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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

«I PIANI PER L’ATTENTATO A PARIGI NEL QUADERNO DI MATEMATICA»


Parigi Quando i vicini avvertono Rachel che sua figlia Yaël, una volta varcata la porta di casa, indossa puntualmente un lungo abito nero che le copre integralmente il corpo, lei non ci crede. Loro glielo ripetono una, due, tre volte, fino a che Rachel non si decide a frugare nella camera di Yaël, scoprendo sotto il letto l’inimmaginabile per una famiglia di religione ebraica. Due jilbab, uno marrone e uno blu oltremare, e un niqab nero. Tra gli abiti spunta un tappeto da preghiera arrotolato, al cui interno Rachel scopre la presenza di una serie di libri dai titoli fortemente evocativi: “La purificazione”, “Le angosce dell’ultimo giorno”, “Il viaggio verso l’eternità”, “I segni precursori della fine del mondo”. Non vuole crederci, e rifiuta per tre giorni di riferire quanto scoperto a suo marito, senza immaginare che quest’ultimo sospettasse già da molto tempo che qualcosa di grave stava accadendo alla figlia. Yaël, da ormai troppi Shabbat il sabato sacro per gli ebrei si rifiutava di bere vino e di recitare la preghiera, sedendosi barcollante sul bordo della sedia con lo sguardo perso nel vuoto. Al liceo, il più prestigioso di Parigi, era passata da 18 a 2 di media in qualche settimana, e così si era deciso a sua volta di rovistare nei cassetti e negli armadi della camera della figlia. È lì che nascosto tra gli appunti di matematica, trova il piano d’attacco terroristico di Yaël: il bersaglio era la boutique di lusso di famiglia, sugli Champs Elysées. È l’ennesima storia agghiacciante proveniente da una Francia sempre più scossa da una realtà, quella dello jihadismo autoctono, che sembra ormai sfuggita di mano, e che mostra come sempre più adolescenti di ogni estrazione sociale, milieu culturale e confessione religiosa, si lascino sedurre e inghiottire negli abissi dell’islam radicale. L’antropologa Dounia Bouzar, fondatrice del Centro di prevenzione contro le derive settarie legate all’islam, ha racchiuso all’interno del suo ultimo libro, “Ils cherchent le paradis, ils ont trouvé l’enfer”, cento di queste storie da brividi, che da mesi si leggono quotidianamente sulla stampa francese: storie di giovani e giovanissimi, indottrinati in rete all’odio verso l’Occidente e reclutati dai jihadisti tramite i social network, che decidono di abbandonare famiglia, amici e scuola per combattere la guerra santa in Siria. Ma anche storie di genitori disperati e consumati dagli interrogativi sul perché i loro figli abbiano potuto prendere quella via, di madri e padri impotenti, come Sophie e Philippe, incapaci di dare una risposta alla partenza della figlia quindicenne Adèle. «Quando leggerete queste righe io sarò in un posto lontano. Sarò nella Terra promessa, nel Levante. Perché è lì che devo morire per andare in paradiso». Questo è l’ultimo messaggio che hanno trovato tra le pagine del suo libro preferito, poi più nulla. Di Adèle più nessuna traccia. Su Facebook si era scelta uno pseudonimo musulmano per farsi accettare dalla comunità dei jihadisti 2.0: Ouma Hawwa, Eva in arabo. Nel suo profilo si mostrava col niqab e collezionava centinaia di foto dei bambini uccisi da Assad col gas nervino e delle famiglie palestinesi morte tra le rovine, chattando con i “fratelli” e le “sorelle” con le quali, si legge nei messaggi, condivideva una «responsabilità nei confronti dell’universo». Come Sophie e Philippe, anche Nathalie e Bernard non riescono a darsi pace della scomparsa improvvisa della figlia sedicenne Célia. Anche lei, confessano all’autrice, è stata “scelta”. Samy Meriem, giovane madre, si batte quotidianamente per recuperare la figlia di 23 mesi sequestrata dal marito, partito in Siria per fare il jihad. Assia, quindicenne originaria di Villefontaine, è stata fermata appena in tempo alla stazione di Marsiglia, dove era pronta ad imbarcarsi per la Siria. «Disobbedite ai vostri genitori perché non credono in Allah, venite qui e troverete il paradiso», ripetono loro i reclutatori. E invece trovano solo l’inferno.