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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

NEI DEPOSITI INGLESI DI TESCO GLI OPERAI VENONO CONTROLLATI TRAMITE BRACCIALETTI ELETTRONICI SIMILI A QUELLI DELLA PULSAR E DI SI14 CHE STANNO ARRIVANDO IN ITALIA


«Vai alla corsia numero 3, prendi 10 scatoloni del prodotto XYZ, mettili sul montacarichi numero 72 e poi recati all’uscita 22». Gli ordini all’operaio compaiono su un display collocato sul suo polso. Non è un film di fantascienza. Siamo in Gran Bretagna, patria della rivoluzione industriale, dove da qualche mese il controllo dei lavoratori attraverso braccialetti elettronici è diventato una realtà, nei depositi di Tesco (ma potrebbe essere anche da Marks&Spencer, Sainsbury’s o Boots). Lo smartwatch dei grandi magazzini è molto simile a quello che viene ora lanciato in Italia da Si14 e Pullsar. «Il device entra in azienda e diventa strumento di lavoro per gli operai nel miglioramento dei processi produttivi», recita il comunicato stampa.
Al di là dell’aspetto ludico su cui puntano tra gli altri Apple e Samsung, lo smartwatch da lavoro, design accattivante e simile agli orologi digitali degli anni 80, permette al datore di lavoro di trasformarsi nel Grande Fratello. Il padrone saprà se il dipendente si sta prendendo una pausa autorizzata o meno, dove si trova in qualunque momento della giornata e se è produttivo. Secondo i detrattori (tra questi ci sono i sindacalisti britannici) l’ingresso in fabbrica delle tecnologie indossabili (in inglese wearable technology ) rappresenta un pericolo per l’erosione dei diritti dei lavoratori. Per gli entusiasti – in genere si tratta di chi ha il coltello dalla parte del manico – questi gadget sono invece una manna perché monitorano la salute dei lavoratori, evitando così morti sul lavoro. E non solo. «I braccialetti elettronici consentono di migliorare la produttività», dice chi li percepisce come meri strumenti.
Secondo una ricerca di Michael Blakemore, professore dell’Università di Durham, in Gran Bretagna la diffusione di tali sistemi, anziché rendere il lavoro più efficiente, rischia di trasformare i lavoratori in automi che prendono ordini da computer. Per Ethan Bernstein dell’Harvard Business School, c’è poi la possibilità che scatti il paradosso della trasparenza. Che, tradotto, significa: la produttività degli impiegati diminuisce se questi sanno che il capo li sta spiando. Morale, a guadagnarci sembra essere solo la salute. Un progetto condotto dalla Goldsmiths, University of London, dopo aver monitorato 120 impiegati di una media company, ha stabilito che le tecnologie indossabili (occhiali, braccialetti e orologi) migliorano la postura e la concentrazione dell’8 per cento.
Altro capitolo è la privacy. Le tecnologie indossabili – così come in passato le app e i software – permettono di incamerare una quantità enorme di dati sensibili, fattore che ha fatto schizzare questo mercato da 1,6 a 5 miliardi di dollari. «Se un’azienda chiede ai suoi impiegati di indossare i Google Glass, questa imposizione può essere vissuta come forma di mobbing», ha dichiarato l’avvocato del lavoro Sue McLean a Computer Weekly . Ma, d’altro canto, un dipendente può usare i Google Glass per registrare e divulgare informazioni riservate». Dunque, in attesa che la legge (e gli Stati) trovino un giusto compromesso, c’è poi chi invita a non demonizzare troppo il progresso. «Il controllo della produttività è possibile anche attraverso tecnologie più obsolete come un pc aziendale», sottolinea Filippo Renga coordinatore dell’Osservatorio Mobile della School of Management del Politecnico di Milano. Ma non solo. Sono i meccanismi psicologici a essere ancora i migliori strumenti. «Si pensi alla sottile forma di controllo che c’è dietro l’invio di una mail nel weekend o nel fare una battuta al sottoposto per una sua fotografia che si è vista sulla sua bacheca Facebook», continua Renga. Per controllare un dipendente non è necessaria la Nasa. Basta solo un po’ di psicologia spiccia, molto più economica e meno sanzionabile di un braccialetto elettronico.