bordo di pick-up ammaccati, i contadini vanno verso una serie di radure sospette in campagna, saltano giù e iniziano a scavare. «Ehi, ecco una costola!», esclama uno degli uomini, parte di una ronda dei cittadini: estrae quel che sembra un pezzo di colonna vertebrale. Presto emergono altri frammenti: una costola? Una rotula? Cinque fosse comuni sono state già scoperte nella ricerca dei 43 studenti scomparsi un mese fa dopo scontri con la polizia locale; e altrettante fosse segrete come questa sono allo studio per determinare l’origine dei resti che esse contengono. Malgrado l’impegno di centinaia di soldati, funzionari federali, dipendenti statali e abitanti locali, la sorte degli studenti resta un mistero. Piuttosto, la caccia ha rivelato qualcosa di altrettanto agghiacciante: una moltitudine di tombe clandestine con cadaveri ignoti alla periferia della città nasconde a stento il pesante scotto imposto al Messico dalla criminalità organizzata.
I giovani sono scomparsi dopo che la polizia locale — accusata di collaborare con una banda di narcotrafficanti — ha aperto il fuoco e ucciso sei persone il 26 settembre. Stando al procuratore di Stato, gli agenti avrebbero rapito un gran numero di studenti per consegnarli a una banda. Il presidente Enrique Peña Nieto assicura che la ricerca dei ragazzi è la priorità assoluta del governo. In realtà, le ricerche confermano che la crisi del crimine organizzato in Messico — con decine di migliaia di morti negli ultimi anni nelle guerre dei narcotrafficanti — è ben più grave di quanto finora pubblicamente ammesso.
I familiari dei giovani, che frequentavano la facoltà di Magistero e stavano organizzando una protesta contro i tagli all’università, si tormentano al ritrovamento di ogni nuova fossa comune. Alcuni hanno rinunciato alle ricerche, convinti che una mafia di criminali e politici sappia dove siano i giovani, però non lo riveli. Molti continuano a credere che gli studenti siano vivi, come i parenti di migliaia di altre persone sparite nella guerra messicana della droga.
Poco prima che spuntassero le nuove tombe, María Oliveras, madre di Antonio Santana, uno degli studenti scomparsi, aveva acceso una candela e pregato nel campus dove le famiglie conducono una veglia costante. «Voglio soltanto sapere come sta, dov’è e che cosa fa», dice. «Quando trovano resti umani, non voglio credere che sia lui. Devo credere che è vivo, e che per qualche motivo non l’hanno rilasciato ». Nel primo biennio del mandato, Peña Nieto s’è impegnato a ridare slancio all’economia e ad attirare investitori stranieri, guadagnandosi il plauso di alcuni economisti speranzosi in una crescita futura. Stando ai detrattori, però, Nieto ha trascurato l’espandersi dell’illegalità in cittadine come questa. «È l’impunità il primo motivo delle scomparse», dice Alejandro Hope, ex agente dell’Intelligence messicana. «In Messico, soltanto un caso di omicidio su cinque viene risolto. È colpa dell’impunità, delle istituzioni deboli, e delle ricerche decentralizzate».
Alcuni contadini delle brigate che cercano gli studenti — autoproclamatesi “polizia comunitaria” nel vuoto di autorità del Messico meridionale — contano sulle soffiate degli abitanti, che, a sentir loro, non si fidano delle forze dell’ordine.
Chino sulla vanga, Miguel Ángel Jiménez, un capo della polizia comunitaria, dubita che lì siano sepolti gli studenti, infatti l’erba è troppo alta per essere cresciuta in poche settimane. «Anche se non sono loro, non possiamo lasciare irrisolto l’enigma di queste tombe», dice. «Appena troviamo delle ossa ci fermiamo, e cediamo il campo ai periti giudiziari». Ci vorrà qualche settimana per analizzare i resti scoperti di recente. Gli inquirenti confermano: le cinque fosse comuni contengono resti umani, ma per ora non c’è alcun legame con gli studenti.
Le squadre di contadini, ricevute nuove soffiate dagli abitanti, ora battono un sentiero in collina: cercano alcune grotte dove si dice siano stati lasciati dei cadaveri. Per ora scovano quel che sembra il rifugio di una banda, disseminato di bottiglie, vestiti usati, candele e un ritratto di Jesús Malverde, un’icona delle gang. Al ritorno dalla caverna, una guida locale riceve una telefonata minatoria: «Non andarci più», gli ripete una voce prima di attaccare.
Gli studenti frequentavano l’Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos, un’università imbevuta di fermenti e slogan rivoluzionari. Le famiglie degli scomparsi aspettano lì, bevendo caffè, chiacchierando in piccoli gruppi e dormendo su materassi sistemati nelle classi e un po’ ovunque. Secondo alcuni attivisti dei diritti umani, gli studenti stavano organizzando una protesta il 2 ottobre contro i tagli all’università statale, ma pare che si siano scontrati con la polizia quando hanno cercato di rubare degli autobus per recarsi alla manifestazione.
«A volte non riesco a star seduta e pensare», dice una madre. Serra in pugno un pezzo di carta con la preghiera per “la Protezione del Prezioso Sangue di Nostro Signore Gesù Cristo”. Il marito se la prende con la farsa delle autorità: «Noi non possiamo cercare, non conosciamo la zona, e invece loro sanno dove si trovano. Che ci ridiano nostro figlio».
(Ha collaborato Paulina Villegas)
© The New York Times La Repubblica
traduzione Anna Bissanti