24 giugno 1965
Il caso Trabucchi
Le
notizie in questi giorni confermate in ordine ai lavori della commissione
parlamentare per i procedimenti di accusa suggeriscono qualche riflessione. I
lavori di questa commissione, coperti dal segreto istruttorio, avrebbero
approdato, come da tempo è noto, alla conclusione che il senatore Trabucchi,
già ministro delle finanze, non dovrebbe essere dalle Camere riunite deferito
al giudizio della corte costituzionale: ci troveremmo dunque di fronte a
qualche cosa di simile a una assoluzione istruttoria. Assoluzione peraltro
dovuta a un voto tutt’altro che unanime. Tredici voti contrari e sette
favorevoli all’accusa per il contrabbando; dodici voti contrari e otto
favorevoli all’accusa per interesse privato; undici voti e contrari e nove
favorevoli all’accusa per l’abuso di potere. Se le non smentite notizie di
stampa sono esatte, dunque non solo l’assoluzione è a maggioranza, ma neppure
si tratta d’una maggioranza travolgente. La notizia di un’assoluzione è sempre
una buona notizia, e non solo per l’imputato ma ancor più, trattandosi di un’ex
ministro, per il Paese. Abbiamo tutti bisogno di poter credere che non siamo
stati governati da uomini capaci di commettere dei reati. Non pensiamo certo
che motivi politici abbiamo determinato il voto dei commissari di maggioranza o
quelli dei commissari di minoranza. Sicuramente, tutti avranno votato secondo
l’imperativo della loro coscienza di galantuomini. ma rimane il fatto che
numerosi galantuomini, pienamente edotti delle circostanze che il segreto
istruttorio ci nega di conoscere, sarebbero stati contrari all’assoluzione. E
se questo pensiero ci disturba, anche se più ancora ci avrebbe disturbato il
sospetto, da noi respinto, che i voti avessero un contenuto politico più che
giudiziario. [...]
Qualcuno
ha parlato di «ragion di Stato repubblicana», e forse l’espressione è felice.
La ragion di Stato repubblicana, è stato detto, non voleva che il senatore
Trabucchi, già ministro, se innocente, venisse condannato; e nemmeno che fosse
trattato con severità: solo, voleva che fosse trattato con perfetta e
trasparente giustizia. Ora, noi non dubitiamo della perfetta giustizia della
commissione parlamentare. Ma giustizia trasparente non si può chiamarla, visto
che è stata celebrata con segreto istruttorio. Si noti che, dopo tutto, la
commissione parlamentare in nessun caso avrebbe dovuto o potuto condannare il
senatore Trabucchi. Tutto quello che la commissione avrebbe potuto fare sarebbe
stato proporre alle Camere riunite che decidessero, secondo la costituzione
della Repubblica, la messa in stato di accusa. Dopo di che il senatore
Trabucchi non sarebbe stato abbandonato nelle mani di un tribunale di parte,
ma, al contrario, sottoposto al giudizio di quel sereno, alto, prudente giudice
che è la corte istituzionale.
Se, come è doveroso credere fino a prova del contrario, il senatore Trabucchi è
innocente, meglio per lui sarebbe stato concludere vittoriosamente il suo caso
con un favorevole giudizio della corte costituzionale. Il senatore Trabucchi
non può rallegrarsi di quanto accaduto. E meno ancora può rallegrarsene il
Paese.
Si consideri che l’accusa contro di lui era stata trasmessa al Parlamento non
da un privato, ma da un magistrato, il procuratore della Repubblica. Si
consideri che il prestigio morale della magistratura italiana in questo momento
è particolarmente alto, e che fa contrasto, con i giudizi correnti, a ragione o
a torto, intorno alla nostra classe politica. Il vigore con cui la magistratura
ha messo a nudo le nostre gravi disfunzioni amministrative, e anche
l’inefficienza dei controlli, di quelli politici come di quelli amministrativi,
ha sollevato verso di essa una incontenibile ondata di appassionata speranza.
Con tutto ciò, anche la magistratura può sbagliare: ma la «ragion di Stato
repubblicana» esigeva, in tali condizioni, che tutto fosse pubblicamente
dibattuto, e pubblicamente definito. Esigeva che una trasparente evidenza
disarmasse anche il più fazioso e prevenuto avversario della nostra classe
politica; e soprattutto esigeva che il prestigio del Parlamento venisse
mantenuto ben alto, al disopra di ogni prevenzione antidemocratica e di ogni
calunniosa malizia.
Non dimentichiamo che il Parlamento costituisce il fulcro e il Palladio delle
libere istituzioni: anche per chi, come noi, non ritenga che nel Parlamento
debba concentrarsi la totalità del potere. Tutto ciò che a ragione o a torto
offusca il Parlamento, offusca la Repubblica, inaridisce le ragioni della
nostra libertà.
Le immunità parlamentari e ministeriali sono state create per sottrarre, come è
giusto e necessario, i politici a ogni rischio di faziose persecuzioni: per
questo sono state create, e non per altro.
Guai se l’opinione pubblica è portare a vedere in quelle immunità un privilegio
odioso, che dissolve le responsabilità penali dei politici. Troppi errori sono
stati commessi in questo senso. Basterebbe ricordare quello sventuratissimo e
ormai eterno processo dell’INGIC, bloccato dalla ostinata refrattarietà del
Parlamento di fronte alle richieste di autorizzazione a procedere, in seguito a
quell’enorme scandalo, avanzate dalla magistratura, per reati comuni. E’ sempre
pericoloso anche per un Re di diritto divino considerarsi al di sopra delle
leggi penali: ma come può farlo impunemente una classe politica che chiede la
sua legittimazione al principio della legalità e a quello della democrazia?
Giuseppe Maranini
[Cds 25/6/1965]