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 2014  ottobre 20 Lunedì calendario

Il mini-rugby, già all’età di 4 o 5 anni, aiuta lo sviluppo delle abilità e delle capacità psico-motorie. Il tutto divertendosi

La domanda è sempre più forte e l’offerta cerca di adeguarsi, ampliando le opzioni per i bambini, le bambine e le loro famiglie. Da qualche anno è boom per il minirugby, che attira notevole interesse, dei genitori ancora prima che dei figli. Società giovani e giovanissime si affiancano a quelle già esistenti: nelle città più grandi si coprono zone dove la pratica del rugby era preclusa dalle distanze, in altre aree del Paese si porta questo sport dove, in pratica, non era mai arrivato o non era riuscito ad attecchire. Certo, possono esserci anche problemi di crescita, in termini di impianti, tecnici, dirigenti. Ma la caparbietà non manca, l’entusiasmo tanto meno. E allora, secondo il principio n. 1 del rugby, si avanza.
Il primo tesseramento alla Fir può avvenire a cinque anni, per la categoria Under 6, ma molti club "accettano" anche bambini di quattro anni, magari al seguito dei fratelli maggiori. «Si comincia da subito lavorando con la palla – dice Roberto Fulgoni, che insegna rugby alla facoltà di Scienze motorie della Statale di Milano e a lungo è stato direttore sportivo del Cus Milano –. I minirugbysti si ritrovano a fare tutti i gesti di base dell’attività fisica, ma sempre divertendosi, e senza situazioni di stallo. Attraverso il gioco si incentivano le varie abilità richieste a maschi e femmine, perché fino a 12 anni le squadre sono miste: le bambine sono in minoranza, ma hanno grandi motivazioni». I tecnici/educatori, nel caso del Cus Milano, sono laureati o laureandi in Scienze motorie, «perché – spiega Fulgoni – la crescita delle capacità cognitive e psicomotorie viene prima delle abilità tecniche». Ad ogni modo, per allenare i bambini più piccoli in qualunque società, è necessario seguire un percorso formativo ratificato dalla federazione.
Normalmente, vengono proposti un paio di allenamenti alla settimana (uno per gli "Under 6") e la quota annua si aggira su una cifra media di 300 euro, che comprende il più delle volte la fornitura di tuta, borsa, giaccone. L’abbigliamento è lo stesso che si userebbe per il calcio, scarpe comprese, e l’unica protezione d’obbligo è il paradenti (non certo per colpi tra giocatori, ma per prevenire danni in caso di caduta). Perché ai bambini di oggi bisogna insegnare anche a cadere. Federico Fusetti, commentatore televisivo e responsabile del settore giovanile del Petrarca Padova, una società con 350 atleti sotto i 20 anni (di cui 150 minirugbysti) e con uno dei palmarès più ricchi a tutti i livelli, spiega: «Il cambiamento rispetto alle generazioni precedenti si vede: bambini meno abituati a fare movimento, magari incapaci di fare una capriola o a disagio se si propone di giocare sull’erba a piedi nudi. Si tratta innanzitutto di superare questi problemi, ponendo grande attenzione alla psicomotricità e conquistando la fiducia dei piccoli. Fino a una certa età l’obiettivo è dare a tutti gli strumenti tecnici ed educativi, i migliori allenatori, preparatori e impianti possibili senza fare alcuna differenza».
Il risultato, insomma, ha un’importanza del tutto secondaria. Anche se, come è giusto, nel corso dei tornei organizzati domenica dopo domenica in tante località (con partecipazione non obbligata per le società, che scelgono gli appuntamenti cui essere presenti, e terzo tempo finale per mangiare insieme), le squadre ce la mettono tutta. «Ma quello dei bambini – puntualizza Daniele Pacini, direttore generale dell’Unione Capitolina, realtà di punta nel rugby giovanile romano, con quasi 500 tesserati dai cinque ai 19 anni – è l’agonismo perfetto. Lottano fino all’ultimo e poi, quando la partita è finita, se la lasciano alle spalle e pensano a quella dopo. Il nostro gioco è più istintivo, per esempio, di basket e pallavolo, dove è richiesta una destrezza più "fine". Quello che conta è la scoperta della meta e il concetto base è l’avanzamento. Poi cominciano i contatti, i placcaggi. Qualunque fisico è adatto». 
Il tutto senza dimenticare un concetto chiave da applicare, fin da piccoli, nel comportamento verso compagni, avversari, allenatori e arbitri: il rispetto.