Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  gennaio 06 Venerdì calendario

GLI 007 USA: PUTIN ORDINÒ DI INFLUENZARE IL VOTO. SECCA REPLICA DEL PRESIDENTE ELETTO: RISPETTO IL LORO LAVORO, MA GLI HACKER NON HANNO AVUTO SUCCESSO

«Noi riteniamo che il presidente russo Vladimir Putin abbia ordinato una campagna nel 2016 finalizzata ad influenzare le elezioni americane. L’obiettivo era minare la fiducia del pubblico nel processo democratico degli Usa, denigrare il segretario Clinton, danneggiare la sua eleggibilità e potenziale presidenza. Inoltre, riteniamo che Putin e il governo russo avessero sviluppato una chiara preferenza per il presidente eletto Trump».
È durissimo il rapporto congiunto che la comunità dell’intelligence americana, cioè Central Intelligence Agency, Federal Bureau of Investigation e National Security Agency, ha pubblicato ieri, per confermare che il Cremlino ha cercato di aiutare il candidato repubblicano a conquistare la Casa Bianca. Il documento di 25 pagine è stato diffuso proprio dopo il briefing che i capi delle tre agenzie, insieme al direttore nazionale dell’intelligence James Clapper, hanno tenuto a Trump. Dopo l’incontro Donald ha ancora negato che Mosca abbia influenzato il voto dell’8 novembre, creando così le condizioni per uno scontro aperto con i servizi segreti, di cui il 20 gennaio prossimo diventerà l’autorità suprema. In questa maniera si aprono due possibili scenari, entrambi preoccupanti. Il primo un braccio di ferro costante fra la comunità dell’intelligence e la Casa Bianca, che potrebbe andare avanti per i prossimi 4 anni, compromettendo la sicurezza degli Usa. Il secondo è che gli investigatori delle tre agenzie riescano a scoprire un legame diretto, un’intesa o una complicità, fra la campagna elettorale di Trump e gli hacker mobilitati dal Cremlino. Questo provocherebbe non solo la delegittimazione del presidente sul piano politico, ma anche una possibile incriminazione per gli eventuali responsabili.
Ieri pomeriggio il direttore nazionale dell’intelligence Clapper, quello della Cia Brennan, quello dell’Fbi Comey, e quello della Nsa Rogers, sono andati alla Trump Tower di New York per presentare le prove delle incursioni russe nell’archivio digitale del Partito democratico. Una violazione simile a quella che gli uomini del Watergate avevano fatto nel 1972, ma con altri mezzi, e agli ordini dell’ex nemico della Guerra Fredda. L’incontro però non ha cambiato molto l’opinione di Donald, che alla fine ha dichiarato: «Nonostante la Russia, la Cina, altri Paesi e gruppi di persone cerchino costantemente di violare le nostre infrastrutture digitali, non c’è stato assolutamente alcun effetto sul risultato delle elezioni».
Pochi minuti dopo, allora, le tre agenzie hanno pubblicato il rapporto, in cui dicono che non sta a loro determinare l’impatto degli hacker sul voto di novembre, ma non c’è alcun dubbio che ci abbiano provato: «Putin e il governo russo aspiravano ad aiutare l’elezione di Trump, discreditando Clinton e presentandola pubblicamente in luce negativa rispetto a lui». Secondo Cia, Fbi e Nsa, questo è accaduto anche in reazione allo scandalo del doping russo alle Olimpiadi, e al fatto che Hillary era considerata ostile a Mosca. Gli attacchi sono stati gestiti dai servizi segreti militari Gru, e hanno cercato di colpire pure le commissioni elettorali locali, senza però riuscire a compromettere la conta dei voti. Il rapporto aggiunge che «Mosca applicherà le lezioni imparate per futuri sforzi di influenza a livello mondiale, anche contro gli alleati degli Stati Uniti e i loro processi elettorali». Un chiaro riferimento all’Europa, dove quest’anno si voterà in Olanda, Francia e Germania.
Trump smentisce queste conclusioni perché delegittimano la sua elezione, ma alcuni collaboratori hanno anche motivi personali per opporsi, come il consigliere per la sicurezza nazionale Flynn, che era a capo dell’intelligence del Pentagono ma aveva litigato con i colleghi ed era stato allontanato. Brennan e Clapper ora lasceranno i loro posti con l’uscita di Obama, ma Comey e Rogers no. Gli agenti coinvolti nell’inchiesta poi si potrebbero sentire insultati e traditi dal nuovo Presidente, provocando un contrasto che rischia di compromettere la sicurezza degli Usa.

Paolo Mastrolilli, La Stampa 6/1/2017