Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2017  gennaio 04 Mercoledì calendario

PRANDELLI SI SFOGA: «IO TRADITO. MA VOGLIO RIPARTIRE» - «Non potevo restare al Valencia. Ero delegittimato verso la squadra e i tifosi»

PRANDELLI SI SFOGA: «IO TRADITO. MA VOGLIO RIPARTIRE» - «Non potevo restare al Valencia. Ero delegittimato verso la squadra e i tifosi». Cesare Prandelli è un fiume, si sfoga dopo le improvvise dimissioni di fine anno, un paio di volte si scusa «perché ho tanta adrenalina addosso e voglia di parlare». Proprio non se l’aspettava che sarebbe finita così: «Le premesse erano molto diverse». Lei ha detto una cosa, il Valencia un’altra: cos’è successo? «Mi avevano promesso rinforzi, un investimento di 30 milioni poi molto ridotto. Ero stato a Singapore a parlare con la proprietà. Avevo detto: “Ci sono problemi, ho bisogno almeno di un centravanti, due centrocampisti, un difensore sterno”. Risposta: “Ok”. E vado subito su Zaza, ideale per il mio progetto». Uno che ha una voglia infinita di rivincita. «Chiudiamo con la Juve. Parlo con il papà, Antonio, e gli chiedo il permesso di contattare Simone. Lui ha carattere, personalità, è d’accordo e lo aspetto il 28 per il primo allenamento. Non posso perdere tempo. E invece la società blocca tutto e il 29 dicembre la vicepresidente, in videoconferenza, dice: “Avete 24 ore per scegliere un centrocampista o un attaccante”. Ma come, dico io, la punta centrale è già fatta! Nessuna risposta. Allora mi prendo 24 ore di riflessione e poi mi dimetto: non abbiamo preso un giocatore... già preso. Missione finita». Dimissioni e addio stipendio... «Due anni. Era un gran bel contratto, le assicuro. Se volevo fare il furbo avrei aspettato l’esonero, ma non sono fatto così. Mi pagheranno i tre mesi. Avevano il problema del monte stipendi, volevano ridurlo, ma gli ho ricordato che quei contratti li avevano firmati loro». E pensare che tutta la Spagna l’aveva applaudita per la sconfitta all’ultimo con il Barça. «Una partita straordinaria che abbiamo pagato dopo: avevamo dato troppo. Si sono infortunati Nani, Garay, Mangala e Perez, la squadra s’è dimostrata un po’ fragile. E tendeva a giocare un calcio d’appoggio, di triangoli: puoi farlo se hai la qualità del Barcellona, al Valencia chiedevo più profondità e aggressione. Ci sono tanti giovani di prospettiva, ma in situazioni così ci vuole gente esperta: alcuni li ho visti piangere per i fischi del Mestalla». Com’è il calcio spagnolo? Superiore al nostro? «La base tecnica è altissima, non c’è gara. Organizzati, strutturati, lavorano sul possesso e scelgono sempre soluzioni e giocatori offensivi. In allenamento praticano un “torello” tattico che è un’evoluzione del nostro. Non speculano mai sul vantaggio, giocano fino al 90’ e anzi negli ultimi minuti succede di tutto e il pubblico se lo aspetta. Però tatticamente sono più monotoni». In che senso? «Giocano tutti con il 4-2-3-1, anche se a volte camuffato. Ma il sistema è quello. Noi, tecnicamente inferiori, cerchiamo più soluzioni e corriamo di più: loro hanno meno intensità». A proposito di confronti: tra poco il Real Madrid sfida la più spagnola delle italiane, il Napoli. «E proprio per questo in Spagna il Napoli fa paura. Le dico solo che, quando nello spogliatoio abbiamo visto le partite di Champions, i giocatori mi hanno detto: “Questa è la squadra più forte d’Europa!”. Il Real non ha ancora vinto». Più forte il Real o il Barcellona? «Il Barcellona al completo, e al top fisico, è la più forte del mondo. Il Real Madrid è solido, convinto, con grandi valori tecnici». Se dico Brasile cosa le viene in mente? «Visto che siamo in tema, le dimissioni. Nient’altro, mi spiace». Dopo lei ha fatto un po’ fatica... «Al Galatasaray ero terzo e mi hanno esonerato: capirà che non c’entrano i motivi tecnici. A Valencia ho cercato di sistemare in due mesi una squadra non mia: è difficile se non scegli i giocatori. Ma io ci sono, sono sempre lo stesso, cerco il gioco e il risultato come nel 2012. Con la forza delle buone maniere». La sua prima Nazionale era un esempio di bel calcio. «Se hai qualità con Pirlo, Verratti, Marchisio, De Rossi e Motta puoi anche mettere in discussione il modulo: i risultati hanno premiato. Non sempre puoi scegliere, possono farlo soprattutto i tecnici inglesi che sono manager. Se mi ritrovo una squadra con un centrocampo lentissimo come posso proporre un gioco diverso?». Eppure anche i ricchi piangono: il manager Guardiola parla di ritiro imminente. «Non è una boutade, non mi meraviglio: questo lavoro logora, è unico, stressante. A tanti, a quell’età, viene il momento del ripensamento, l’idea di lasciare. Ma poi due successi ti ricaricano subito. Solo non concludete che Guardiola non ha le palle: il tempo è galantuomo e uno come lui le ha da quando ha cominciato a giocare. Chi arriva a certi livelli le ha. Pensa che Sarri non le avesse anche in prima categoria?». Si dice che anche Allegri alla Juve senta il peso del terzo anno... «Non credo che la convivenza sia faticosa, soprattutto se sei in buoni rapporti col club. Se vinci e rivinci non ti logori». Lei ha mai pensato di lasciare? «Un pensiero così forte, no, mai avuto. Ma l’idea di non allenare all’infinito sì. Se si parla di Trapattoni dobbiamo metterci tutti sull’attenti, ma lui è unico. Se tutti fossero come lui sarebbe un problema...». Non invidia Ventura e i giovani con i quali può lavorare? «Ventura mi piace, è arrivato a grandi livelli magari più tardi, proponendo sempre bel gioco, fin dal Giarre. Uno sempre motivato e aggiornato, in Europa studiano il suo calcio». E questi giovani? «Che ci siano, ancora intendo, è bellissimo per il nostro movimento. Vuol dire che non ci siamo fermati. Ventura sa come fare: a volte dovrà puntare sul risultato, altre potrà cercare il gioco. Il problema è che questi giovani faranno esperienza internazionale in Nazionale: quanti sono titolari in club di coppe? Pochi. Quanti giocano nell’Inter e nel Napoli?». L’Inter è una delle squadre alle quali il suo nome è stato affiancato. L’altra è la Lazio: lei ha parlato del valore non elevatissimo di una stretta di mano con Lotito. Come le vede adesso? «Tecnicamente la Lazio è una delle squadre più forti d’Italia. Ha grande qualità ed enormi margini di miglioramento. L’Inter ha bisogno di ristrutturarsi. In Spagna ho provato a mie spese la situazione di una proprietà non del posto, i chilometri delle comunicazione che a volte s’interrompono... Pioli però è uno degli allenatori più preparati». Quando si vede la mano del tecnico: il Milan è di Montella, no? «Le sue squadre sono riconoscibilissime, ha nel Dna un tipo di calcio ben preciso. Anche nella Samp non aveva gli uomini adatti, ma si vedeva che era una sua squadra. E al Milan mi sembra abbia acquistato praticità: si sta completando». Tiqui-taca e falso nueve, scomparsa del «10» e difese a tre... dove va il calcio? «Sicuramente non si va verso un calcio fotocopia. In Spagna, Barça e Real esprimono due filosofie quasi opposte. In Inghilterra il Chelsea di Conte sta offrendo un’interpretazione straordinaria del 3-4-3. In Germania il Bayern di Ancelotti propone altro. Il City è Guardiola. Poi si cercherà di tenere ritmi sempre più alti: quindi saranno privilegiati i talenti con fisicità». Per esempio? «Nel City c’è il tedesco Sané, classe enorme, velocità, forza. E in Italia il nome è Bernardeschi. Ha tutto: qualità, corsa, resistenza. È il prototipo di giocatore perfetto per il futuro che è già presente. Giocatori che si integrano nella squadra. Di Messi ne nascono pochi...». Messi è fuori gara? «Solo Messi può permettersi di gestire il suo calcio al di là dei moduli della squadra. Possiamo dire che un po’ scompagina i moduli». Dybala sembra il più vicino, oggi, all’«archetipo» Messi... «Dybala ha qualità enormi, fa gol, non dà punti di riferimento, ma è più seconda punta o, meglio, attaccante atipico». Più simile a Sivori? «Se pensi al piede sinistro, all’eleganza, al baricentro basso, sì. Ma per quello che ricordo ha più corsa e profondità, mentre Sivori a centrocampo si faceva valere di più. Dybala mi pare più da metà campo offensiva». Il Barcellona gioca con tre punte, Lippi ha detto che anche la Juve può permetterselo, ch enon è un’eresia. O no? «Certo che si può. Ma il Barça ha una punta centrale, Suarez, una esterna, Neymar, e uno come Messi che gioca dovunque. La Juve ha due centrali come Higuain e Mandzukic, due giocatori su tre sono simili: aprire il fronte d’attacco diventa più complicato». Se ne parla perché Pjanic non sta dando il massimo.. «Alla Roma era uno dei centrocampisti più forti d’Europa, tocchi, gol, visione di gioco. E molto libero. Ecco, forse, nella Juventus così organizzata non può prendersi queste libertà. Ma il giocatore non si discute». Tornando in Italia, il fenomeno annunciato sarebbe Berardi sul cui carattere non ci sono certezze. «Tecnicamente straordinario, valori altissimi. Del carattere, poi, non so». Il famoso carattere: Balotelli forse a lei ha dato meno di quanto ricevuto. Rimpianti? «Non so se mi ha dato meno ma, se credi in qualcuno o qualcosa, insisti. Quest’anno Mario ha ancora la possibilità di essere quello che tutti pensano. Dipende da lui. Forse finora non è stato il calcio la sua priorità. Ha tecnica, potenza, gol, visione di gioco . Poi ci vuole la motivazione, la voglia di migliorarsi, i sacrifici tutti, tutti, tutti i santi giorni. Comunque rifarei quello che ho fatto». La scuola italiana è sempre ai vertici: Ranieri lunedì potrebbe essere eletto allenatore dell’anno dalla Fifa. «Un’impresa che resterà nella storia. Ha preso una squadra che doveva retrocedere e ha vinto semplicemente con la sua umanità, senza mai esasperare i concetti. Si è fatto amare dai giocatori. Io voterò sempre Ranieri. La nostra scuola non è malaccio». Prandelli, è già pronto per tornare in panchina? «Sono determinato, adrenalinico, motivatissimo, ma non ho lasciato il Valencia per andare in un’altra squadra. Fatemi solo recuperare due idee e ne riparliamo presto: non ho in mente di ritirarmi, io».