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 2015  marzo 08 Domenica calendario

GLI AUTONOLEGGI FANTASMA TRA I GHIACCI SCIOLTI DI NUUK

Poche sono le certezze che si mettono nello zaino attraversando il mondo. Una è questa: se ti trovi a Nuuk, capitale della Groenlandia, non noleggiare un’auto. Non serve a niente, non si va da nessuna parte, la città è un nodo sul mare, per uscirne puoi soltanto affidarti a una barca. E allora perché esiste un autonoleggio, perché gli abitanti hanno le loro vetture? Probabilmente la risposta è che la nostra vita è fatta anche di azioni destituite di senso, che continuiamo a compiere attribuendo loro la forza di un rito, anche quando abbiamo smesso di credere. L’abitudine, l’emulazione o l’illusione prendono il posto del significato. E così anche questo spuntone di ghiaccio sempre meno compatto diventa una metafora in liquefazione. C’è del fatalismo sul fronte settentrionale, sciogliendosi gocciola sulla faccia della Terra come lacrime su un volto umano, non troppo umano.
A Nuuk non ci vai, ci finisci, letteralmente. Non è spiegabile perché all’estremità sud del pianeta ci si senta al fondo, e qui invece, al termine, come quando non c’è più niente sopra. Conficcati in un punto senza riferimenti, proiettiamo carte geografiche nella testa e non vediamo una curva oltre la Groenlandia. Nuuk vuol dire Il Capo. Poi sono arrivati i danesi e han preteso, invano, di ribattezzarla Godthab, Buona speranza. Che cosa vuoi sperare? Per sei mesi il giorno dura tre ore (dalle unici alle due), poi l’inverso. Gli inuit stavano lì e aspettavano niente. A noi, che abitiamo qualche piano più sotto, riesce difficile immaginarlo: aspettarsi niente. Saliamo, scendiamo, infiliamo i corridoi, ci teniamo ai corrimani. Per andare dove? È un nodo sul mare, ha una sola uscita.
Gli inuit l’avevano capito. E se la prendevano comoda: arriverà la luce, senza fretta, tanto in fretta passerà. C’è chi ne ha ricavato poesie. I danesi si sono presentati con tutt’altra lena: fare, brigare, ripartire. Per loro gli indigeni sono intralci: sanno solo vivere, bere, dormire. Il primo a cui l’hanno rimproverato deve aver guardato senza capire: che altro dovremmo fare, qui? Che cosa abbiamo da guadagnarci? La risposta era: il riscaldamento. Non quello individuale, quello globale. Tu resti lì, nel tuo nodo in cima al mondo e tutto l’ambaradan che si scatena sotto ti scioglie la terra sotto i piedi. Nel millennio alle spalle, nessuno era mai uscito a marzo senza travestirsi da yeti. Mai una barca aveva lasciato l’ormeggio prima dell’estate. Ora il ghiaccio assedia New York e concede tregua a Nuuk. Le cose cambiano, le persone si adattano. Trovano altri indumenti, nuovi motivi per far festa.
Ce n’è una in periferia, se questo luogo avesse una periferia. Un banchetto, musica, l’immagine di un uomo appesa al muro, lo stesso personaggio che si aggira gongolante stringendo mani e ricevendo congratulazioni. È appena stato eletto sindaco. Di Nuuk? No, di Qornoq. E che cosa sarebbe Qornoq? La domanda esatta è: che cosa era Qornoq? Un villaggio della provincia, sulla baia: case di legno colorate, abitate da pescatori. Autosufficiente. Indipendente. Poi, al piano di sotto, hanno acceso il riscaldamento notte e giorno, estate e inverno, e sono spariti i pesci. Gli abitanti sarebbero morti di fame e li hanno deportati a Nuuk. Le loro case sono diventate un allegro villaggio vacanze per luglio e agosto. Abitano in città, adesso, hanno perso l’autosufficienza, ma hanno ancora l’indipendenza, o qualcosa che le assomiglia. Votano per chi deve governare il loro villaggio fantasma. Mettono in scena la replica più spudorata di quella commedia che è la democrazia: schieramenti, strategie, battute, colpi bassi, fede, malafede, soldi, sesso, bugie, videoriprese e pasticcini. Tutto per eleggere, nella maggior parte dei casi, qualcuno che conterà da poco a niente.
Il sindaco di Qornoq si aggira per l’Europa. E l’Asia. E le Americhe. È sempre molto felice il giorno della vittoria. In quello successivo fa proclami. Poi si accorge di come stanno le cose e non gli resta che rivendicarlo, fiero alibi: non dipende da lui, l’eredità, capite, la congiuntura. È cambiato il clima, hanno sterzato le correnti, si sono svuotate le case. Aveva grandi progetti, ma non c’è più il foglio su cui scriverli. Scende (o sale) il petrolio (o il gas). Crollano le torri o le borse. Si alzano le maree, aumentano concentrazioni e monopoli. Il sindaco di Qornoq va al municipio di Nuuk a farsi spiegare come andrà il mondo, il sindaco di Nuuk va a Copenaghen, quello di Copenaghen a Bruxelles. Ognuno avalla solennemente decisioni prese da altri, perché non può farne a meno. Poi torna alla propria periferia e racconta: «Detto! Fatto! Baciato!».
L’impressione è che Qornoq sia più estesa di quanto dice la mappa e il suo sindaco una maschera buona per tutte le stagioni, anche se lì (al momento) ce ne sono soltanto due. O è “Chiuso”, oppure “Aperto per ferie”. Così va “il mondo sottosopra”.
Gabriele Romagnoli, la Repubblica 8/3/2015