Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 1965  giugno 24 Giovedì calendario

Il caso Trabucchi

Le notizie in questi giorni confermate in ordine ai lavori della commissione parlamentare per i procedimenti di accusa suggeriscono qualche riflessione. I lavori di questa commissione, coperti dal segreto istruttorio, avrebbero approdato, come da tempo è noto, alla conclusione che il senatore Trabucchi, già ministro delle finanze, non dovrebbe essere dalle Camere riunite deferito al giudizio della corte costituzionale: ci troveremmo dunque di fronte a qualche cosa di simile a una assoluzione istruttoria. Assoluzione peraltro dovuta a un voto tutt’altro che unanime. Tredici voti contrari e sette favorevoli all’accusa per il contrabbando; dodici voti contrari e otto favorevoli all’accusa per interesse privato; undici voti e contrari e nove favorevoli all’accusa per l’abuso di potere. Se le non smentite notizie di stampa sono esatte, dunque non solo l’assoluzione è a maggioranza, ma neppure si tratta d’una maggioranza travolgente. La notizia di un’assoluzione è sempre una buona notizia, e non solo per l’imputato ma ancor più, trattandosi di un’ex ministro, per il Paese. Abbiamo tutti bisogno di poter credere che non siamo stati governati da uomini capaci di commettere dei reati. Non pensiamo certo che motivi politici abbiamo determinato il voto dei commissari di maggioranza o quelli dei commissari di minoranza. Sicuramente, tutti avranno votato secondo l’imperativo della loro coscienza di galantuomini. ma rimane il fatto che numerosi galantuomini, pienamente edotti delle circostanze che il segreto istruttorio ci nega di conoscere, sarebbero stati contrari all’assoluzione. E se questo pensiero ci disturba, anche se più ancora ci avrebbe disturbato il sospetto, da noi respinto, che i voti avessero un contenuto politico più che giudiziario. [...] Qualcuno ha parlato di «ragion di Stato repubblicana», e forse l’espressione è felice. La ragion di Stato repubblicana, è stato detto, non voleva che il senatore Trabucchi, già ministro, se innocente, venisse condannato; e nemmeno che fosse trattato con severità: solo, voleva che fosse trattato con perfetta e trasparente giustizia. Ora, noi non dubitiamo della perfetta giustizia della commissione parlamentare. Ma giustizia trasparente non si può chiamarla, visto che è stata celebrata con segreto istruttorio. Si noti che, dopo tutto, la commissione parlamentare in nessun caso avrebbe dovuto o potuto condannare il senatore Trabucchi. Tutto quello che la commissione avrebbe potuto fare sarebbe stato proporre alle Camere riunite che decidessero, secondo la costituzione della Repubblica, la messa in stato di accusa. Dopo di che il senatore Trabucchi non sarebbe stato abbandonato nelle mani di un tribunale di parte, ma, al contrario, sottoposto al giudizio di quel sereno, alto, prudente giudice che è la corte istituzionale.
Se, come è doveroso credere fino a prova del contrario, il senatore Trabucchi è innocente, meglio per lui sarebbe stato concludere vittoriosamente il suo caso con un favorevole giudizio della corte costituzionale. Il senatore Trabucchi non può rallegrarsi di quanto accaduto. E meno ancora può rallegrarsene il Paese.
Si consideri che l’accusa contro di lui era stata trasmessa al Parlamento non da un privato, ma da un magistrato, il procuratore della Repubblica. Si consideri che il prestigio morale della magistratura italiana in questo momento è particolarmente alto, e che fa contrasto, con i giudizi correnti, a ragione o a torto, intorno alla nostra classe politica. Il vigore con cui la magistratura ha messo a nudo le nostre gravi disfunzioni amministrative, e anche l’inefficienza dei controlli, di quelli politici come di quelli amministrativi, ha sollevato verso di essa una incontenibile ondata di appassionata speranza. Con tutto ciò, anche la magistratura può sbagliare: ma la «ragion di Stato repubblicana» esigeva, in tali condizioni, che tutto fosse pubblicamente dibattuto, e pubblicamente definito. Esigeva che una trasparente evidenza disarmasse anche il più fazioso e prevenuto avversario della nostra classe politica; e soprattutto esigeva che il prestigio del Parlamento venisse mantenuto ben alto, al disopra di ogni prevenzione antidemocratica e di ogni calunniosa malizia.
Non dimentichiamo che il Parlamento costituisce il fulcro e il Palladio delle libere istituzioni: anche per chi, come noi, non ritenga che nel Parlamento debba concentrarsi la totalità del potere. Tutto ciò che a ragione o a torto offusca il Parlamento, offusca la Repubblica, inaridisce le ragioni della nostra libertà.
Le immunità parlamentari e ministeriali sono state create per sottrarre, come è giusto e necessario, i politici a ogni rischio di faziose persecuzioni: per questo sono state create, e non per altro.
Guai se l’opinione pubblica è portare a vedere in quelle immunità un privilegio odioso, che dissolve le responsabilità penali dei politici. Troppi errori sono stati commessi in questo senso. Basterebbe ricordare quello sventuratissimo e ormai eterno processo dell’INGIC, bloccato dalla ostinata refrattarietà del Parlamento di fronte alle richieste di autorizzazione a procedere, in seguito a quell’enorme scandalo, avanzate dalla magistratura, per reati comuni. E’ sempre pericoloso anche per un Re di diritto divino considerarsi al di sopra delle leggi penali: ma come può farlo impunemente una classe politica che chiede la sua legittimazione al principio della legalità e a quello della democrazia?

Giuseppe Maranini

[Cds 25/6/1965]