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 2017  gennaio 04 Mercoledì calendario

LA GUERRA DEI TATA CHE DIVIDE L’INDIA. CYRUS IL GIOVANE CONTRO IL RE RATAN

PECHINO No, nel secolo e mezzo che ha segnato l’ascesa di questo colosso da oltre 100 miliardi di dollari, nessuno si era mai sognato di trattare così, come un tappeto, i potentissimi Tata che da Jamsetji a Ratan si sono succeduti sul trono di famiglia. Tappeto persiano, per carità, riccamente intrecciato come questa famiglia che nel subcontinente immigrò dalla Persia, ma pur sempre tappeto. Per farlo, per mettere alla gogna proprio lui, Ratan Tata, 78 anni, l’uomo che nell’India soffocata dal malaffare tutti chiamavano Mister Clean, il signor Mani Pulite, accusandolo adesso di mala gestione e adombrando perfino la corruzione, ci voleva qualcuno se non della sua altezza quantomeno della sua stirpe. E infatti, come si intuisce già dal nome, Cyrus Mistry, l’uomo che ha portato l’impero Tata in tribunale, nell’udienza che il 31 gennaio farà il botto che segnerà il vero capodanno indiano, è lui stesso titolato esponente di quella comunità di cui conosce troppi segreti. E per almeno due buoni motivi. Primo: negli ultimi quattro anni, e fino al licenziamento del 24 ottobre, Cyrus il giovane, 53 anni, è stato il presidente della compagnia da 600mila dipendenti in cento paesi del mondo, chiamato a succedergli dallo stesso Ratan. Secondo: è ormai più di mezzo secolo che la famiglia Mistry è il maggiore azionista di questa multinazionale che produce di tutto, dall’acciaio alle automobili, passando per la gestione del Taj Mahal Palace Hotel tragicamente famoso per l’assalto terrorista del 2008 fino al Pierre Hotel, gioiello di New York. E formando, con quel pacchetto cresciuto fino al 18.85 %, il secondo gruppo azionario privato dopo quello di famiglia, bel saldo al 66%. Dice ora la “France Press” che la guerra tra Mistry e Tata ha già bruciato 9 miliardi del valore collettivo delle 8 grandi compagnie quotate del colosso. Sì, Ratan il Vecchio sostiene che le accuse di Cyrus il Giovane siano motivate solo da “animosità” nei suoi confronti, e che l’etica del gruppo noto anche per la sua filantropia, è adesso “minacciata da chi è ben noto per non praticare quel che predica”. Mistry sostiene invece di essere stato cacciato per aver cercato di ridurre i 30 miliardi di debiti dell’Impero che ha conquistato, è vero, i nobili marchi Jaguar e Land Rover, ma anche concepito quel flop di microcar che col senno di poi nessuno avrebbe dovuto chiamare, appunto, Nano. Per non parlare dei miliardi, forse 10, che le acciaierie perdono in Europa, a cominciare dall’Inghilterra dove Mistry voleva sloggiare. Non basta. Dicono che la vera colpa del primo dei non-Tata a sedere sul trono di famiglia (anche se sua sorella ha poi sposato un fratellastro di Ratan) sia stata provare a fare terra bruciata intorno agli amici del patriarca: come quel C. Sivasankaran accusato di aver fatto perdere alla ditta 100 milioni in un oscuro deal, oltre che occupare al modico prezzo di 11mila dollari al mese la lussuosissima penthouse aziendale che ne vale il doppio.
No che non sono “spetteguless” in salsa Bollywood. Nella lettera d’addio il presidente defenestrato accusa una delle joint venture della multinazionale, la compagnia aerea AirAsia, di “transazioni fraudolente” per 3 milioni: sono io, dice, quello che stava lottando “per proteggere il gruppo dalle decisioni capricciose del suo presidente ad interim”. Cioè Ratan stesso. Il fatto è che i 3 milioni di cui parla sarebbero poca cosa rispetto ai 250 che il gruppo avrebbe versato a una società paravento nel tentativo di accaparrarsi la più importante licenza di telecomunicazioni del paese. Si tratta, a dire il vero, di un’inchiesta parallela, e le accuse di Mistry qui non c’entrano. Ma il “New York Times” sostiene di aver visionato il dossier di una commissione governativa che nel 2013 aveva chiesto di indagare Ratan in quella che era stata una delle più grandi inchieste-scandalo dell’India: e che dalle aule di giustizia a quelle della politica aveva finito per travolgere il partito del Congresso che fu di Indira Gandhi, aprendo poi la strada al trionfo di Narendra Modi. Perché allora nulla si mosse? Forse proprio perché nessuno, allora, nella solita India soffocata da intrighi e corruzione, si sarebbe mai sognato di poter trattare Mister Tata come un tappeto. Nessuno: fino all’ascesa e caduta di Cyrus il Persiano.