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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

DA LIBERALE E ÀPOTA, VOTO PER IL TORO IN SERIE B, CON RISALITA VIETATA PER LEGGE: POTRÒ GODERMI IL CALCIO ANTICO SENZA ADDITIVI O OSCENITÀ

Cari juventini e anti juventini,
siamo alla frutta, il momento molto atteso è arrivato, la soluzione c’è: due Popoli, due Campionati. Una premessa personale. Sono quattro i temi sui quali, da anni, mi auto censuro: Ogm, Articolo 18, Magistratura, Juventus. Ogni tanto mi lascio sfuggire una battuta o un tweet ironico, oltre non vado.
Sulla Magistratura, sto cominciando a vacillare. Più ci avviciniamo al baratro, per esclusiva colpa delle élite al potere (non vogliono saperne di gettare la spugna dopo i disastri che hanno, e stanno combinando, malgrado i travestimenti continui: dal gessato ai jeans, dal loden verde al golfino blu, alla camicia bianca), più vedo la Magistratura come l’ultima spiaggia difensiva contro costoro.
Il motivo per cui invece mai ho voluto scrivere di Juventus, pardon, di «juventini» e «anti juventini», è perché, amando l’Italia e gli italiani, mi seccava sollevare un velo su una delle nostre peggiori oscenità. Ero piccolo, ogni giovedì pomeriggio la mamma mi portava al Filadelfia per l’allenamento del Toro, alla sera papà annegava i problemi che aveva col regime fascista, parlandomi con trasporto del Toro, e dolcemente di Steinbeck, della «Generazione perduta»: io preferivo Mazzola e Maroso ai paisanos del Pian della Tortilla. Già allora aleggiava intorno alla Juve qualcosa di strano, che andava oltre il tifo stracittadino. Mai capii perché alle medie, noi del Toro, maggioranza assoluta, non potevamo avere rapporti «veri» con i compagni della Juve, i più ben vestiti.
Solo quando, a 18 anni, entrai all’officina 5 di Mirafiori lo capii. Fui assegnato al turno del mattino (6-14), alle 12 si andava alla mensa (15 minuti per mangiare), il capo squadra mi chiese se ero del Toro, mi indicò allora di sedermi nel lungo tavolaccio: dal «barachin» (scaldato a bagnomaria) uscirono la pasta al burro e la verdura (nei miei primi 20 anni la mamma ed io vivemmo, inconsapevolmente, da vegani, con brevi scivolate vegetariane). Non capii perché tre colleghi della nostra squadra erano soli in un altro tavolaccio, pur essendoci posto nel nostro. Mi spiegarono, come fosse un’ovvietà, che erano juventini, non degni di stare con noi. Inutile girarci intorno, noi del Toro credevamo di essere a Torino, in realtà eravamo a Montgomery, Alabama (1955, il bus, Rosa Parks, ricordate?).
Vissi in diretta la grande immigrazione dal Sud degli anni ’50, mai, verso i nuovi arrivati, ci fu un sentimento paragonabile a quello fra torinesi filo o anti juventini, checché ne dicessero i sociologi di Ivrea. È 60 anni che colgo questo sentimento, profondo, seppur formalmente nascosto dalla buona educazione. Ha andamento carsico, poi, come è successo domenica scorsa, d’improvviso esplode, provocando lacerazioni profonde, per poi rientrare. Inutile ironizzare, è un sentimento vero, e reciproco, che ci connota tutti. Abbiamo cessato di essere comunisti-democristiani, destra-sinistra ma rimaniamo ferocemente juventini-anti juventini. Perché vale solo verso gli juventini e non per la lotta politica, per le ricette economiche, per la religione? Gli juventini hanno forse visioni della vita, disvalori, comportamenti organizzativi, arroganze, che creano negli altri un bisogno di difesa, e che li fa connotare come nemici mortali?
Non ho certo la preparazione socio-culturale per rispondere a queste domande. In una lettera, Thomas Jefferson scrive all’amico John Adams (suo predecessore come Presidente degli Stati Uniti): «_vi è un’aristocrazia naturale fra gli uomini, fondata sulle virtù e sui talenti, ed una artificiale fondata solo sulla ricchezza, sulla nascita, senza virtù e senza talenti _». Poniamoci due domande estreme. Gli juventini si atteggiano forse ad aristocratici pur essendo individui mediocri, senza virtù e senza talenti? E gli anti juventini sono forse individui ignoranti e loschi discriminatori? Se le cose stanno così, come temo, una soluzione si impone.
Come al solito, le donne sono più sagge (e più sincere), a maggior ragione se vengono dalla terra di Albione, e appartengono all’alta aristocrazia del denaro: l’invito a Francesco Totti ad andarsene dal Campionato italiano è stato liquidatorio. Sorge la domanda: il campionato italiano è forse un’appendice di Vinovo? Siamo a fine percorso, è arrivato il momento di fare un referendum: o con la Juve o con Totti. Ci divideremo con serenità, nasceranno due Popoli, due Campionati. Uno viaggerà su auto americane, l’altro su tedesche, uno si tiene Sergio Marchionne, l’altro Diego Della Valle, uno Albertini, l’altro Tavecchio, uno Platini l’altro Blatter, uno Mughini, l’altro Taormina, e così all’infinito. Dove si collochino Napolitano e Renzi è irrilevante: nel calcio, uno vale uno.
Come liberale e Ápota, io voto per il Toro in B, con risalita vietata per legge: potrò così godermi il calcio antico della mia fanciullezza al Filadelfia, senza additivi e oscene volgarità.
Riccardo Ruggeri, ItaliaOggi 10/10/2014