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 2015  marzo 08 Domenica calendario

DALLE PESCHE AL PANE: COSÌ LA LAVA SVELA LE «ECCELLENZE»

Nella città archeologica di Pompei sarà allestita nei prossimi mesi un’esposizione dei reperti alimentari recuperati nel corso degli anni durante gli scavi. I tecnici del Laboratorio di ricerca applicata sono quasi alle battute finali del lavoro di catalogazione del materiale destinato alla mostra. Un‘enorme quantità di frammenti carbonizzati — semi, spezie, piante, gusci d’uovo, legumi, frutti, pane — che sono stati a lungo custoditi nei depositi del Museo archeologico, ma che dal 2009 sono tornati a Pompei per essere conservati all’interno della camera climatizzata di cui il centro di ricerca può disporre.
Nato nel 1994 con alla guida la biologa naturalista Annamaria Ciarallo, che lo ha diretto fino al settembre del 2011, il Laboratorio di ricerca applicata è partito con un grosso impegno nell’ambito dell’archeologia alimentare, ma poi ha dovuto ampliare il raggio di interesse, concentrando gli studi anche in altri campi (in particolare sulle rocce). Ma è a questo gruppo di lavoro che si deve una delle più importanti operazioni di recupero della cultura enogastronomica dell’antica Pompei: l’impianto nell’area degli scavi dei vitigni autoctoni, in tutto e per tutto analoghi a quelli esistenti prima dell’eruzione. Piedirosso, sciascinoso e aglianico che hanno reso l’area archeologica anche area di vendemmia, e hanno portato alla produzione di un vino che gli esperti ritengono identico a quello bevuto dai pompeiani.
Ma se oggi il centro ricerca applicata deve dedicarsi ad altro, anche a scapito delle indagini storiche in campo alimentare, ciò non vuol dire che il tema non sia più di interesse della Soprintendenza e dello stesso attuale direttore del Laboratorio, l’archeologo Ernesto De Carolis. Che ha avviato un’intensa collaborazione con l’Università di Napoli, e in particolare con il Laboratorio di storia della vegetazione, attivo presso il dipartimento di Agraria e diretto dal professor Gaetano Di Pasquale. Il suo staff, composto da giovani ricercatori con competenze che vanno dalla biologia alla geologia e alla stessa archeologia, è molto vicino alla realtà di Pompei, e non solo perché la sede di Agraria è a Portici, che da Pompei dista un niente. Sono vicini perché la loro ricerca non potrebbe in alcun modo prescindere dal territorio degli scavi. «Noi ci occupiamo di storia della vegetazione, e in questo senso lì è un po’ il museo delle meraviglie», dice il professor Di Pasquale. Un elenco di meraviglie restituite dalla lava e dall’impegno di questi studiosi che passano metà del proprio tempo chini su un microscopio e l’altra metà in giro per boschi e terreni armati di pinze e palette. «A Pompei sono stati trovati i datteri, che certo non erano prodotti qui ma venivano importati. La scoperta è però significativa per capire le abitudini alimentari ma anche commerciali dell’epoca», spiega Di Pasquale. E racconta anche di coltivazioni di pesche tra le prime del mondo occidentale («È un frutto nato in Cina e poi sviluppatosi in Persia»).
Testimonianze che riportano a un popolo di grandi contadini, all’avanguardia per i tempi. Ancora il professor Di Pasquale: «Probabilmente lo si deve al mix di popolazioni che abitavano Pompei, e alla commistione tra le loro conoscenze. Ma è certo che le tecniche agricole di cui è rimasta traccia sono avanzatissime rispetto agli standard dell’epoca».
Altre scoperte potrebbero venire dagli studi che i ricercatori di Agraria stanno avviando in campo enologico, con un progetto sulla storia del vino e della viticoltura che li vedrà lavorare accanto ad esperti di genetica. Ovviamente sempre (anche se non solo) a Pompei.