Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

L’IMPORTANTE È STAR MALE

Prendete il figlio di un ferroviere e di una casalinga cresciuto alla borgata Casal Bruciato, già tempio del peggior spaccio romano. Fatelo studiare psicologia e antropologia culturale. Buttatelo nel mondo del lavoro più o meno part-time e precario, dal barista all’allenatore di calcetto. Ne potrebbe uscire un tipo come Emanuele Martorelli, 38 anni, direttore virtuale di un sito che è diventato il fenomeno della rete italiana di quest’anno: “Starmale, mensile di cose brutte, malessere e disagi”. Che non è solo un rovesciamento ironico e parossistico della nota testata di salute “Starbene”, ma è soprattutto un esperimento di comunicazione, di satira e appunto di psicologia contemporanea. In queste pagine potete leggere alcuni dei suoi “strilli” di copertina, che non hanno bisogno di molte spiegazioni: ridiamo di noi, delle nostre sfighe esistenziali già tali o potenziali, delle zone erronee presenti nei nostri comportamenti e nella nostra coscienza. Sia chiaro: “Starmale” non è e non è mai stato un giornale vero: vive solo delle sue copertine, nonostante molti internauti spediscano mail chiedendo di abbonarcisi. E nasce come un gioco del suo inventore, appunto Martorelli, che vi si dedica soprattutto nelle pause pranzo: al mattino fa il videomaker e il musicista freelance; nel pomeriggio ancora insegna calcio ai ragazzini. Il fatto è che dopo le prime uscite delle cover di “Starmale”, è partito il tamtam virale, grazie ai social network. E i suoi fan sono rapidamente diventati decine di migliaia. Così adesso il falso giornale diventa un vero libro: edito da Chiarelettere, sugli scaffali tra poco più di un mese. Conterrà non solo tutte le copertine edite e altre nuove, ma una valanga di idee in linea con la filosofia editoriale della testata: come provocarsi frustrazioni, aumentare le proprie fobie, nutrire le proprie paranoie, rovinarsi socialità, distruggere la propria carriera e mandare in rottami la vita familiare. Non mancano mortificanti test psicoattitudinali. Il tutto in formato gigante, anche con adesivi da ritagliare. L’effetto satirico, ma anche esorcistico, è abbastanza garantito. Per cercare di capire il perché di questo successo, siamo andati direttamente dal suo autore, che in assenza di un ufficio riceve in un bar del quartiere Ostiense.
Martorelli, anzitutto: come sta?
«Molto bene, anche se mi rendo conto che può sembrare un paradosso».
Come le è venuto in mente di fare questa cosa?
«In casa dei miei, a Casal Bruciato, c’era sempre “Starbene”: lo comprava mia madre. Fuori, invece, c’era il quartiere con più eroinomani di Roma. Abbiamo anche avuto un bel record: il primo caso di Aids in Italia. Poi i miei genitori mi hanno fatto studiare, io ho scelto psicologia e poi antropologia. Credo che “Starmale” venga dal mix di queste cose. E altre naturalmente: mi piace fare grafica, video, musica. Adesso comunque a Casal Bruciato si sta meglio, chi doveva morire è morto».
Sì, ma com’è iniziato “Starmale”?
«Una decina d’anni fa ho mandato delle vignette vagamente politiche al “Vernacoliere” di Livorno. Non conoscevo nessuno, ma me le hanno pubblicate. Allora sono diventato un loro collaboratore. Prima gratis, poi hanno iniziato a darmi qualcosa perché gli ho detto che altrimenti dovevano pagarmi lo psicanalista. Ma non ero soddisfatto neanch’io di quello che gli spedivo: ci ho messo un bel po’ ad aggiustare il tiro, a fare tavole di carattere più psicologico. Una volta mi è venuta l’idea di creare qualcosa in totale contrapposizione con le riviste che hanno la pretesa di affrontare il malessere ma in realtà finiscono per banalizzarlo. Io invece volevo l’affondo, l’esagerazione. E così è nata la prima cover di “Starmale”. Gli strilli erano tipo: “L’autoerotismo come stile di vita? Oggi si può!”; “Come rendersi ridicoli durante un funerale”. L’inserto: “Sospettare dei propri cari”. Me l’hanno pubblicata, ma poi per mesi non ne ho fatte altre. E anche quelle dopo sono state sporadiche. Il boom è arrivato un anno fa, quando ho messo la cover del numero 5 sul mio account di Facebook. Quasi duemila condivisioni, gente che mi chiedeva sul social dove poteva trovare il giornale, dozzine di telefonate».
E poi?
«Ho creato il sito e la pagina Facebook della redazione, che al momento in realtà è composta solo da me e da un po’ di collaboratori che vanno e vengono. Una cosa scomponibile, senza una sede: alcuni sono amici, altri colleghi musicisti, artisti vari. A poco a poco il sito è cresciuto molto. Non solo le cover, ma anche tanti altri contenuti coerenti con la nostra linea editoriale: musica, con un gruppo che si chiama Kraptfen e ha un’etichetta indipendente, la Starmale Records; video con spot improbabili su prodotti inventati; un “asocial network”. C’è perfino il merchandising, con i sottobicchieri che vanno dalla serie “svilente” a quella della “stizza”».
Tutto puntato sempre sui disagi umani.
«Sì, perché è un grande rimosso contemporaneo, un tema sempre trattato con un ipocrita eccesso di cautela. Si pensi solo alla depressione, all’ansia, agli psicofarmaci: problemi enormemente diffusi ma affrontati con un riserbo intimorito, apparentemente scientifico ma tutto sommato inutile».
Invece?
«Invece secondo me quest’epoca non va compresa: va somatizzata. L’ho scritto anche in uno dei sottobicchieri del sito. Ecco, l’idea è questa. Basti pensare alla politica: se uno vede in tivù Berlusconi insieme a Renzi e si sofferma a pensarci, impazzisce. Non resta che provare a uscirne in modo paradossale ed esagerato, con lo scherno e l’esasperazione. Un po’ alla Monty Python, insomma».
Con il non-sense, intende dire?
«Veramente a me pare l’unica reazione che abbia un senso, oggi».