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 2015  marzo 08 Domenica calendario

IL CONFESSORE DI ALDO MORO E IL SEGRETO DELLA REPUBBLICA

Chi sa se per monsignor Antonio Meninni è arrivato il momento della verità. Trentasette anni dopo “don Antonello”, padre spirituale e confessore di Aldo Moro, ha l’occasione per dire tutta la verità sui suoi incontri con lo statista dc nel covo delle Brigate rosse. Il nunzio apostolico del Regno Unito, domani si siederà sui banchi della Commissione parlamentare sul sequestro e l’uccisione di Aldo Moro.
Un pezzo della storia tragica d’Italia che ha visto come protagonisti non solo gli assassini delle Br, ma uomini dei servizi segreti deviati, massoni della P2, amici e colleghi di Moro imbelli. “Se devo essere sincero non mi aspetto particolari novità dall’audizione di monsignor Meninni”, ci dice Miguel Gotor, senatore del Pd e membro della Commissione d’inchiesta, ma soprattutto studioso del “caso Moro”, “otto anni di studio matto e disperatissimo”, gli piace dire citando Leopardi. “Intanto – chiarisce il senatore – ritengo importante e significativo che l’alto prelato abbia accettato di confrontarsi con noi, è stato un gesto positivo da parte del Vaticano. Per questa ragione spero che l’audizione sia pubblica, l’unico modo per evitare ricostruzioni fantasiose. Dopo trentasette anni la trasparenza è obbligatoria. Il tempo è passato e monsignore può avere l’occasione di chiarire molti aspetti legati al suo ruolo nella vicenda Moro. Di volta in volta viene indicato come il postino delle lettere che la famiglia Moro indirizzava al presidente, oppure come uno dei protagonisti della mediazione tra il Vaticano e le Brigate rosse”.
Trentasette anni fa, Antonio Meninni era “don Antonello”, viceparroco della parrocchia di Santa Chiara e amico della famiglia Moro. Figlio di un altissimo dirigente dello Ior, la banca del Vaticano all’epoca diretta dal discusso monsignor Marcinkus, don Antonello svolge un ruolo significativo nei 55 giorni di prigionia di Aldo Moro. In quelle ore nella notte più nera della Repubblica, il viceparroco era in contatto col “prigioniero Moro”. Fu Francesco Cossiga, all’epoca del sequestro ministro dell’Interno, a rivelare nel 2008 che Digos e Servizi tenevano sotto controllo i telefoni in uso al sacerdote: “Don Meninni raggiunse Aldo Moro nel covo della Br e noi invece non lo scoprimmo. Avevamo messo sotto controllo il telefono della parrocchia e sotto pedinamento tutta la famiglia e tutti i collaboratori. Ci scappò. Sono convinto che abbia incontrato Moro nella prigione delle Br per raccogliere la sua confessione prima dell’esecuzione dopo la condanna a morte. Seguendolo avremmo potuto ritrovare Moro”. Nessuno seguì l’allora sacerdote che però ha sempre negato di aver varcato la soglia del covo brigatista dove lo statista fu rinchiuso. “Magari avessi potuto incontrare Moro. Purtroppo non mi è stata data la possibilità di offrire consolazione a una persona che mi onorava di affetto e di amicizia”, disse in una intervista rilasciata ad Antonio Padellaro per il Corriere della Sera nel 1979. Dopo quella intervista don Meninni venne sentito dal pm di Roma Domenico Sica. E non fu la prima volta, come rivela il sito cattolico Aleteia.org  , che il prete fu ascoltato da autorità giudiziarie e commissioni parlamentari d’inchiesta. Tanti i misteri sul ruolo svolto dal prete in quei 55 giorni. Era il postino della famiglia Moro? Secondo alcune testimonianze sì.
Qualcuno parla di una trentina di lettere affidate dalla moglie dello statista, la signora Norina, al sacerdote. Che fine hanno fatto? Per Prospero Gallinari, capo delle Br, quelle missive furono bruciate insieme ad una serie di documenti privati, ritenuti dai brigatisti poco influenti e significativi, da lui personalmente. Voci e indiscrezioni giornalistiche succedutesi negli anni, e che fanno parte della lunghissima teoria dei misteri sul caso Moro, parlano di vari incontri tra la vedova dello statista Dc e il prete. La signora Norina chiese più volte se don Meninni avesse davvero incontrato il marito pochi giorni prima la sua barbara uccisione nel bagagliaio della Reault-4 rossa. Il prete rispose di sì, opponendo però il segreto della confessione sui contenuti di quell’incontro. Questa circostanza, come tantissime altre, non è stata mai del tutto verificata. Giovane sacerdote, don Meninni sapeva muoversi. “Stiamo parlando di un giovane uomo di 31 anni catapultato in una storia straordinaria – dice Gotor –, per capire certi atteggiamenti, e anche i silenzi, bisogna andare con la memoria al clima plumbeo dell’epoca”. Il suo telefono era sotto controllo, le conversazioni erano criptiche. “Beh si è fatto tutto quello che si poteva…”, gli dice un uomo mai identificato in una telefonata. Don Meninni riattacca. Le bobine di quelle telefonate non ci sono più. Erano reperti importanti del caso Moro. Sono sparite.
Enrico Fierro, il Fatto Quotidiano 8/3/2015