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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

A MIRAFIORI SI LAVORA TRE GIORNI AL MESE


Matteo Renzi e l’articolo 18?
«Sono convinto che ce la farà: dobbiamo aiutarlo», ha detto Sergio Marchionne lo scorso 24 settembre ad Auburn Hills, quartiere generale americano della Chrysler. Marchionne e la scelta di spostare la sede finanziaria di Fca a Londra e quella legale ad Amsterdam? «Per me è importante mantenere il numero di occupati in Italia», ha risposto Renzi. La sintonia tra il premier e il manager si basa sulla convinzione reciproca che lo Stato debba «eliminare gli ostacoli per investire e creare posti di lavoro». Così l’Italia ce la farà, ha spiegato Renzi, «come ce l’hanno fatta i 15 mila dipendenti Chrysler in questo edificio».
Da quando è stata salvata e rilevata da Fiat, nel 2009, la casa americana ha in effetti assunto parecchia gente: 30 mila in totale, tornando così ai livelli di occupazione pre-crisi. In cambio, va detto, i lavoratori hanno accettato un piano di tagli deciso dal governo Usa,
che ha imposto stipendi quasi dimezzati per i neo assunti. Ma la sostanza non cambia: la strategia di Marchionne ha pagato. In termini economici, fin da subito, e da poco anche per i lavoratori. Lo stesso non si può dire per l’Italia, dove la fusione Fiat-Chrysler per ora non ha prodotto benefici sul fronte dell’occupazione.
Termini Imerese, la fabbrica siciliana dove per ultima è uscita la Lancia Ypsilon, è chiusa da tre anni e la cassa integrazione dei 650 dipendenti diretti scade a fine 2014; se non andranno a segno le avances di Grifa (controllata da un fondo brasiliano) che dice di volerci produrre un’auto ibrida e una elettrica, per loro non s’intravedono soluzioni. Gli altri impianti da cui escono le Fiat sono aperti, ma i ritmi – ultimi dati certi, quelli di marzo - sono ai minimi storici. A Cassino, dove oggi si assembla solo l’Alfa Romeo Giulietta, i 3.800 dipendenti hanno lavorato in media 8 giorni al mese. Stessa storia a Melfi, dove da poche settimane è iniziata la produzione della Jeep Renegade.
A Mirafiori si spera nell’arrivo del Suv Maserati Levante, visto che con la sola Alfa Mito i 3.900 addetti lavorano tre giorni al mese. Finora se l’è cavata meglio Pomigliano: la Panda resta infatti la vettura più venduta dalla Fiat, ma anche per lei gli acquisti stanno diminuendo e i 4.500 dipendenti, finora al lavoro con i contratti di solidarietà, a metà ottobre faranno la prima settimana di cassa integrazione. Il fatto è che per avere piena occupazione nei quattro stabilimenti italiani bisognerebbe produrre un milione di auto all’anno, invece la Fca nel 2013 ne ha messe sul mercato solo 360 mila sulle 4,4 milioni assemblate nel mondo (Chrysler compresa). Colpa della recessione italiana, che ha colpito quasi tutte le marche, ma anche dello spostamento di produzioni all’estero.
Come si vede nel grafico qui a fianco, frutto di una ricerca della Fiom-Cgil che “l’Espresso” ha letto in anteprima, in dieci anni il ruolo dell’Italia nella produzione di auto Fiat si è dimezzato. Perché le vendite sono diventate più internazionali, certo, ma anche perché Marchionne ha puntato sulle fabbriche in Polonia, Serbia, Turchia e Messico. Uno spostamento sempre più rapido: su cento auto Fiat vendute in Italia nel primo trimestre del 2013, la quota di quelle fatte all’estero era del 38 per cento, mentre tra gennaio e marzo di quest’anno la percentuale era già arrivata al 46.