Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Roberto Capucci

• Roma 2 dicembre 1930. Stilista. «Se potessi, abolirei il termine moda dal vocabolario. Essere alla moda è già essere fuori moda».
• «Il sarto-artista italiano che ha reso le forme atemporali, estranee ai revival e alle voghe, il filo conduttore di una produzione, incantevole e stupefacente, fatta di sperimentazione e volumi scultorei. Per queste prerogative Capucci appartiene, al pari di Cristobal Balenciaga e pochi altri, alla categoria dei grandi sarti architetti. Come scriveva Cecil Beaton a proposito di Balenciaga, Capucci: “Non fa parte di nessuna cricca, non fa il gioco di nessuno, ma solo il proprio; rifiuta energicamente di commercializzare se stesso e il suo talento, concede poca attenzione ai mutamenti stagionali della moda, e persegue una creazione solitaria di valori che gli hanno meritato il rispetto, l’ammirazione e la protezione di coloro che sono in grado di apprezzare la sua non comune genialità”» (Sofia Gnoli).• «Non è una battuta la sua: “Di moda non mi intendo affatto”. Di moda non si intende e non la pratica Roberto Capucci, che niente ha a che vedere con gli stilisti, con la saga del made in Italy, con la furia delle sfilate e la routine delle passerelle. Capucci è un esteta e un artista, completamente fuori dal giro: il giro commerciale dei vestiti, il mercato bizzoso dell’apparire, la smania del marchio obbligato e della griffe. Non firma piastrelle, mutande, occhiali da sole lui; alle cinture e alle borse preferisce la solitudine rarefatta della creazione e del pezzo unico. La ribalta che gli spetta è quella del museo, non la passerella volubile assediata dai flash, non la vetrina della boutique per fashion victims» (Laura Laurenzi).
• «Attività iniziata nel 1951 con un memorabile debutto a Firenze. Per costruire i suoi ingegnosi involucri che rifiutano la quotidianità, nell’atelier di via Gregoriana tratta i tessuti come metallo, fondendo seta, plastica, paglia, alluminio, grani di rosario. Ne nascono soffici corazze, pezzi unici, crisalidi luminose, ali di plissé, costruzioni realizzate in materiali rari, mikado, ermesino, taffetas o Meryl Nexten, una speciale fibra cava» (Donata Righetti).
• «A soli vent’anni aprì nella Città Eterna, grazie all’aiuto della giornalista Maria Foschini, il suo primo atelier. Maria Foschini – racconta – mi aiutò a uscire allo scoperto e mi spronava, perché io avevo davvero tutti contro; non avevo ancora vent’anni, lei almeno sessantadue. Mia madre diceva “ma cosa fai con quella vecchia signora?” e il marito di lei “e tu con quel ragazzino?”».
• «Ho studiato Belle Arti e per caso, invece di fare lo scultore o lo scenografo, ho fatto moda. Mi interessava la moda da un punto di vista creativo, ma poi odiavo le scadenze, gli orari, le collezioni. Ho fatto parte del mondo della moda quando si sfilava ancora a Palazzo Pitti. Dal 1960 al 1966 andai a Parigi. I giornalisti mi dicevano che ormai avevo avuto tutto a Roma, avevo vestito le donne più belle e famose, l’America mi aveva dato un Oscar. Furono tutti molto accoglienti e gentili con me. Ho fatto lo sbaglio di tornare in Italia dopo solo sei anni. Avrei dovuto chiudere Roma e tenere aperto Parigi. Ma vi furono dei problemi tra mio fratello Fabrizio e sua moglie, mia madre si occupò della loro figlia (Sabrina Capucci, la figlia avuta dal fratello Fabrizio con Catherine Spaak, ndr), insomma un concorso di circostanze mi fece tornare».
• Quando viveva a Parigi, «abitavo al Ritz, lo stesso albergo dove viveva mademoiselle Chanel. Io avevo una piccola suite, lei un grande appartamento. La incontravo la mattina, piatta nei suoi agili tailleur, la sigaretta perennemente in bocca, grondante di gioielli» (Sofia Gnoli, Moda. Dalla nascita della haute couture a oggi, Carocci editore, 2012).
• Le sue clienti erano soprannominate «le capuccine».
• «I miei vestiti non sono abbigliamento, sono da guardare, deve esserci creatività, invenzione. So che i miei abiti sono difficili da capire, da indossare, ma perché smettere? Io non soffro di gelosie per gli altri sarti. Voglio fare da sempre il contrario degli altri e andare avanti per la mia strada. I miei vestiti non piacciono alle donne perché non sono affatto sexy e io non voglio che lo siano».
• «La cliente più sexy? Silvana Mangano. Quando arrivò la prima volta, per gli abiti di Teorema di Pier Paolo Pasolini, ero talmente emozionato che non riuscivo a parlare. Magra, pallida, senza un filo di trucco, solo con la fede e una borsa di coccodrillo. Avvolta nella magia del silenzio. Non ho mai più visto una donna così sensuale, e ho avuto la fortuna di farle una trentina di vestiti. Con Sofia Loren, invece non funzionò. Lei indossava gli abiti di Christian Dior e voleva tre vestiti di Capucci. Un onore per me. Mi chiese di provarli nella sua villa a Marino, andai e trovai i paparazzi. “Facciamoci una foto insieme” disse. “No grazie signora, non amo questa pubblicità”. Il nostro rapporto finì lì. Andò anche peggio con Anna Magnani. Arrivò con in braccio il suo bassotto, Lillina. E io, per rispetto al personaggio, le feci trovare le sei vendeuse dell’atelier, tutte con una tunica nera e cinque fili di perle, allineate per riceverla. Lei le guardò con un’aria arrabbiata e brontolò: “Tutte ’ste donne non mi piacciono. Questo non è l’ambiente per me”. Ci fu il gelo. Non fiatai. Lei si fece prendere le misure e ordinò cinque vestiti. Appena uscì, chiamai la direttrice nella mia stanza e avvertii: “Non mettete in prova i vestiti della signora Magnani, non li faremo mai”. In compenso non ho mai perso un suo film e la considero la più grande attrice italiana».• «Romano, classe 1930, sarto straordinario, capace di creare opere che superano il concetto di abito e sconfinano nell’arte. In più di mezzo secolo di carriera ha vestito grandi dame e principesse, star e dive. E un premio Nobel. Capucci lo ricorda ancora l’abito che disegnò per Rita Levi Montalcini. Pannelli in velluto verde smeraldo, blu zaffiro e rosso rubino. “Realizzai un abito lungo” racconta “con un pochino di strascico dicendole: ‘Professoressa, lei sarà l’unica donna che riceve il Nobel in mezzo a tanti uomini in frac. Quando si alza deve essere la regina della sera’. Lei era molto titubante, perché non aveva mai messo un abito lungo e non era andata mai in una sartoria. Guardò la coda e disse: ‘Se lei me l’ha fatta io la porterò’”. Un design onirico, il suo. Sovrapposizioni, ventagli, strascichi, petali, chiffon e arabeschi, mille sfumature della stessa tinta e trionfi barocchi. I tagli fuori dal tempo, le forme astratte, la continua ricerca di tessuti nuovi. Più che abiti, origami da indossare. “Vestire per me e un rito, una magia”» (Micol Passariello) [il venerdì 8/3/2013].
• Nel 1996 mostra memorabile al Teatro Farnese di Parma, poi portata in giro per il mondo (anche a Palazzo Colonna a Roma).
• Nel 2007 è stato inaugurato a Villa Bardini (Firenze) un museo a lui dedicato: «A Roma non c’era posto per me; nessuno m’ha offerto un luogo per la mia Fondazione. Qui, invece, mi hanno steso un tappeto rosso. La mia attività è iniziata proprio a Firenze, nel 1951, e mi piace che il mio archivio stia in questa villa, restaurata e gestita dalla Fondazione Cassa di Risparmio. Esporremo a rotazione 40 dei 400 abiti che costituiscono la mia memoria; in più, ci sono 22 mila schizzi, 20 quaderni di bozzetti, 150 audiovisivi, 40 mila foto, 50 mila articoli. Insomma, è tutta la mia vita» (Fabio Isman).• Nel 2013 protagonista della mostra “Roberto Capucci. La ricerca della regalità”, allestita alla Reggia di Venaria Reale, a Torino: «Un lungo percorso che racconta, attraverso cinquanta creazioni, 32 illustrazioni, bozzetti, video e testimonianze, la sua storia dagli anni Cinquanta a oggi, passando dagli abiti da giorno e da gran sera alle creazioni per il palcoscenico, a quelle per le cerimonie istituzionali e religiose, fino ai grandiosi abiti scultura appositamente ideati per eventi museali. L’esposizione, che dà il via alla nuova stagione culturale della Venaria Reale, celebra anche le donne per cui quegli abiti sono stati creati, da Marilyn Monroe a Valentina Cortese alla soprano Raina Kabaivanska» (Passariello, cit.).
• Nel 2012 ha lanciato il concorso “Roberto Capucci per i giovani designer. Oltre (a)gli abiti – Il design prende una nuova piega”, che si è concluso nell’aprile del 2013.
• A ventisette anni Christian Dior lo definì «il miglior creatore della moda italiana» (Vogue).