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 2017  gennaio 06 Venerdì calendario

Non sembra ci sia molto da ridere, di questi tempi. Eppure   è l’emoji più popolare sul pianeta

Non sembra ci sia molto da ridere, di questi tempi. Eppure   è l’emoji più popolare sul pianeta. I francesi — chi altro? — preferiscono però   , secondo nella classifica internazionale. Al terzo posto assoluto l’affettuoso   , seguito dal tenero   e dal classico   . Non c’è che dire: il mondo, quando comunica, è felice. Oppure, nascosto dietro un disegno, finge di esserlo. A questi risultati sono giunti i ricercatori della University of Michigan e della università di Pechino. Hanno analizzato 427 milioni di messaggi usciti da 4 milioni di smartphone in 212 Paesi. I francesi sono risultati gli utilizzatori più appassionati — un messaggio su cinque contiene un emoji — seguiti a distanza da russi e americani (i messaggi illustrati, negli USA e in Russia, sono uno su dieci). Il primato degli emoji negativi va a Messico, Colombia, Perù e Israele. L’interpretazione dei ricercatori: sono società dove i legami tra le persone sono più stretti e le emozioni scorrono più liberamente. Prima di chiederci se questo successo planetario fosse prevedibile, una distinzione: un emoticon non è un emoji. Il primo risale al 1982. Scott Fahlman, computer scientist della Carnegie Mellon University, suggerì che :-) potesse essere utilizzato per indicare uno scherzo (l’ironia non è mai stata una virtù accademica, né una specialità americana). Il nome — emoticon — è arrivato dopo, dalla fusione di «emotion» e «icon». Gli emoji, invece, sono stati creati alla fine degli anni Novanta dalla NTT DoCoMo, una società di comunicazione giapponese. Il vocabolo moji significa, più o meno, «pittogramma». Gli emoji, infatti, non sono soltanto una combinazione di segni grafici: sono veri e propri disegni. Provate a raccontare che ieri sera vi siete messi eleganti, usando i segni di punteggiatura. Così      è più facile. Gli emoji rappresentano un geniale e trionfale ritorno al passato. Geroglifici moderni, una risposta colorata alla torre di Babele, che ha separato le lingue del mondo. I volti — gli oggetti, gli animali, la piante, gli strumenti — cambiano nome, in bocca agli umani. Ma non sostanza ai nostri occhi. Una   si chiama in tanti modi; ma si beve allo stesso modo in ogni parte del mondo. La   scende dovunque, in quantità diverse. La grazia femminile non cambia   (la lunghezza del vestito, sì). Gli emoji hanno arricchito la comunicazione scritta, personale e immediata, iniziata venticinque anni fa con i testi brevi (sms), continuata con i messaggi social e le app dedicate (WhatsApp in testa). I neo-disegnini rispondono a una salutare domanda sintesi; offrono originalità di massa; e consentono di combinare espressività e cautela. Tutti siamo rimasti lusingati, ricevendo   . Tutti abbiamo esagerato la nostra preoccupazione, inviando   (nome tecnico: OMGFace, faccia Oh My God!, o mio Dio!). Tutti abbiamo manifestato tristezza   , rassicurato   , sospirato   o preso in giro   . Domanda: quando durerà il gioco? L’impressione è che alcuni tra noi stiano cominciando a chiedersi: le vecchie parole non sono più adatte per portare le emozioni? Dietro «Sai che ti voglio bene?» si intuisce un sentimento. Dietro   si comincia a sentire il profumo dell’emozione preconfezionata.