David Browne, Rolling Stone 10/2014, 10 ottobre 2014
ROBIN WILLIAMS
Kid Rock se lo aspettava che quella settimana con Robin Williams, nel dicembre 2007, sarebbe stata uno spasso. E infatti non era rimasto deluso. Williams, figlio di un militare della Marina, era già stato in Afghanistan due volte per sollevare il morale delle truppe. Si erano conosciuti qualche mese prima: Williams era arrivato all’improvviso nel backstage di un concerto di Kid Rock e si era messo a imitarlo, cantando le sue canzoni più spinte. Era cominciata un’avventura: durante uno spettacolo in Iraq i due, accompagnati da Lance Armstrong e dal comico Lewis Black, avrebbero cantato blues e poi avrebbero diviso una branda militare in caserma. Mentre tutti cercavano di dormire, Williams aveva cominciato a sparare battute su tutto quello che vedeva (e sentiva), peti di Armstrong compresi. A volte si erano trovati da soli. E in quei momenti Kid Rock aveva visto che il suo nuovo amico aveva anche un lato diverso. Sembrava distrutto dalla vita: «Era allegro e in palla e un minuto dopo piangeva e mi raccontava tutti i suoi problemi personali», dice Rock, «non me l’aspettavo». Così Kid Rock scoprì che Williams stava affrontando il divorzio dalla seconda moglie («Era disperato», ricorda) e che doveva andare in bagno «più o meno ogni quarto d’ora», una conseguenza dei suoi problemi cardiaci. «I comici hanno un lato oscuro, lo sapevo, ma è stata un’esperienza assurda essere in Afghanistan e vedere Robin Williams aprirsi così tanto. Quando andava in profondità, andava davvero... a fondo».
Williams era già da tempo un’istituzione, un attore venerato per le sue lotte benefiche e per la brillantezza ipercinetica della sua mente, che sembrava viaggiare alla velocità di un flipper impazzito. «Era una macchina», ricorda Martin Short, che lo ha conosciuto nel 1979, «era in grado di sparare fuori nomi e personaggi prendendoli da un film che aveva visto nel 1956. Era un genio, ti lasciava senza parole». Williams ha tolto un Oscar come miglior attore non protagonista nel 1997 per Will Hunting - Genio ribelle e nel corso della sua carriera ha alternato ruoli comici molto popolari come PatchAdams e Mrs. Doubtfire a personaggi difficili come i protagonisti di Insomnia, e One Hour Photo. Era anche conosciuto come uno degli attori più generosi di Hollywood, partecipava sempre agli show Co mie Relief in favore dei senzatetto, insieme a Whoopi Goldberg e Billy Crystal, e faceva donazioni alla ricerca contro l’Aids. Aveva parlato in modo sincero dei suoi problemi con alcol e droga, del fallimento dei suoi due matrimoni e di altre questioni personali: «Non conosco la pace interiore», ha detto a Rolling Stone nel 1988, «Non sarò mai uno di quelli che dice: “Sono a posto con me stesso”. Se dici così vuol dire che sei già morto, sei sottoterra». Era capace di trasformare i pensieri suicidi in materiale comico: un giorno, durante le riprese di Mork&Mindy (1978), aveva visto una corda pendere da una trave sul set e aveva fatto finta di impiccarsi: «Lo show da oggi si chiama solo Mindy», aveva scherzato. Nonostante questo, Williams dava sempre l’impressione di avere il controllo della situazione. Nessuno pensava che sarebbe diventato come uno dei tanti artisti che sono stati travolti dai propri demoni. Per lui intrattenere, far ridere la gente e non indugiare su se stesso era la prima priorità. «Parlava dei suoi problemi, ma in modo leggero», ricorda Bob Zmuda, l’organizzatore di Comic Relief, che lo conosceva dagli anni ’70. «Era un po’ depresso, ma chi non lo è? Pensavamo che avesse trovato un modo per gestire i suoi problemi. Ma non era così».
Il concetto di lotta tra luce e ombra è una cosa che Robin Williams ha scoperto presto, da bambino. Figlio di un dirigente della Ford e di una donna che, quando si erano conosciuti, si guadagnava da vivere come modella e attrice, Williams è nato a Chicago nel 1951: «Per mia madre era sempre tutto rose e fiori» ha raccontato, «mio padre invece aveva una visione molto più oscura della vita: “Fa schifo, imparalo in fretta”».
Quando era bambino, la cosa più importante era catturare l’attenzione di sua madre Laurie, una bella donna del Sud originaria del Mississippi che «amava divertirsi e fare festa». «La prima risata è quella che ti cattura per sempre, e di solito è quella dei tuoi genitori. La mia è stata quella di mia madre. Cercavo sempre di farla ridere», ha raccontato. A scuola era stato vittima dei bulli («A volte correvo a casa ,piangendo, e non volevo più mettere piede a scuola. Ma poi tornavo sempre»). Aveva cominciato ad acquisire un po’ di fiducia in se stesso quando era entrato nella squadra di lotta del liceo. Era figlio unico, e a casa aveva un intero piano tutto per sé. Passava ore a giocare con la sua collezione di soldatini, e li faceva parlare, inventandosi per ognuno una voce diversa. Il comico David Steinberg lo ha conosciuto 40 anni fa: «Tutti i comici sono solitari, perché per la maggior parte del tempo sono chiusi in se stessi. Ma in lui c’era una solitudine che non ho mai visto in nessun altro». Nel 1967, quando suo padre Robert era andato in pensione, la famiglia si era trasferita a Tiburon, città benestante nella Baia di San Francisco. Grazie a un corso di recitazione al college, Robin scoprì le gioie dell’improvvisazione. Col sostegno dei suoi genitori si sarebbe trasferito a New York nel 1973 per iscriversi alla Juilliard School, dove stavano studiando anche Christopher Reeve e William Hurt.
Reeve, che sarebbe diventato uno dei suoi migliori amici, ha raccontato: «Non si trovava bene a New York. Era il tipico ragazzo californiano, non era in sintonia con la gente». Nel febbraio del 1976 aveva lasciato la Juilliard School per tornare in California e in poco tempo aveva ottenuto il suo primo ruolo nello spettacolo teatrale The Lover di Harold Pinter, che raccontava la vita sessuale di una coppia tra realtà e fantasia. La regista Cynthia “Kiki” Wallis ha raccontato che Williams era talmente al verde che aveva dovuto prestargli 100 dollari per comprarsi dei vestiti. Ma sul palco andava alla grande, lasciava intravedere la sfrenatezza che lo avrebbe reso famoso: «Il pubblico si divertiva sempre, ma una sera Williams non riusciva ad avere la solita risposta. Allora si è messo a fare un’imitazione di Tarzan e sono scoppiati tutti a ridere. Io gli ho detto: “Hai avuto la tua risata, ma hai infranto le regole”». Non l’avrebbe più fatto durante le altre repliche di The Lover, ma il seme dell’improvvisazione era gettato. Williams cominciò a fare spettacoli comici nei locali di San Francisco: «La mia fidanzata mi aveva lasciato, avevo bisogno di fare qualcosa per vincere la depressione».
Nel 1977 si era trasferito a Los Angeles, ottenendo una parte in una serie con Richard Pryor e in un poco fortunato remake del varietà degli anni ’60 Laugh-In. Nel frattempo continuava a fare pratica nei locali di stand up comedy come il Comedy Store o il The Improv. Era stato anche chiamato nel cast di uno show comico presentato da Steinberg e trasmesso dall’allora emergente canale HBO: «Era sceso dal palco in mezzo al pubblico e aveva cominciato a interagire con tutti, sparando una battuta dietro l’altra. Era fantastico», ricorda Steinberg.
Nello stesso periodo, si era fidanzato con un’altra attrice comica, Elayne Boosler: «Non mi sono mai sentita così corteggiata. Lui aveva un appartamento, ma non l’ho mai visto perché veniva da me tutte le sere». Lui la chiamava Punk o Punkie. Quando Elayne gli chiese se chiamava così anche le sue vecchie fidanzate, lui aveva risposto: «Solo le ultime 14». La gavetta nei club non sarebbe durata a lungo. Nel 1978 il produttore di Happy Days, Garry Marshall, seguendo il suggerimento di suo figlio, si inventa uno show con protagonista un extraterrestre. Robin Williams si presenta all’audizione e ottiene la parte recitando tutte le sue battute a testa in giù. Robin si trasforma in Mork, un visitatore interplanetario che osserva e assimila le manie e le passioni degli umani con la naturalezza e la semplicità di un bambino. Lo fa così bene che gli viene offerta una serie tutta per lui. All’inizio, i suoi manager non sono convinti: «A quell’epoca cinema e tv erano due cose separate e noi pensavamo che privilegiare la tv sarebbe stato un errore», ricorda Larry Brezner, «Garry Marshall cercava di convincermi: “Sarà interessante vederlo commentare la condizione umana dalla prospettiva di un alieno”. E io: “Ma non è mica teatro greco! È televisione!”».
Williams sarebbe riuscito a tirare fuori il massimo da quel ruolo così frivolo, saltellando avanti e indietro per il set vestito con i pantaloni larghi e le bretelle colorate e improvvisando quasi tutte le battute (nella sceneggiatura degli episodi, spesso c’era scritto solo: “Robin fa quello che vuole”). Mork&Mindy debutta nell’autunno del 1978 ed è un successo istantaneo, tanto che nella seconda stagione il compenso di Robin passa da 15mila a 40mila dollari a puntata. «Adorava quel ruolo, non ne aveva mai abbastanza», ricorda Short. «Era contento per tutto, per i soldi, la fama e le porte che gli aveva aperto». Anche i suoi spettacoli di stand up comedy decollano. Il suo modo frenetico di improvvisare ha influenzato un’intera generazione di comici, ma il suo talento era unico: «Non esiste un erede di Robin Williams, perché non è possibile imitare Robin Williams», dice Judd Apatow. «Faceva le cose in un modo così particolare che a nessuno verrebbe mai in mente di rifarle. Ha alzato il livello delle possibilità di un comico, ha spinto molti di noi verso quella strada. E poi sembrava sempre divertirsi un sacco».
La sua vita però sta cambiando velocemente: notti allo Studio 54, pupazzetti di Mork in vendita nei negozi di tutta l’America, la frase “Nanu Nanu” che entra nella storia della cultura pop. Lo scrittore Armistead Maupin, suo amico dai tempi di San Francisco, ricorda: «Capitava che fossimo in macchina da qualche parte e a un certo punto mi dicesse: “Fammi scendere”. Ovunque fosse, i ragazzini gli correvano dietro urlando come matti: “Nanu Nanu”!» . Nel 1980 Williams va a Toronto da Martin Short. Arriva senza valigia, ha solo i vestiti che indossa. Short lo osserva mentre passa ore a guardare i ragazzini che giocano a hockey in strada: «Era troppo famoso per chiedere: “Posso giocare con voi?”. E allora stava lì a guardarli. Era dolce e innocente come un bambino».
La fama ha anche i suoi benefici, osserva Maupin. Una sera vanno insieme a un party a casa del musicista Harry Nillsson, che ha scritto la colonna sonora del primo film interpretato da Williams, Popeye di Robert Altman. Tra gli ospiti c’è anche George Harrison, che lo abbraccia e gli dice: «Mi piace tantissimo quello che fai». Williams, che chiamava tutti “capitano” riesce solo a rispondere: «Grazie, capitano!». Poi esce sul balcone con Maupin, punta il dito verso la sala e dice: «Quello è uno dei fottuti Beatles! I Beatles, capisci?». Quel momento ha rappresentato secondo Maupin il vero raggiungimento della fama: «Eravamo cresciuti tutti adorando qualcuno, e improvvisamente quel qualcuno era Robin».
Negli anni precedenti a Mork&Mindy, il lato sfrenato di Williams era rimasto sotto controllo. Elayne dice di non averlo mai visto ubriaco: «E le droghe non facevano parte della nostra vita. Se avessimo avuto dei soldi, li avremmo spesi piuttosto per comprarci i mobili per la casa». Adesso però Williams può avere tutto quello che vuole. Si butta nella trasgressione degli anni ’70.
Kid Rock racconta che un giorno gli chiese: «Cosa vi facevate durante le riprese di Mork&Mindy? E lui: “Montagne di cocaina!”. Come tutti quelli che hanno provato la cocaina, mi son detto: cazzo, non so come si possa lavorare con quella roba in corpo». Durante la registrazione del suo disco comico Reality... What a Concept, Williams sparisce per un intero weekend di sballo. Mentre sta girando una puntata di Mork&Mindy in Colorado si ferma in un club dove suona una rock band locale, chiama un pusher, compra un po’ di coca e offre allegramente un tiro a tutti. «Mi facevo di cocaina per non parlare con nessuno», ha ammesso a Rolling Stone nel 1988. «Era come un sedativo, un modo per nascondermi dalle persone e da un mondo di cui avevo paura». La tendenza all’eccesso gli aveva creato problemi anche prima della droga: Jay Leno, allora un giovane comico, era così preoccupato delle voci sulle scappatelle di Williams che aveva riunito la coppia: «“Sto cercando un equilibrio”, mi aveva detto lui. “Sì, ma stai usando il tuo cazzo come perno”, gli avevo risposto, con gran piacere di Elayne».
Una notte del 1982 le cose si mettono veramente male. Williams è a Los Angeles, qualcuno gli dice che John Belushi lo vuole conoscere e lui lo raggiunge nel suo bungalow allo Chateau Marmont. Belushi però non sembra per niente contento di ricevere visite e Williams se ne va. Poche ore dopo Belushi viene trovato morto per overdose e Williams si ritrova davanti a un giudice: «Sono stato lì dieci minuti», ha raccontato a Rolling Stone, «ho visto in che condizioni era e me ne sono andato. Non aveva nessuna voglia di conoscermi, era ovviamente impegnato a fare altro. Sono convinto che mi abbiano voluto fregare e mi abbiano fatto andare lì apposta. Sarebbe stato un bel colpo se mi avessero trovato lì con lui, un arresto sensazionale». «Era la scena di un delitto, una faccenda maledettamente seria», ha raccontato Bob Zmuda, «sono sicuro che gli ha dato una bella svegliata».
Dopo quella sera, Williams molla le droghe. Quando Maupin gli offre uno spinello, lui rifiuta. La sua carriera al cinema prima e dopo Mork&Mindy, che va in onda per l’ultima volta nel 1982, è altalenante. In Il mondo secondo Garp e Mosca a New York interpreta ruoli drammatici che non conquistano il pubblico, abituato a vederlo nei panni di Mork. Williams va molto fiero di questi due film. Prende persino lezioni di russo per recitare in Mosca a New York. Dice a Maupin di sentire di meritare una nomination all’Oscar. Ma il ruolo perfetto per mettere insieme la sua vivacità e la sua gentilezza arriva con Good Morning, Vietnam, in cui interpreta il dj della radio della Marina militare americana Adrian Cronauer. Nessuno si aspettava un successo, perché Williams non era un attore di cinema conosciuto e le ferite della guerra in Vietnam erano ancora brucianti: «Molti erano convinti che non avrebbe funzionato», dice il regista Barry Levinson. Lo stesso Williams non sembra abituato a recitare senza il pubblico. Una volta si offre di pagare di tasca sua un secondo ciak di una scena, perché è convinto di non essere stato divertente: «Io gli dicevo: “Robin, non è un problema, credimi, è stato molto divertente”. E lui: “Davvero? Dici sul serio?”». Il successo di Good Morning, Vietnam, per il quale riceve una nomination all’Oscar, rilancia la sua carriera. Nei club continua a essere irresistibile («Era come vedere un concerto jazz di Sonny Rollins», dice il suo amico e manager Peter Asher) e al cinema mette in fila un successo dietro l’altro fino alla fine degli anni ’90: L’attimo fuggente. Risvegli, La Leggenda, del Re Pescatore, Mrs. Doubtfire, la voce del genio in Aladdin. I critici lo accusano di fare troppi film per famiglie, ma il pubblico è con lui: nel 1988 Patch Adams viene stroncato dalla critica, ma guadagna al botteghino l’impressionante cifra di 135 milioni di dollari. Williams prende 20 milioni di dollari a film. La sua carriera decolla, ma la sua vita personale precipita. Arriva il divorzio dalla prima moglie, Valerle Velardi. Si erano conosciuti a San Francisco, dove lei faceva la cameriera, e si erano sposati nel 1978 appena prima di Mork&Mindy: «Era la persona più adatta per farlo stare bene e aveva i piedi per terra» dice di lei Elayne Boosler:
«Quando diventi famoso e muovi così tanti soldi, nessuno ti dice più di no. Invece è la cosa di cui hai più bisogno». Williams però non smette di andare dietro alle altre donne: «Per due o tré volte me ne sono andata di casa», ha detto Velardi a RS nel 1982. Nel 1988 arriva il divorzio e Williams trova subito una nuova compagna, Marsha Graces, la baby sitter di Zachary, il figlio avuto da Valery.
Lui sostiene che la relazione è iniziata dopo la separazione, ma i tabloid si buttano a capofitto sulla storia e lui resta scosso come mai prima d’ora. Fin dai primi anni nei club, Robin Williams aveva sempre avuto bisogno di un pubblico, di una “risposta immediata” come dicono i suoi amici. Maupin ha raccontato un retroscena delle riprese di Una voce nella notte, un thriller del 2006: «C’erano due ragazzini che stavano a guardare da dietro le porte del set. Robin è andato a scherzare con loro e in tré minuti gli ha cambiato la vita».
Il successo di massa non mitiga il suo bisogno di dare sempre spettacolo. Bob Zmuda ha raccontato un incontro con lui nel suo ufficio di San Francisco: «C’eravamo solo io e lui. Robin è andato in panico, sudava freddo, non riusciva a mettere due parole insieme perché non c’era il pubblico». Fino a quando non è arrivata anche sua moglie Marsha: «A quel punto ha schiacciato l’interruttore e ha cominciato a recitare. Saltava letteralmente sulle pareti, mi ha fatto uno show incredibile, avevo le lacrime agli occhi. È andato avanti fino a quando Marsha non ha battuto le mani e ha detto: “Robin, basta!”. Lui si è seduto sulla sedia con la testa bassa, come un bambino che viene sgridato. Non era solo una persona divertente, era uno che aveva bisogno di far ridere gli altri.
Se non lo faceva, non stava bene». Nel 1989, quando nasce sua figlia Zelda (seguita dal figlio Cody nel 1991), Williams si appassiona alla bicicletta, anche perché le sue condizioni di salute gli impediscono di correre. Al momento della sua morte aveva accumulato oltre 50 biciclette, tutte piuttosto costose. Un giorno va nel suo negozio preferito e lo trova chiuso. Aspetta pazientemente per un’ora e inganna il tempo facendo un salto dal parrucchiere a fianco e intrattenendo le signore presenti. Dalla passione per la bicicletta nasce la sua amicizia con Lance Armstrong: i due sono andati spesso a correre insieme, Williams lo ha seguito in molte tappe del Tour de France e a ogni vittoria gli ha regalato un orologio (uno era un Rolex GMT con incisa la frase: “Pedala, vecchio amico”). «Non gliel’ho mai chiesto direttamente», dice Armstrong, «ma penso che la bici per lui fosse una via di fuga. Scherzava sempre: “Mia moglie si è arrabbiata perche ho preso un’altra bici. Le ho detto: “Tesoro, pensa se mi piacessero le Ferrari!”».
La bicicletta lo aiuta a gestire le conseguenze della fama («Poteva stare in mezzo alla gente ma allo stesso tempo mantenere le distanze. Era perfetta per lui», dice Maupin), ma è in arrivo una nuova crisi. Comincia tutto in modo abbastanza innocente nel 2003 in un negozio di liquori in Alaska, durante le riprese del film The Big White. In quel momento la sua carriera sta prendendo nuove direzioni: aveva interpretato uno stampatore di foto disturbato in One Hour Photo e un serial killer in Insomnia al fianco di Al Pacino, poi una star della televisione per bambini depravata in Eliminate Smoochy. Tutti ruoli impegnativi e coraggiosi, lontani dalla sua immagine di comico, per i quali aveva lavorato sodo: «Era talmente abituato a far ridere la gente, che durante le riprese, quando c’era un pausa, cominciava a fare battute. Era come se volesse espellere la sua natura comica fuori dal corpo, prima di rientrare nei panni del personaggio», ha raccontato il regista di One Hour Photo Mark Romanek. «Subito dopo, recitava come se fosse immerso in un bagliore, era l’energia che traeva dall’aver fatto ridere tutti un minuto prima. Dava a ogni scena una patina intensa e strana. Abbiamo usato tutti quei take».
Nessuno di questi film ha lo stesso successo di Mrs. Doubtfire, e Williams comincia a essere preoccupato per la sua carriera. Un giorno entra in un negozio di liquori in Alaska, compra una bottiglia di Jack Daniel’s e se la scola tutta: «Nel giro di una settimana me ne sono comprate così tante che sembravo un sonaglio ambulante», confessò. La sua famiglia lo spinge a entrare in rehab nel 2006. Gli amici e le persone più care si rendono conto che la sua tendenza a improvvisare è un modo per non affrontare i demoni che cominciano a ritornare. Il suo amico Bing Gordon trascorre molte vacanze con lui e la sua famiglia: «Parlava dei problemi con l’alcol ma non della depressione, teneva tutto dentro».
I segnali che qualcosa non va non mancano. Durante un viaggio in barca, Williams arriva sfinito da un lungo periodo di lavoro: «Se ne stava lì seduto a fissare il vuoto, poi all’improvviso qualcuno sulla barca ha detto una parola in tedesco e lui è saltato in piedi improvvisando uno sketch su come avrebbe potuto essere la versione tedesca di Love Boat».
Nel 2009, Williams viene ricoverato per problemi respiratori e subisce un intervento lungo tre ore e mezzo alla valvola cardiaca. Gli rimane una grossa cicatrice in mezzo al petto e parecchio materiale comico: «Mi hanno trapiantato il cuore di una mucca. Pascolare è divertente, faccio anche un ottimo latte!». Ma la pressione di dover essere sempre Robin Williams comincia a trapelare. Nel 2009 Williams si presenta a sorpresa sul bus del team di Armstrong al Tour de France prima di una gara: «Eravamo molto nervosi, la tensione si tagliava con il coltello», ha raccontato il ciclista Levi Leipheimer: «È arrivato e per 30 minuti ha tenuto banco senza fermarsi». Le battute sui francesi e su Armstrong piovono una dopo l’altra: «Doveva essere estenuante essere sempre quello che fa ridere tutti», dice Leipheimer. «Riusciva ad accendersi in una frazione di secondo, ma doveva essere molto stancante».
Nel 2011 la vita di Robin Williams sembra ripartire. Il 21 luglio festeggia 60 anni insieme a Billy Crystal, Maupin e alla sua nuova fidanzata Susan Schneider, una pittrice di San Francisco che ha incontrato davanti a un Apple Store nel 2009. «Funziona quella fantasia camouflage?», lo ha preso in giro lei riferendosi ai suoi pantaloni. «Direi di sì, perché li hai notati», ha risposto lui. Schneider ha 14 anni meno di lui, non beve e lo aiuta a rimettersi in piedi dopo l’intervento al cuore. Tre mesi dopo il suo compleanno, si sposano. Il problema è la carriera. Nel 2010 non fa neanche un film. La sua splendida interpretazione nel ruolo di un padre che sfrutta la morte del figlio per ottenere un po’ di celebrità in Il papà migliore del mondo è passata inosservata, e Williams torna alla televisione, per la prima volta dai tempi di Mork&Mindy, con la serie The Crazy Ones scritta da David E. Kelley, in cui veste i panni del pubblicitario Simon Roberts. Uno dei suoi manager ha raccontato: «Robin era nervoso all’idea di tornare in tv, ma era attirato dalle similitudini con il personaggio di Roberts. Tutti e due sono considerati dei geni nei loro campi ma sono arrivati a un punto in cui devono capire se sono ancora in grado di fare la differenza. Era un ruolo che lo intrigava». Anche i soldi (200mila dollari a episodio) aiutano nella scelta, perché William deve pagare gli alimenti a due ex mogli. In un’intervista rilasciata poco prima del debutto di The Crazy Ones, Williams dice che i compensi dei film indipendenti che ha fatto non sono sufficienti a coprire tutte le sue spese e che ha messo in vendita il suo vigneto di Napa Valley perche «non me lo posso permettere». Il suo manager David Steinberg dice che non c’era niente di vero: «Era il suo modo di prendersi in giro. Era una persona normale e il pubblico lo amava per questo. Ha fatto quella dichiarazione senza pensarci e i giornali l’hanno sbattuta in prima pagina. Gli hanno dato tutti addosso».
«Dentro di sé, Robin ha sempre pensato di non essere abbastanza bravo», dice Bob Zmuda: «Era come se ci fosse sempre un segreto che stava per essere scoperto: “Prima o poi scopriranno che non ho tutto questo talento. Ho ingannato tutti”». Quando The Crazy Ones viene cancellato, Williams la prende male. Due mesi dopo, rientra in rehab nella famosa clinica di Hazelden in Minnesota per «mettere a posto la sua sobrietà». Nello stesso periodo gli viene diagnosticato il morbo di Parkinson. Passa qualche mese a Malibu a casa del suo amico Peter Asher: «Era triste, e non era certo per i soldi. Eravamo tutti preoccupati per lui». Asher non si stupisce quando Williams rientra in rehab nell’estate del 2014.
Il 10 agosto del 2014 è nella sua casa di Tiburon, in California. Resta sveglio fino a tardi, dorme in una stanza separato dalla moglie. Alle 10.30 del mattino del lunedì, quando Susan esce per fare delle commissioni, l’assistente personale di Williams va a controllarlo nella sua camera da letto. Ci ritorna poco prima di mezzogiorno. Trova il suo corpo freddo e senza vita, con i vestiti addosso e una cintura stretta intorno al collo. «Era come se fosse seduto su una sedia», dichiara lo Sceriffo di Marin County durante una conferenza stampa particolarmente intensa. La causa della morte è asfissia per impiccagione. La polizia trova anche un coltello tascabile vicino al cadavere, che presenta tagli superficiali sul polso sinistro. Williams ha tentato di tagliarsi le vene prima di impiccarsi. Aveva 63 anni. Tre giorni dopo, la moglie rivela che era malato di Parkinson. Una notizia che sembra chiarire almeno in parte le ragioni del suo tragico gesto, anche se il suo amico Steinberg ha detto: «Il mistero rimane». Nessuno saprà mai cosa ha fatto sprofondare Robin Williams nella depressione, ma i segnali di una tempesta interiore ci sono tutti: uno stato depressivo come conseguenza dell’intervento al cuore, la delusione per la cancellazione dell’ultimo show e le preoccupazioni per la carriera, il pensiero che il Parkinson non gli avrebbe più permesso di fare ridere la gente come aveva sempre fatto. L’idea che la malattia potesse derubarlo di colpo della dinamicità deve essere stata davvero impossibile da sostenere. Nelle ultime settimane di vita era molto giù di tono. A luglio era stato ripreso da una tv locale all’ingresso di una riunione di “Alcolisti anonimi” a Mill Valley. «Era molto abbattuto», ricorda il cameraman. Aspettava la sceneggiatura del sequel di Mrs. Doubtfire. Per chi ha lavorato con lui in The Crazy Ones, un ricordo rimarrà per sempre indelebile. Stavano girando una ripresa notturna e in un momento di pausa qualcuno ha tirato fuori una chitarra. Robin Williams si è lanciato subito in una canzone: «Erano le due di notte, lui non era certo un ragazzino e invece eccolo lì, a darci dentro», ricorda James Wolk (il Bob Benson di Mad Men). Sono rimasti tutti fermi a guardare, mentre il comico più irrefrenabile della sua generazione cercava il suo posto nel mondo, urlando il suo blues nell’oscurità della notte.