Affari&Finanza, 20 ottobre 2014
Le mense in Italia danno da mangiare a più di 6 milioni di persone. Ecco come funziona un sistema che fattura 6,56 miliardi l’anno, dà lavoro a 75mila persone, otto su dieci sono donne
Circa 11 milioni di italiani ogni giorno pranzano fuori casa; la metà lo fa all’interno di una mensa, tra lavoratori, studenti, militari e degenti. I dati, che si ricavano da una ricerca di Angem (Associazione nazionale della ristorazione collettiva e servizi vari), indicano il rilievo sociale che questo settore ha ormai raggiunto nel nostro Paese. Tanto che le aziende del comparto sono arrivate a contare su una forza lavoro composta da 75mila persone, di cui circa l’80% donne e nell’85% dei casi con un’età inferiore ai 50 anni. Risorse impiegate per fornire ogni anno quasi 7 miliardi di piatti pronti in tutta l’Italia. Il comparto della ristorazione collettiva — che comprende tutte le attività (incluse quelle su scala industriale) legate alla produzione e distribuzione di pasti pronti per comunità di clienti — ha vissuto una lunga stagione di crescita con la diffusione dell’orario lavorativo continuato in azienda e negli istituti scolastici, che è durata fino all’avvento della grande crisi internazionale. Negli ultimi anni lo scenario è, però, cambiato dato che la spending review ha portato — tra le altre cose — a un giro di vite sui posti ospedalieri e sui dipendenti pubblici. Senza dimenticare il peggioramento della situazione occupazionale. Così, se si analizza la ricerca Food Service 2014 realizzata dalla società Gira il quadro che emerge indica una sostanziale stabilità dal 2009 in avanti, pur con oscillazioni
tra un anno e l’altro. Lo scorso anno si è chiuso con un giro d’affari complessivo di 6,56 miliardi di euro, con l’istruzione che da sola vale 1,93 miliardi e precede le altre macro-aree del welfare (1,45 miliardi), del lavoro (1,32 miliardi) e della sanità (1,15 miliardi). Il quadro è completato dai 706 milioni di euro generati dalla voce “altre collettività”, che comprende categorie residuali come i pasti forniti alle persone indigenti. Se le dimensioni complessive del mercato sono rimaste sostanzialmente stabili negli ultimi anni, in realtà gli equilibri tra i vari operatori sono in continuo movimento. A crescere sono soprattutto le realtà che riescono a cavalcare i nuovi trend di consumo che vanno emergendo nella società e quelle che riescono a ottimizzare tutta la catena che va dall’approvvigionamento fino alla fornitura dei pasti sia sul fronte logistico, che dei costi. Una strada obbligata più che un’opportunità per mantenere (o, laddove possibile, accrescere) i margini d’impresa. Anche perché la domanda si è fatta più esigente, con i committenti, ma anche gli stessi consumatori finali che sono più attenti del passato alla qualità del servizio, così come dei processi gestionali e in molti casi si informano — anche grazie alle maggiori opportunità offerte dalle tecnologie — sulla storia delle varie aziende fornitrici, così come sulla dotazione delle certificazioni di qualità. Tutti questi fattori hanno portato negli ultimi anni a una progressiva concentrazione del mercato, con i grandi gruppi che hanno acquisito un peso crescente, grazie alla loro capacità di mettere in campo investimenti importanti negli impianti e nei processi lavorativi, in grado di accrescere la propria capacità competitiva e generare economie di scala. Una spinta in tal senso arriva anche dal problema dei ritardi nei pagamenti (la situazione è molto difficile soprattutto quando il committente fa capo alla Pubblica Ammini-strazione), che mette a dura prova soprattutto le aziende che hanno le spalle meno robuste. Al di là degli aspetti congiunturali, il mercato si è fatto intanto più complesso: accanto al sistema convenzionale (nel quale i cibi vengono cotti e immediatamente distribuiti ai consumatori), prende piede anche il legame differito, nel quale le operazioni di preparazione e cottura e quelle di distribuzione e consumo vengono effettuate in tempi e luoghi completamente separati. Nel primo caso il lavoro viene svolto presso grandi centri, dai quali escono i pasti finiti, che vengono poi trasportati (secondo disciplinari relativi alle temperature e alle tempistiche) alle mense per la distribuzione e il consumo. L’evoluzione del settore è legata anche alle nuove esigenze di mobilità delle persone. Con la crescita degli spostamenti sui treni e gli aerei, infatti, si creano opportunità di crescita per gli operatori del settore. Tuttavia questi due comparti presentano caratteristiche peculiari (ad esempio il costo di produzione dei pasti incide in maniera importante sul prezzo finale) che restringono la platea del-l’offerta alle società più strutturate e con competenze di settore. Un altro filone di business è legato, infine, alle attività accessorie rispetto a quelle di ristorazione collettiva in senso proprio. Molti istituti scolastici, aziende e ospedali, pressati sempre di più dalla necessità di ridurre i costi fissi, si stanno orientando verso l’outsourcing anche di attività pulizie e manutenzioni relative agli spazi in cui si consumano i pasti e agli impianti. Questo spiega perché alcune aziende del settore stanno puntando sulla fornitura di servizi aggiuntivi di facility management, dai quali può arrivare una spinta ulteriore alla crescita. Ogni giorno undici milioni di italiani pranzano fuori casa: la metà di loro consuma il pasto in una mensa