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 2014  settembre 23 Martedì calendario

Ostaggi nelle città

La notizia è di quelle di solito destinate a finire nelle pagine di cronaca cittadina e neppure tra le primissime. Si tratta di questo. Una ragazza di circa trent’anni che di mestiere fa la conducente di autobus, sabato sera, mentre fa il giro della periferia romana sulla linea 42, viene fermata, lei e il suo autobus, da un gruppo di persone che urlano e premono per salire. Sul mezzo non c’è nessun viaggiatore. Lei si spaventa, perché i tipi hanno l’aria di essere arrabbiati e ubriachi, tiene dunque chiuse le porte e cerca di ripartire. Questi lanciano bottiglie e sassi contro i finestrini e solo per miracolo la giovane non viene colpita ma riesce a rimettere in moto e allontanarsi. Più avanti però il gruppo riprova a tagliarle la strada e ancora una volta lei, sola e spaventata, chiede aiuto alla centrale degli autobus e ad un amico conducente dell’Atac che abita nelle vicinanze e che poi sarà testimone dell’accerchiamento. Alla fine, dopo aver temuto per la sua vita («Urlavano: ti ammazziamo»), terrorizzata e sotto choc, la conducente riesce finalmente a raggiungere il deposito dell’azienda tranviaria capitolina, dove verrà affidata a un medico per le cure e l’assistenza psicologica. L’episodio si ripete domenica, (...) :::segue dalla prima MAURIZIO BELPIETRO (...) non più sulla 42 ma sulla 508. Un altro gruppo di scalmanati tenta di assaltare un autobus condotto da una ragazza, la quale, forse avvertita di quanto successo il giorno prima alla collega, rimette in moto prima di essere circondata e dunque riesce a fuggire. Tutto ciò in un normale weekend di settembre alla periferia di Roma, cioè nella capitale d’Italia, non in un luogo isolato, ma a pochi chilometri dalla sede del governo, in un orario compreso fra le 19,30 e le ventuno, quando cioè la gente è ancora per strada. Ma chi sono gli scalmanati che la sera di un caldo fine settimana si mettono a spaventare le ragazze che fanno un servizio pubblico di autotrasporto? Secondo quanto riferiscono le cronache si tratterebbe - o, se si vuole essere più precisi, si sarebbe trattato - di una trentina di immigrati nordafricani che vivono in un centro di accoglienza nei pressi di Corcolle, tra Tivoli e Roma. Profughi, insomma. Arrivati non si sa bene da dove e non si sa bene perché e che qualcuno dall’alto ha deciso dovessero essere ospitati lì, in una periferia di Roma che ha già tanti problemi per i fatti suoi e non ha certo bisogno di importarne altri. Risultato, ieri dopo la seconda aggressione, in zona c’è stata una manifestazione di protesta e cinque nordafricani sono stati a loro volta accerchiati e un paio se la sono vista brutta: malmenati e inseguiti nonostante non avessero alcuna colpa. Già, perché la colpa non è di chi arriva da noi (a meno che non assalti e distrugga un autobus, spaventando un conducente), ma di chi ce lo manda senza preoccuparsi delle tensioni che gli immigrati portano se non sono inseriti. Qualche giorno fa nella Capitale c’è scappato il morto: uno straniero su di giri per le abbondanti bevute ha iniziato a insultare e molestare i passanti. A un ragazzo di 17 anni ha anche sputato in faccia e questi ha reagito colpendolo con un pugno. L’immigrato è morto e il giovane è finito in carcere. Storia di cronaca, brutta cronaca, con due vittime: il defunto e un minorenne che ha la vita rovinata per sempre. Ma non è questo il punto: nel quartiere c’è chi, in difesa del ragazzino arrestato, ha organizzato una fiaccolata e un sit in di sostegno, rappresentando un clima teso che rischia di provocare altri incidenti. Salvo il morto, la situazione romana non è diversa da quella di altre città trasformate in centri per accoglienza. Qualche giorno fa Libero ha infatti aperto la prima pagina con un titolo inequivocabile: «L’Italia è un campo profughi». Dove i profughi non sono però i 150 mila o forse più stranieri arrivati nel nostro Paese a far data dal primo di gennaio di quest’anno, ma gli italiani, i quali, come l’autista dell’Atac, hanno paura e girano alla larga dagli accampamenti insediati in periferia o in centro. Le stazioni ferroviarie, i giardini e molti edifici pubblici sono diventati campi per stranieri, senza che siano tutelate le normali condizioni igieniche e senza che sia garantita la sicurezza. E naturalmente nessuno fa niente: non la polizia, che ha le mani legate ed è costretta ad assistere impassibile allo scivolamento verso il degrado di interi quartieri; non il governo, che pare distratto dalle chiacchiere e dai viaggi all’estero del suo premier; non i sindaci delle grandi città, che dopo aver predicato per anni la solidarietà e l’accoglienza come fanno i veri compagni, ora non possono che tacere. Così, il naufragio più grande che si sta compiendo non è quello nel canale di Sicilia, ma quello del nostro Paese, alla mercé di gente che assalta gli autobus e di trafficanti di esseri umani. Per la cronaca, il Consiglio d’Europa ha tenuto il conto di quanti scafisti sono stati condannati in Italia: sulle centinaia arrestate e identificate, nel 2010 solo 14 sono andati a processo, mentre nel 2011 quelli messi alla sbarra sono stati nove. La crisi infatti non colpisce solo il Pil, ma anche la Giustizia che, proprio come il Prodotto interno lordo e l’occupazione, è fiacca. E in queste condizioni, gli unici che non si perdono d’animo ma anzi ci sguazzano sono i delinquenti.