Annamaria Piacentini, Libero 8/3/2015, 8 marzo 2015
UNA VITA DA LEROY
È l’ora di cena, a Montecarlo, quando incontriamo Philippe Leroy, l’attore più prolifico degli ultimi 40 anni. Ha il viso rilassato e un drink in mano. Al Festival della commedia di Ezio Greggio è pronto per ritirare il Premio alla Carriera durante la serata di Gala (in onda tra due settimane su Rete4). Come i personaggi dei suoi film è terribilmente determinato. Temi che in lui ci sia più virtuosismo che anima, ma bastano dieci minuti e qualche battuta per sciogliere il ghiaccio e cogliere la sua gentilezza di azione e di pensiero: «Non amo farmi intervistare», annuncia, «se posso evito sempre. E se accetto e poi mi stanco, vado via». Lo dice con quel sorrisetto ironico che dopo 190 film non ha ancora cancellato. Ripercorriamo con lui le tappe del suo cinema. Da L’occhio selvaggio, di Paolo Cavara, dove interpreta un reporter in giro per il mondo a I cavalieri della vendetta, di Carlos Saura. DaLe voci bianche a Sette uomini d’oro a La Mandragola di Alberto Lattuada. Anche se in Italia lo ricordano nei panni di un personaggio che ha tenuto incollati davanti alla tv milioni di telespettatori Yanez De Gomera nello sceneggiato televisivo Sandokan, di Sergio Sollima. Una carriera divisa tra Francia e Italia, sempre con lo stesso successo. Non si considera una star, ma un attore per caso. E ci confessa: «Sono stato un ufficiale paracadutista e ho fatto la guerra». E allora, partiamo da qui. Leroy, come è cominciata la sua avventura? «Non credo nella scaramanzia, ma posso assicurarle che con tutto ciò che ho vissuto, oggi non dovrei essere qui». Si spieghi meglio. «Sono stato protagonista di esperienze forti, incredibili, perché ho sempre creduto nella mia bandiera. Ero giovane e pieno di sogni quando mi sono arruolato per essere utile al mio Paese. Con il grado di sottotenente, nel ’58 ho combattuto in Algeria e Indocina». Per il suo comportamento ha ricevuto due Legion d’Onore. Ma perché ha scelto di arruolarsi e di rischiare la vita? «Ho sempre creduto in ciò che ho fatto. Ancora oggi penso che sia inutile stare comodamente seduto in poltrona a lamentarsi». Cosa ha fatto dopo il suo rientro a Parigi? «Dopo la guerra ho trovato un lavoro. A Parigi vendevo prodotti chimici per gli americani. Sono sempre stato un tipo molto equilibrato e serio in ogni cosa che facevo. Poi gli americani mi hanno detto: arrivederci e grazie!». Per quale motivo? «Mi hanno chiamato per girare il mio primo film che invece di durare quattro settimane, è terminato dopo nove. Lo ammetto, sono un attore per caso. Infatti, ero indeciso se accettare o meno. Fare l’attore per me era una cosa assurda. Inoltre mi avevano detto che gli attori erano tutti omosessuali». Con tutto il rispetto per gli omosessuali, era una bufala pazzesca. Però il film lo ha fatto, giusto? «Infatti non era vero nulla! Accettai di girare Le trou (Il buco) di Jacques Becher, con Jean Keraudy e Michael Constantin. Un film molto interessante, che non ho mai dimenticato. In seguito, sono andato in Italia». Si dice che sia fuggito in Italia per ragioni politiche, vero o falso? «Sì, ma è acqua passata, meglio non parlarne. Sono arrivato a Roma, era una bella giornata. Mi sono recato a Piazza di Spagna: ero solo, senza soldi e non parlavo l’italiano». Come ha fatto a cavarsela? «Sono stato fortunato. Considero la mia buona stella quella che mi sono tatuato al ritorno dall’Algeria. Stavo per entrare in un alberghetto, ex casa di appuntamenti, quando mi sono sentito chiamare: Leroy, cosa fai in Italia?». Chi era? «Vittorio Caprioli. Parlammo un po’ e lui mi disse: vieni con me, sei un bravo attore e ti voglio nel mio primo film. Era Leoni al sole. Ho accettato per sopravvivere, ma di quel film, non mi sono mai pentito». Di film ne ha girati 190. Qual è quello che ha amato di più? «La vita di Leonardo Da Vinci di Renato Castellani. Una storia formidabile e un personaggio indimenticabile. Mi ha insegnato tutto». Se si volta indietro, quanti errori ha fatto? «Non ho rimpianti, ma di errori ne ho fatti tanti. E me ne frego!». La scelta perfetta è la sua famiglia. Ha sposato Silvia Tortora e ha due figli meravigliosi. Il merito è della sua buona Stella? «Perché no! Sono la cosa più bella e importante della mia vita. Amo mia moglie e i miei figli con cui ho un ottimo rapporto. Si può chiedere di più?». Intanto torna sul grande schermo. Titoli e regie, s’il vous plait... «Ho due progetti in uscita: Una gita a Roma con Claudia Cardinale, per la regia di Karin Proia e La notte è piccola per noi, di Gianfrancesco Lazzotti. Nel frattempo, quando posso mi lancio ancora con il paracadute. I personaggi che ho interpretato spesso erano a rischio. Dalla guerra e dal mio mestiere ho imparato che la vita va vissuta».