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 2015  marzo 08 Domenica calendario

GLI ANNI (RI)BELLI DELLA RAGAZZA CLARA

La Rivoluzione Clara Sereni la fece in via Ripetta, in quella splendida porzione di Roma compresa tra Campo de’ Fiori e piazza del Popolo. «La causa prima fu che sono snob» ammette subito. «La casa mia la volevo proprio lì». Soldi pochi, ricerche lunghissime e il bisogno di «emanciparsi», così si diceva in quegli anni, fra il ’68 e il ’77, più o meno il decennio in cui la scrittrice abitò in quell’appartamento. Quattro piani di scale a chiocciola, uno stanzone luminoso con soffitto a cassettoni, a due passi da piazza Navona «dove tutto succedeva, ci si incontrava, si discuteva e cantava». Emanciparsi, per Clara Sereni, figlia di Emilio, influente (e ingombrante) dirigente del Partito comunista, significa anche non iscriversi al Pci, restare «cane sciolto», aprire in qualche modo la discussione (in certi casi le ostilità) con la famiglia d’origine.
Pubblico e privato allora erano la stessa cosa, ma prevale il primo nella ricostruzione che Clara Sereni fa della sua vita in questo memoir edito da Giunti (è candidato allo Strega) che si intitola appunto Via Ripetta 155. Con arguzia e trattenuta tenerezza la scrittrice che in Casalinghitudine (Einaudi, 1987) indagò se stessa e la sua famiglia attraverso i piatti che mangiavano, guarda indietro a quella ventenne magrissima che amava il canto popolare alla Giovanna Marini, la politica, la «partecipazione» e la vita di gruppo. Chiunque poteva fermarsi in via Ripetta, magari a mangiare pane e spaghetti, magari dopo aver aiutato a trasportare un mobile recuperato chissà dove.
Rimane sullo sfondo, ma non è un fantasma, il clima di quegli anni: le proteste, i cortei, gli scontri, la campagna di Lotta Continua contro il commissario Calabresi, le bombe, piazza Fontana, piazza della Loggia, la lotta armata come sconfitta di tutte le speranze che il Sessantotto aveva seminato. E poi il referendum sul divorzio, l’austerità, le domeniche a piedi. In primo piano c’è la vita della «ragazza Clara»: i lavoretti precari e mal retribuiti, il cinema, la libertà sessuale sentita quasi come un dovere, gli amici (come Luigi De Gregori, fratello di Francesco), gli amori (alcuni occasionali, uno grande e infelice, poi l’incontro con Stefano Rulli che sarebbe diventato il compagno di vita), un tentativo forse poco convinto di suicidio a cui reagisce facendo l’unica cosa di cui si sente capace: «Riunire ogni possibile energia e saltare oltre il fosso di quel che era accaduto, cosicché chi non sapeva ignorasse e chi sapeva potesse dimenticare».
La casa nel frattempo migliora, arriva una stufa a kerosene, la lavastoviglie, il telefono e addirittura la segreteria telefonica, piano piano prende forma un libro dal titolo cervellotico, Sigma Epsilon, candidato al Viareggio Opera prima l’anno (il 1975) in cui viene premiato Padre padrone di Ledda. Quando se ne va da quella casa per trasferirsi con Stefano a Monteverde e costruire «un futuro diverso ma non meno appassionato», tutte le speranze e le utopie sono ancora «colpevolmente» intatte.