Anna Momigliano, Corriere della Sera - La Lettura 8/3/2015, 8 marzo 2015
DALLA TRACCIA DI SANGUE ALL’IDENTIKIT FACCIALE
Un distretto di polizia del South Carolina ha fatto circolare l’identikit di un presunto omicida, sebbene non ci fosse alcun testimone in grado di identificarlo. Le sembianze dell’uomo erano state ricostruite a partire da tracce di Dna, con una controversa tecnica nota come «fenotipizzazione del Dna» che ora sta trovando applicazioni in campo forense. L’idea di fondo è che sia possibile ricostruire alcuni elementi fondamentali di un individuo — il sesso, il colore della pelle o degli occhi, il pronunciamento del naso, dunque anche alcuni elementi del volto — a partire da materiale genetico: insomma simulare il «fenotipo» (l’aspetto esterno) a partire dal «genotipo» (i geni). Esistono società, come Parabon Nanolabs, specializzate nella elaborazione di profili con questa tecnica (nella foto a sinistra una campagna pubblicitaria) . Il problema è che l’unico elemento determinabile con certezza a partire dal Dna è il sesso: non esiste un gene degli occhi azzurri né del naso grosso; esistono geni comuni nelle persone con naso grosso o con occhi azzurri. «Dato il margine di errore, nessuno pensa di utilizzare questa tecnica in tribunale, ma è utile in fase investigativa», spiega a «la Lettura» Charles MacLean, docente di Ricerche legali all’Indiana Tech. Ma la fenotipizzazione del Dna non potrebbe portare alla persecuzione di innocenti o avere implicazioni razziste? «La scienza non ha pregiudizi razziali, i testimoni a volte sì», obietta MacLean. «Un testimone convinto che gli scandinavi siano malvagi potrebbe credere di avere visto un assassino biondo anche se non è così».