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 2012  maggio 28 Lunedì calendario

Biografia di Luigi Caccia Dominioni

• Milano 7 dicembre 1913. Architetto. «Mi sono sempre appassionato agli spazi piccoli e ho sempre dato l’anima per farli sembrare più grandi». Nel 31 si iscrive alla facoltà di Architettura del Politecnico di Milano dove incontra, studenti come lui, i fratelli Castiglioni; Bernasconi che lavorò poi per l’Olivetti; Peressuti e Rogers; Zanuso; Renato Castellani, Lattuada e Comencini, che divennero in seguito registi cinematografici. Ebbe come maestri Moretti e Portaluppi.
• Laureato nel 36, apre uno studio con i fratelli Livio e Piergiacomo Castiglioni e partecipa a diverse Triennali - alla VI nel 36 con la mostra Priorità italiche in arte, alla VII nel 1940 con la presentazione del radioricevitore Phonola a cinque valvole - e ad alcuni importanti concorsi con significative soluzioni innovative. È secondo classificato al concorso per la sistemazione del centro di Fiume nel 39, vincitore del concorso per la sistemazione del centro di Morbegno nel 41 e di quello per la scuola di Vimercate nel 48. Nel 41 sposa Natalia Tosi, dalla quale avrà tre figli. Avendo rifiutato di aderire alla Repubblica di Salò è costretto a rifugiarsi in Svizzera dove resta fino al 45. Al suo rientro apre un proprio studio in uno degli appartamenti della storica dimora di famiglia in piazza Sant’Ambrogio distrutta dai bombardamenti e realizzata nuovamente su suo progetto. Nel 47 fonda assieme all’architetto Ignazio Gardella e all’avvocato Corrado Corradi Dell’Acqua la Azucena, che produrrà artigianalmente arredi e oggetti di design, tra cui le famose maniglie da lui progettate. Intanto si impegna in numerosi progetti legati all’edilizia urbana caratterizzati dalle esigenze rappresentative della nuova borghesia imprenditoriale lombarda: dalla casa di famiglia in piazza Sant’Ambrogio ai condomini di via Nievo, di via Massena, di via XX Settembre, di via Vigoni, di piazza Carbonari; dall’edificio in corso Monforte agli uffici Loro Parisini, dalle cinque sedi per uffici in corso Europa alla ristrutturazione interna della Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana, fino al raccordo tra la chiesa di San Fedele e la Chase Manhattan Bank di piazza Meda. L’attività di designer intrapresa già nel 47 prosegue con la progettazione e messa in produzione di un gran numero di pezzi, come la lampada da terra Monachella del 53 , la poltrona Catilina del 58, la maniglia Melanzana del 60, il piccolo mobile Casaccia del 62, il divano e la poltrona Toro del 73, per arrivare alla panchina in metallo Monforte e alla maniglia Cristallo dell’86. Tra il 67 e il 75 realizza i grandi complessi residenziali di Milano San Felice (in collaborazione con Vico Magistretti), tra il 72 e l’85 il Golf Club di Monticello a Fino Mornasco in provincia di Como, tra il 75 e l’82 il Parc Saint-Roman nel Principato di Monaco, tra il 91 e il 96 i complessi di Garbagnate e di via Mangolfa. Nell’89 progetta la sistemazione di piazza Santo Stefano a Bologna e lo studio per la pedonalizzazione all’interno della Fiera di Milano, nel 90 il Centro Ekotecne tra Lecce e Monteroni.
• «Uno dei più importanti protagonisti della cultura architettonica degli ultimi cinquant’anni. Il suo nome non compare neanche sull’enciclopedia Garzanti e su quella di Pevsner è citato all’interno della voce “Industrial Design”, campo di lavoro in cui egli è stato rilevante, ma non come in quello dell’architettura. Il suo pensiero attraversa diagonalmente il moderno, interpretando il classicismo della tradizione lombarda con la naturalezza e l’eleganza, ma anche il distacco di un architetto moderno: da quei materiali, sembra dire, un milanese non può prescindere pur restando pienamente moderno. È questo che lo distingue dal neoclassicismo dei novecentisti, e che fa di lui un anticipatore dell’interesse di un’intera generazione per la specificità delle tradizioni. Si tratta di un interesse che muove anche verso il tema della rappresentazione. Caccia sostiene infatti che le sue opere, e specialmente i suoi interni, sono ritratti dei clienti, di cui proprio le piante degli edifici sono descrizione privilegiata. Le leggende metropolitane che si raccontano su di lui sono moltissime: riuscì a far spostare di pochi centimetri tutte le finestre di una facciata già eseguite da un imprenditore noto per essere parsimonioso; eseguiva in cantiere, direttamente disegnando sui muri, i dettagli delle sue architetture; una volta segò personalmente una serie di cassetti di una scrivania perché mal eseguiti. Veri o meno, questi racconti descrivono con leggerezza il rigore ferreo di una pratica artistica che non viene ad alcun compromesso con i principi, che non vede distacco tra progettazione ed esecuzione. Le sue architetture hanno una naturale riconoscibilità, un autentico stile. Ha quasi sempre lavorato in un’area geografica limitata, quasi volesse assicurarsi sempre con la conoscenza della solidità e della natura del terreno su cui costruiva. Questo atteggiamento lo accosta ad alcuni architetti del Nord Europa come Kay Eischer o Lewerentz la cui firma internazionale ha faticato a emergere, ma quando è avvenuto si sono costituiti come solidi punti di riferimento» (Vittorio Gregotti).
• La legge generale a cui egli si ispira: «Io sono un piantista: nel senso che sulla pianta ci sono, ci muoio, sia che si tratti di un palazzo per uffici che di un appartamento di sessanta metri quadri. Sono architetto sino in fondo e trovo l’urbanistica ovunque. In realtà l’appartamento è una microcittà, con i suoi percorsi, i suoi vincoli, gli spazi sociali e quelli privati. L’ingresso diretto in soggiorno non lo amo perché non riserva sorprese, mentre il compito dell’architetto io credo sia anche quello di suscitare un succedersi di emozioni. I miei ingressi, le mie scale, persino i mobili sono soluzioni urbanistiche» (a cura di Lauretta Colonnelli).