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 2014  ottobre 10 Venerdì calendario

ARTICOLI SUL RAGAZZINO SEVIZIATO A NAPOLI


LORENZO DEL GAUDIO, IL MESSAGGERO -
Sì, lo riconosco, è stato lui...». Poche parole, pronunciate dopo una notte trascorsa in ospedale, ricoverato nella sala di rianimazione del San Paolo. Le ha pronunciate un ragazzino di 14 anni, studente iscritto al primo anno di una scuola superiore di Pianura. Riuscendo a trovare forza e lucidità per riconoscere il proprio aggressore. Martedì pomeriggio, il 14enne è stato violentato con il tubo dell’aria compressa, all’interno di un autolavaggio vicino alla sua abitazione. Via Padula, Pianura, dunque: il ragazzino aveva accompagnato il padre a lavare auto e scooter, si era intrattenuto con alcuni conoscenti più grandi, che lo hanno preso di mira, ironizzando sul suo peso.
Uno scherzo che si è trasformato in violenza. «Sei grasso - gli dicevano - sei grasso», poi le sevizie. Da martedì pomeriggio, il 14enne è ricoverato in rianimazione per gravissime lesioni al colon, anche se non è più ritenuto in pericolo di vita. Questa mattina potrebbe essere ascoltato di nuovo, anche per chiudere il cerchio attorno ai presunti responsabili. Indagine sprint da parte dei carabinieri, i tre autori delle sevizie sono stati identificati: uno è stato fermato per tentato omicidio, due sono stati denunciati a piede libero. In cella, raggiunto da un fermo di pg, finisce il ventiquattrenne Vincenzo Iacolare, che avrebbe brandito il tubo di aria compressa, cominciando a prendere di mira il 14enne.
È stato un crescendo. Sulle prime, avrebbe puntato al volto del ragazzino, tanto che la scena sarebbe stata anche immortalata da un telefonino cellulare usato da uno dei due soggetti denunciati a piede libero. Subito dopo Iacolare ha seviziato il 14enne con il tubo, anche se non è ancora chiara la dinamica. Fatto sta che il getto d’aria ha provocato gravi lesioni al colon, tanto che il ragazzo, colto da fitte lancinanti, è stramazzato a terra. Lo hanno soccorso i dipendenti dell’autolavaggio, che l’hanno accompagnato all’ospedale San Paolo. Anche in questo caso, non è chiaro chi sia l’accompagnatore. Una vicenda che fa i conti con il clima di omertà e indifferenza, poca disponibilità a ricostruire i fatti. Sono stati i medici del San Paolo ad allertare i carabinieri, di fronte alle condizioni del ragazzino, dando così il via alle indagini. Fatto sta che lo studente è stato operato; dopo ore in cui si è temuto per la sua vita, le sue condizioni sono migliorate. Ha parlato brevemente con i carabinieri e riconosciuto in foto i suoi aggressori. I carabinieri hanno sottoposto a fermo Iacolare e denunciato gli altri due, che avrebbero svolto un ruolo minore nei fatti di martedì pomeriggio. Oggi è prevista la convalida del fermo. Omertà e indifferenza, dunque. Tanto che all’identificazione dei tre (che hanno precedenti di polizia per spaccio di droga e furto), si è arrivati senza particolari contributi da parte di proprietari e dipendenti dell’autolavaggio, o da parte della gente del quartiere. Ora si punta ad acquisire elementi utili, a partire dai telefoni cellulari, per capire se realmente sono state effettuate immagini delle sevizie.
Leandro Del Gaudio

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CRISTIANA ZAGARIA, LA REPUBBLICA -
«Sei grasso. Ora ti gonfiamo come una palla». In tre bloccano Vincenzo, un ragazzino di 14 anni, e lo seviziano con un compressore, perché è sovrappeso. Violenza come divertimento. Violenza come mezzo di punizione ed esclusione.
Siamo a Pianura, periferia di Napoli, quella periferia nota per le battaglie sui rifiuti, per l’abusivismo edilizio, per gli immigrati irregolari che vivono in case che non sono case e lavorano a nero. Siamo in un autolavaggio che si apre tra i palazzoni popolari.
Vincenzo Iacolare, 24 anni, padre di un bimbo di due e disoccupato è stato fermato dai carabinieri per tentato omicidio. Due dipendenti dell’autolavaggio, che avrebbero partecipato agli insulti, ma non alla violenza, sono stati denunciati. Oggi l’udienza di convalida. I carabinieri hanno acquisito anche i telefonini dei tre indagati, perché uno avrebbe ripreso almeno la scena iniziale con lo smartphone. Insulti, dinamica e movente dovranno essere ricostruiti dagli inquirenti. Il ragazzino è arrivato in ospedale in fin di vita. Ora è ricoverato in prognosi riservata. Ha affrontato un’operazione lunga sette ore. È salvo e migliora, ma i medici gli hanno asportato il colon.
Tutto comincia martedì pomeriggio, quando Vincenzo va con il padre all’autolavaggio del suo quartiere. Il babbo lava la sua auto e va via. Vincenzo rimane ad aspettare su un divanetto che si asciughi il suo motorino. È un ragazzone alto un metro e settanta e pesa 80 chili, timido e riservato. Il 24enne, che abita poco lontano e che frequenta spesso l’autolavaggio, lo avvicina. Lo insulta. Poi afferra il tubo dell’aria compressa e si mette a spruzzare aria sul viso dell’adolescente. Subito dopo sevizia il 14enne con il tubo, non è ancora chiaro se dopo avergli abbassato i pantaloni o al di sopra dei pantaloni. Il getto d’aria provoca gravi lesioni al colon: il ragaz- zo, colto da fitte lancinanti, cade a terra. Lo soccorrono i dipendenti presenti alla scena (denunciati) e lo accompagnano all’ospedale San Paolo. Tutti e tre gli indagati hanno precedenti per droga e furto.
Nell’autolavaggio non ci sono telecamere e nessuno collabora. L’unica versione che guida le indagini dei carabinieri della compagnia di Bagnoli è quella di Vincenzo che porta fino all’ammissione dei parenti di Iacolare: «Era solo un gioco, non voleva fare male a nessuno ».
I parenti del ragazzino sono tutti raccolti dietro la porta di vetro della Rianimazione da due giorni. Il padre Salvatore, tatuaggi sulle braccia e occhi rossi, non parla: «Sono distrutto, come la vita di mio figlio». La nonna piange. Gli zii, accusano e denunciano. Il fratello minore di Vincenzo — stesso sguardo, stessa pelle chiara — tiene gli occhi sempre bassi e si guarda intorno. Quando riesce va vicino alla mamma e cerca di consolarla. Dietro la porta del reparto di Rianimazione c’è una famiglia allo sbando. Dall’altra parte un ragazzino che ancora non sa bene quello che gli è successo.
In ospedale ci sono tanti amici, molti dei quali giustificano gli aggressori: «Non si sono resi conto di quello che facevano ». C’è anche il titolare dell’autolavaggio (parente di uno dei tre ragazzi coinvolti) Salvatore Luongo. Alza le spalle: «Sono tutti bravi ragazzi». Un ritornello che rischia di diventare una verità.
«Non c’è stata malizia nel suo gesto — dicono i parenti di Vincenzo Iacolare fuori dall’ospedale - Ha fatto solo una enorme stupidaggine. È giusto che tutti quelli che hanno preso parte paghino, ma che paghino il giusto. Non è un tentato omicidio né altro, sono tutti bravi ragazzi che si prendevano in giro tra loro. Non hanno capito che il compressore, con quella potenza, avrebbe fatto danni. Era un gioco».
Mercoledì c’è stata anche una lite tra i parenti del ragazzo di 14 anni e quelli del presunto aggressore. I parenti di Vincenzo si sono trovati davanti l’abitazione di Iacolare e si è rischiata una lite. Sono intervenuti i carabinieri a placare gli animi.
«È assuefazione alla violenza, abitudine a uno stato di cose che sembra destinato a non cambiare mai», cerca una strada per capire quello che è accaduto, don Claudio De Caro, il parroco di San Giorgio martire. «Quello che più colpisce e offende è la modalità violenta del gesto e la sua chiarissima valenza omofobica» chiosa Paolo Valerio professore di Psicologia clinica al Policlinico Federico II. ( cri. z.)

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CRISTIANA ZAGARIA, LA REPUBBLICA -
«Non è stato un gioco. Non lo deve dire nessuno. Quel ragazzo ha tentato di ammazzare mio figlio e chi era con lui è un vigliacco, perché non è intervenuto per aiutarlo. Anche un cane si soccorre, loro invece non lo hanno fatto. Sono senza cuore. Vincenzo è solo un bambino». È preoccupata Stefania. È arrabbiata. È la mamma di Vincenzo. E la sua voce sembra essere sola, in una storia di violenza (i carabinieri hanno configurato il reato di tentato omicidio), che in troppi vogliono far passere come «una bravata senza malizia» in un quartiere, come quello di Pianura e in una città, come Napoli, che sembrano assuefatti alla aggressività e alla sofferenza.
Come sta Vincenzo?
«Ora sta meglio. I medici sono cauti, ma migliora ogni giorno. È giovane e paradossalmente il fatto che fosse un po’ sovrappeso lo ha aiutato. È tutto intubato e mi chiede: “Cosa sono questi fili?”. Vuole tornare a casa».
Ci racconta quello che è successo?
«Martedì pomeriggio mi arriva una telefonata dal cellulare di mio figlio. “Signora, suo figlio è in ospedale, ha avuto una cattiva digestione”. Non riconosco la voce al telefono, ma corro subito in ospedale».
Sta dicendo che l’hanno avvisata gli aggressori?
«Credo di sì. Il telefono poi l’ho ritrovato nella sella del motorino di mio figlio».
Ha parlato con Vincenzo, cosa le ha detto?
«Lui non sa quello che gli è successo. Non gliel’ho spiegato. Gli ho solo detto che l’hanno operato perché aveva l’aria nella pancia. È così piccolo per affrontare tutto quello che gli sta succedendo. Ora continua a ripetere solo che ha paura».
Di quello che è accaduto nell’autofficina cosa le ha raccontato?
«Vincenzo era andato a lavare il motorino. Era andato con mio marito Salvatore, che aveva portato la sua auto. Il babbo ha finito prima ed è andato via. Vincenzo mi ha detto: “Sono rimasto ad aspettare. Mi sono seduto di lato su un divanetto e stavo giocando con il telefonino, quando ho sentito qualcuno afferrarmi alle spalle e poi tanta aria. Sono caduto per terra e quando mi sono rialzato ho cominciato a vomitare, poi credo di essere svenuto e mi sono ritrovato in ospedale”. Non ha capito tutto. È ancora sotto l’effetto dei medicinali. Anche se dal suo viso sembrano spariti tutti i sentimenti. I suoi occhi sono diventati troppo grandi».
Le ha raccontato degli insulti perché è sovrappeso?
«Vincenzo è un bambino come tanti. No, non mi ha detto niente. Forse non lo ha neanche sentito. Ha 14 anni, ma è ingenuo e timido. Forse lo hanno aggredito con tanta violenza proprio perché sa- pevano che non avverrebbe reagito ».
Qualcuno dice che Vincenzo lavorava al nero nell’autofficina. È vero?
«Assolutamente no. Va a scuola. Gioca a calcio. È un ragazzino normale, anche se ora la sua vita non sarà più la stessa. Lo hanno fatto diventare grande con la violenza ».
Il 24enne fermato dai carabinieri ha detto che era uno scherzo. E anche i suoi parenti lo difendono dicendo che si è trattato di un gioco senza malizia. È davvero così?
«Così si scherza? Un gioco è buttare un secchio d’acqua, o tirare uno schiaffo, non perforare l’intestino e rischiare di ammazzare una persona. Anche un bambino di dieci anni lo capisce. E quel maledetto che ha ridotto così il mio bambino è padre di famiglia, ha un piccolo di due anni. Come ha fatto a non pensarci? È senza cuore. Come senza cuore sono quei due che non lo hanno difeso. Vigliacchi. Vorrei la sedia elettrica per loro, vorrei che soffrissero come ora sta soffrendo Vincenzo e come soffrirà negli anni futuri. Anche se alla fine non è importante la loro sofferenza... ».
Cosa è importante ora?
«Che il mio Vincenzo torni a sorridere e a giocare. Perché i bambini giocano. Gli adulti devono assumersi le loro responsabilità. Io ho tanta paura di tutto questo odio e di questa violenza. Ora è importante proteggere Vincenzo».

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SILVIA TRUZZI, IL FATTO QUOTIDIANO -
Come si fa a raccontare una storia come quella di Antonio (lo chiameremo così), che è stato aggredito e violentato con un tubo ad aria compressa? Bisogna ma bisogna farlo senza cadere nella trappola di Napoli, città cannibale che mangia i suoi figli. Anche se è impossibile dimenticare Salvatore - morto lo scorso luglio a 14 anni mentre passeggiava sotto la Galleria Umberto I, colpito da un cornicione - e Davide, 17 anni, ucciso un mese fa da un proiettile dei Carabinieri mentre era in motorino con un amico latitante. E ora Antonio, anche lui 14 anni, poco più che un bambino, la tuta del Napoli addosso, ricoverato in gravi condizioni in rianimazione perché quel compressore gli ha lacerato l’intestino in più punti. Napoli bella, povera e maledetta è un tranello troppo facile, in cui non si deve cadere: per provare a capire serve più il rispetto delle banalità viste e riviste nei servizi televisivi che raccontano una città abbandonata, orfana di governo da molto prima che il sindaco fosse sospeso.
Martedì nel tardo pomeriggio Antonio era in un autolavaggio in via Padula, a Pianura. Secondo la ricostruzione degli inquirenti tre ragazzi che si trovavano lì hanno iniziato a prenderlo in giro: “Chiattone vie’ ca che te gunfiamme”. Poi, uno di loro - V.I., fermato con l’accusa di tentato omicidio - ha abbassato i pantaloni del ragazzo, infilandogli nell’ano un tubo ad aria compressa, che poi è stato azionato. Gli altri due giovani, anche loro di 24 anni, non avrebbero partecipato alla violenza, per questo sono stati denunciati a piede libero. Antonio è cosciente, ma non sa quanto sono gravi le sue condizioni. A sua madre ha detto: “Non voglio più uscire di casa”.
Grasso, anzi obeso: ora diranno della dittatura dell’estetica, la nostra weltanschauung capovolta dove l’immagine del mondo è diventata mondo dell’immagine. Nel Dizionario dei luoghi comuni Flaubert, sommamente incuriosito dalla stupidità umana, scrive che “Le persone grasse sono la disperazione dei carnefici perché presentano difficoltà d’esecuzione”. Ma più probabilmente l’accanimento contro ‘o chiattone è solo l’incidente che innesca tutto. Molto più della sociologia spiccia, per capire come è stato possibile, è utile osservare le reazioni che sono seguite a questa storia. I parenti del 24enne fermato si sono incazzati, a beneficio di telecamere, urlando (letteralmente) che si è trattato solo di uno “scherzo finito male”.
La traduzione dello sfogo è più o meno questa: “Hanno fatto un’ enorme stupidaggine ed è giusto che quelli che hanno partecipato paghino, ma che paghino il giusto. Non è un tentato omicidio, sono tutti bravi ragazzi che si prendevano in giro tra loro. La tuta del ragazzino era di tessuto fine, ma non c’è stata violenza. Per loro era un gioco”. I familiari di Antonio sono andati sotto casa dell’aggressore: c’è stata una lite. Era presente anche il proprietario dell’autolavaggio.. Che cosa ha detto ai giornalisti? Si è lamentato del clamore mediatico che l’episodio ha destato e che “si sta ripercuotendo sulla sua attività”. La mamma di Antonio, in un corridoio del reparto di rianimazione ha spiegato: “Dovrebbero dare la sedia elettrica a chi ha fatto male a mio figlio. Se avessi avuto una pistola gli avrei sparato in fronte. Come sto piangendo io, devono farlo anche i genitori di quei ragazzi”. Comprensibile che il dolore e la paura facciano perdere la ragione, eppure il filo rosso che unisce i parenti della vittima e quelli degli aggressori è la violenza. Poi l’aggravante della scusante, “solo uno scherzo”, dove il sottinteso è che un adulto di 24 anni non è in grado di prevedere l’esito di un gesto così, orrendo in sé anche senza considerare le conseguenze. Si capisce moltissimo da tutte queste parole che, come spesso accade in situazioni così, da rumore di fondo vengono immediatamente promosse a colonna sonora. E di Antonio, intestino lacerato in un letto d’ospedale, quasi quasi ci si dimentica. Tanto che qualcuno può perfino lamentarsi impunemente del clamore mediatico che danneggia gli incassi.

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FULVIO BUFI, CORRIERE DELLA SERA -
Se esistesse una graduatoria della barbarie, quello che ha dovuto subire un quattordicenne l’altro giorno a Napoli sarebbe decisamente in cima: violentato con il tubo di un compressore e ferito gravemente dal potente getto d’aria che gli ha provocato lacerazioni interne e quindi emorragie.
È accaduto in un autolavaggio del quartiere Pianura, periferia a ridosso della zona flegrea. Vittima e aggressori sono tutti della zona, si conoscevano ma non erano amici. E poi i tre ritenuti dai carabinieri gli autori della violenza hanno tutti 24 anni, quindi sono ben più grandi della loro vittima. Che hanno preso di mira perché è sovrappeso, «e allora adesso ti gonfiamo ancora di più», pare che gli abbiano detto prima di cominciare a infierire.
Uno dei tre è stato arrestato con l’accusa di tentato omicidio: si chiama Vincenzo Iacolare, è un balordo con precedenti per droga e furto e stamattina davanti al giudice delle indagini preliminari ci sarà l’udienza di convalida del fermo. Gli altri due sono stati denunciati in stato di libertà: non avrebbero compiuto materialmente le sevizie ma si sarebbero limitati a guardare e incitare. E forse anche a filmare: i loro cellulari sono stati sequestrati e saranno analizzati da un perito incaricato dal magistrato. Secondo qualche voce giunta ai carabinieri un breve video ci sarebbe: non del momento cruciale della violenza ma di qualche attimo prima, quando con il tubo del compressore Iacolare avrebbe iniziato a spruzzare aria sulla faccia del quattordicenne.
Il ragazzo era lì per far lavare il suo scooter. Fino a poco prima con lui c’era anche il padre, che però poi si era allontanato perché doveva tornare nella sua officina di carrozziere. È stato allora che quei tre — che non lavorano nell’autolavaggio ma vi si intrattengono spesso perché uno di loro è parente del titolare — hanno cominciato a prenderlo di mira. Fino a passare dallo sfottò a quel gesto odioso.
Sono stati due dipendenti dell’autolavaggio ad accorgersi che il quattordicenne stava male e a portarlo in ospedale, avvertendo anche i suoi familiari. I medici del San Paolo sono dovuti intervenire chirurgicamente per fermare l’emorragia interna e rimarginare le ferite. Fino a ieri sera non avevano ancora sciolto la prognosi.
La segnalazione ai carabinieri è arrivata proprio dal Pronto soccorso, e i militari hanno impiegato poche ore a rintracciare i tre balordi, che tra l’altro il quattordicenne ha riconosciuto in foto.
Iacolare e gli altri due si sono difesi dicendo che non volevano far del male, per loro era «solo un gioco». Un atteggiamento che ai parenti del quattordicenne è sembrata una ulteriore provocazione, e ieri pomeriggio è mancato davvero poco che tra alcuni di loro e i familiari dell’arrestato scoppiasse una rissa .
Fulvio Bufi

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ANTONIO E. PIEDIMONTE, LA STAMPA -
Una città indignata, un Paese sotto choc. Le sevizie di tre maggiorenni che hanno fatto finire in terapia intensiva un ragazzino di quattordici anni - preso in giro perché sovrappeso e accusato di essere gay - hanno scatenato durissime reazioni da più parti. Il primo pensiero però va alle condizioni di Vincenzo, lo studente che due giorni fa era andato a far lavare lo scooter e si è ritrovato in un letto d’ospedale, il San Paolo di Fuorigrotta, operato d’urgenza.
Un intervento durato sette ore e concluso con l’asportazione del colon. Ieri i medici hanno diffuso un primo bollettino: «I parametri vitali sono stabili ma il paziente rimane ancora in prognosi riservata». Incredibilmente, proprio tra le corsie del nosocomio, in modo fortuito, hanno preso avvio le indagini sulla vicenda, che hanno condotto al fermo di un ventiquattrenne, con l’accusa di tentato omicidio, e alla denuncia di altri due coetanei; tutti pregiudicati.
Per una mera coincidenza, infatti, un maresciallo dei carabinieri si trovava tra le corsie per altre ragioni quando un medico lo ha visto in divisa e gli ha chiesto: «Lei è qui per il ragazzo ferito?». «Quale ragazzo? Che ferimento?», la replica del militare, che ha compreso rapidamente cosa era successo e ha subito attivato il lavoro degli inquirenti. Dalle testimonianze la ricostruzione: il ragazzino era nell’autolavaggio Sprint per far pulire il motorino quando è finito nel mirino dei suoi torturatori.
L’hanno messo in mezzo, gli hanno dato dell’obeso, dell’omosessuale, quindi lo hanno immobilizzato, denudato, e sodomizzato con il tubo di un compressore, infine hanno fatto uscire l’aria ad alta pressione che gli ha devastato l’intestino.
La violenza è avvenuta a Pianura, quartiere-dormitorio che confina con Soccavo - e il Rione Traiano, poco tempo fa teatro della morte di un sedicenne dopo un inseguimento - e si è scatenata intorno alle 18,40 e, si presume, anche davanti agli occhi di chi gestisce la struttura. Il proprietario, peraltro parente di uno dei due giovani denunciati, ieri si è anche lamentato per il clamore mediatico che gli avrebbe arrecato un danno agli affari.
Immediate e numerose le reazioni all’orrore. A cominciare da quella di Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui diritti dei minori: «Chiediamo alla magistratura celerità, inflessibilità e nessun patteggiamento per questi vigliacchi». Nitida pure l’opinione di Raffaele Felaco, coordinatore dell’area comunicazione del Consiglio nazionale dell’Ordine degli Psicologi: «In una società come quella napoletana dove la violenza è sempre pronta a esplodere i cittadini provano a proteggersi attraverso la rimozione. Questa condizione, pur essendo giustificabile per il legittimo tentativo di protezione del proprio equilibrio psichico, di fatto addormenta le coscienze e non attiva un autentico moto di indignazione, unica vera possibilità di cambiamento».
Sulla stessa lunghezza d’onda il presidente della Società psichiatri italiani, Emilio Sacchetti: «Sono delinquenti seriali lucidi che vanno puniti con una pena esemplare senza nessuna attenuante psichiatrica. Sono criminali, qui siamo nel campo della crudeltà vera. E’ un atto di aggressività selvaggia. Queste persone non devono godere di nessuna attenuante, va applicata una pena esemplare senza trovare scusanti di natura medica».
Infine i dati offerti dalla psichiatra Donatella Marazziti, docente di psichiatria a Pisa, e Mario Campanella, presidente di Peter Pan onlus e coautore con la psicoterapeuta Maria Rita Parsi del volume «Maladolescenza»: «Sono almeno 200 mila i bulli in Italia, eredi di un nonnismo arcaico e tribale».

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MAURO COVACHIC, CORRIERE DELLA SERA -
La tua obesità è un’offesa personale, un oltraggio al mio sguardo. La mostruosa violenza esplosa in quell’autolavaggio napoletano è la manifestazione cutanea di un’allergia ben più profonda di cui è affetto l’intero corpo sociale, la lipofobia. Il grasso è nocivo se ingerito, è nocivo se incarnato nella persona che ci si siede accanto, è nocivo anche solo se visto passare. È nocivo e in fondo pericoloso perché costituisce una provocazione cocente alla mia regola di vita, il cui un unico precetto ordina: sii magro. Non: sii giusto. Non: sii buono. Non: sii capace. Non: sii saggio. Ma: sii magro. Quando andavo a trovare mia nonna, più o meno all’età di quel ragazzino seviziato e ridotto in fin di vita, lei mi diceva: come sei diventato bello grasso! Ci restavo male, ma per lei era un complimento. Ero florido, in salute, quindi bello. Erano gli anni Settanta, la fame era una guerra vinta, ma popolava ancora gli incubi dei vecchi. Inoltre, la bellezza era una condizione più complessa che riguardava anche ciò che le persone dicevano e facevano, i loro modi, quei particolari segni di distinzione che li individuavano come esseri unici — qualcuno si sarebbe accorto di me anche se ero bello grasso. Oggi la frenesia imposta dall’epoca spinge la bellezza in superficie: per esprimerla ci è rimasto solo il corpo. Lo dico pensando alla videoinstallazione di Francesco Vezzoli in mostra qualche mese fa al Maxxi di Roma, il cui titolo, Comizi di non-amore, omaggia il documentario di Pasolini. Nel video l’artista mette in scena un talk show ricreato sulla formula di un famoso programma di intrattenimento, invertendo i ruoli rispetto all’originale televisivo — tre giovani uomini devono misurarsi nel corteggiamento di una donna tronista — e facendo indossare i panni della pollastrella a icone «storiche» del fascino femminile, stelle del cinema non prive di ironia come Jeanne Moreau e Catherine Deneuve. Ebbene, cosa si inventano i tre ragazzi per conquistare queste inarrivabili femme fatale? Cantano? Ballano? Recitano poesie? No, si spogliano, esibiscono gli addominali, ricalcando perfettamente lo stereotipo della donna oggetto. Quando il tempo stringe, gli addominali valgono più di mille discorsi, e ormai, lo si voglia o no, ogni nostro incontro assume la forma di uno speed date. Difficile negare lo stress che genera questo assetto performante. La magrezza è segno di superiorità, l’indifferenza (simulata) ai bisogni primari. Lattuga, tapis roulant, centrifuga di maracuja e guarana, ecco il passaporto per entrare nel regno dei belli. È un accesso festeggiato talvolta come una nuova vita, il processo metamorfico dei grandi obesi ingaggiati da Extreme makeover, scavati dalla chirurgia, escissi da loro stessi per indossare la divisa taglia small del nostro esercito. Le macchine desideranti auspicate da Deleuze e Guattari sono diventate in un baleno automi del godimento e del benessere. Doveva essere una liberazione dal potere borghese, autoritario e repressivo, invece è diventata la proliferazione del potere incarnato negli individui, milioni di padroni al cui dispotismo siamo tutti asserviti. Devo piacere a tutti, sempre, subito. E come me, ognuno di voi. Magri, sani, pronti all’uso. Il nuovo dogma ha comportato una medicalizzazione della vita — «mangiare bene», «bere bene» — un’ecologia sociale solo apparente, che non ci spinge mai al «pensare bene». Chi elude questa disciplina piena di pungolanti privazioni non può che apparire un sovversivo, la sua semplice presenza è un affronto alla nostra rettitudine arianoide. Ti faccio esplodere, un gesto che tradisce un vero e proprio desiderio di annientamento. Ma l’odio per le persone in sovrappeso si estende bel al di là di quell’autolavaggio.

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ELENA LOEWENTHAL, LA STAMPA -
Desta un orrore smisurato l’atto di violenza che si è consumata ieri dentro un autolavaggio di Napoli. Altro che «gioco da ragazzi».
Così ha sbraitato la madre di uno dei responsabili in nome di una genitorialità che si esercita pericolosamente nella giustificazione a priori dell’operato dei propri figli. Che razza di gioco è quando tre ultraventenni prendono di mira un ragazzino che ha dieci anni meno di loro? Quanto meno è un gioco da vigliacchi.
Un «gioco» che è passato in un attimo dalla derisione verbale alla violenza raccapricciante. E ci è voluta una determinazione complice per prendere e azionare la pistola ad aria compressa, umiliarlo, seviziarlo brutalmente. Non è stato un gesto di violenza cieca, uno sfogo inconsulto, ma un accanimento consapevole. Se infatti il bullismo è spesso autoreferenziale, se guarda più a chi lo fa che a chi lo subisce perché è una forma di narcisismo aggressivo, in questo caso no. Il povero ragazzino è stato seviziato non certo «per gioco», come sostiene sbraitando quella madre, ma perché è grasso. Obeso. Cioè sovrappeso. Questa sarebbe, si fa per dire, la motivazione della violenza, che è la forma estrema del dileggio. Del disprezzo.
E se non di rado la frase «dobbiamo interrogarci tutti» ha un nauseante sapore di vacuo luogo comune, in questo caso vale per quello che è. Già, siamo diventati un mondo che ha reso la grassezza un’onta, un marchio di infamia che può persino diventare il pretesto di una violenza orrenda come quella che ha avuto luogo ieri a spese di un ragazzino di quattordici anni.
Mentre la moda continua per parte sua a celebrare una magrezza quasi irreale che sfila sulle passerelle, mentre la cucina contemporanea è sempre più destrutturata, scondita e proiettata verso un astratto «benessere» e un piacere fatto più di sottrazione che di abbondanza, il fatto di avere dei chili di troppo - molti o pochi non importa - è avvertito sempre più come una colpa. Verso se stessi ma anche e prima di tutto verso il mondo che ti guarda e a cui non piaci.
E’ sacrosanto, certo, ascoltare le raccomandazioni dei medici. E’ appurato che la forma fisica e il peso adeguato sono la strada maestra per una buona salute e una buona vita. E’ vero che non di rado il sovrappeso indica cattivi comportamenti che vanno modificati. Ma tutto questo non giustifica il vicolo cieco in cui siamo arrivati, in fondo al quale c’è un ragazzino seviziato perché ormai la grassezza è il nostro peccato originale. Perché essere obesi è una colpa, mentre essere belli e magri è una virtù. Un dovere morale prima ancora che un’evidenza estetica. Il presupposto per essere accettati, non solo sulle passerelle della moda (il che ha ovviamente senso) ma anche in un sobborgo qualunque di una grande città, a quattordici anni.
Allora, se a quei tre disgraziati e codardi ventenni che si sono accaniti su un bambino tocca riconoscere la gravità di quello che hanno fatto e scontarla, se la madre di uno di loro si meriterebbe una rieducazione radicale - come genitore e come persona -, è anche vero che abbiamo tutti bisogno di ripensare il nostro sistema di valori, imparando daccapo a distinguere l’etica dall’estetica, la colpa dal difetto, la fragilità dalla vergogna.

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CRISTIANO GATTI, IL GIONALE -
Siamo la nazione delle simpatiche ragazzate. Chiunque può inventarsi qualunque nefandezza sapendo che poi qualcuno - i congiunti più stretti, un avvocato ben pagato, certe anime belle del perdonismo un tanto al chilo - sarà subito pronto a dire «era solo un gioco, semplicemente non si sono resi conto della stupidaggine, devono pagare, ma che paghino il giusto, per favore non parliamo di tentato omicidio» (in quest’ultimo dramma napoletano, i parenti del mattacchione che ha sparato aria da compressore nelle viscere di un ragazzino). Nessuno, in Italia, commette più niente di grave e di imperdonabile. C’è subito la corsa ad attenuare, a sminuire, a ridimensionare. Soltanto con agenti di polizia e carabinieri siamo intransigenti e inflessibili, diciamo pure forcaioli: se a qualche servitore dello Stato scivola la mano, si solleva un’indignazione feroce. Anche questo, però, è un gioco molto pericoloso. Non può passare. Ma diciamolo una buona volta, senza pudori perbenisti: la violenza cretina di un certo bullismo sta saldamente in testa a tutte le classifiche dell’abiezione. Nell’allegro pomeriggio napoletano, tre - dico tre - adulti mettono in mezzo un ragazzino e si divertono a sue spese. È pure un po’ ciccione, è veramente il giocattolo perfetto. Ma che bel momento, tre adulti che si scompisciano umiliando e spaventando un essere inerme, senza alcuna possibilità di reagire, di ribellarsi, di mettersi in fuga. Forse ci racconteranno pure che lui stesso si stava divertendo come un matto. Via, è facile immaginare quanto possa divertirsi un quattordicenne chiuso nella morsa di tre uomini fatti. Neanche a Gardaland. Poi il colpo di genio, il massimo della goliardia: gonfiarlo un po’. La pistola dell’aria compressa là sotto, il getto potentissimo, la devastazione terribile. Ops, s’è mai visto che un compressore sparato là sotto possa fare del male? Mai più tre adulti possono immaginare. Ed è tragedia. Altre volte, in altri casi, sono lo stupro alla ragazzina, lei sola in mezzo a sette, nove, dodici animali del branco («però ci stava», così bisogna subito dire, come insegnano certi genitori e certi avvocati), oppure lo scolaro timido e imbranato costretto a spogliarsi davanti a tutta la scuola, oppure l’odioso secchione tagliuzzato con il temperino perché impari subito che tutto il sapere dei suoi libri non lo salva dalla forza bruta, oppure il barbone cosparso di benzina e acceso come una torcia sulla panchina fuorimano. In queste allegre ragazzate, c’è sempre un prevaricatore violento (in branco, immancabilmente in branco) e un prevaricato indifeso (solo, puntualmente solo). Certo è facile dire dopo che non si tratta di tentato omicidio. È facile derubricare certe azioni essenzialmente idiote in semplici stupidaggini. Ma è altrettanto evidente che i nuovi prepotenti non possano cavarsela ogni volta in modo così spensierato. Il loro reato, per certi versi, ha qualcosa di più disumano dei classici delitti perpetrati in stato di rabbia, di ubriachezza, di raptus. La loro è violenza gratuita, senza motivo e senza senso, inflitta con lucido sadismo. Le chiamano ragazzate, ma si portano dietro l’aggravante più vergognosa: la crudeltà.

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GRAZIA LONGO, LA STAMPA 11/10 -
Il teatro dell’orrore che si è consumato nell’autolavaggio di Pianura fa sempre più paura. Non solo tentato omicidio, ma anche violenza sessuale è l’ipotesi di accusa del pm Fabio De Cristoforo contro Vincenzo Iacolare - 24 anni, disoccupato, un figlio di 2 anni - arrestato perché con una pistola d’aria compressa ha lacerato l’intestino di un quattordicenne colpevole ai suoi occhi perversi di essere «un ciccione».
E mentre stamattina il gip Antonio Cairo dovrà decidere se convalidare l’arresto effettuato dai carabinieri del Comando provinciale di Napoli, i due complici di Iacolare - indagati a piede libero per concorso negli stessi reati - scaricano tutte le responsabilità sull’amico. Dipendenti dell’autolavaggio, si smarcano dal capo branco: «Ha fatto tutto lui, noi stavamo asciugando il motorino del ragazzino quando Iacolare ha preso il tubo della pistola d’aria compressa e prima gliel’ha sparata un po’ in faccia, poi gli ha abbassato il pantalone della tuta e gli ha infilato la pistola lì sotto...».
Eppure neppure loro sono immuni dalla crudeltà. Uno dei due infatti ha filmato la violenza con lo smartphone. E come non bastasse, pare abbia anche postato il video su Facebook per poi rimuoverlo quando si è reso conto della gravità. Il cellulare è stato sequestrato dai carabinieri e sarà pesto periziato. Al momento, tuttavia, il ruolo marginale dei due ventiquattrenni emerge anche dalla versione della giovane vittima. Anche lui si chiama Vincenzo e per ben due volte ha riconosciuto come suo aguzzino Vincenzo Iacolare. Timido, ancora scioccato e parzialmente sedato, l’adolescente parla poco, ma con il dito ha indicato in due distinte occasioni la foto di Iacolare. Lo ha riconosciuto tra otto fotografie, e ha raccontato di esserselo trovato all’improvviso alle spalle. «Sei un grassone ora ti gonfio ancora di più», si è sentito urlare.
Poi buio fitto per il dolore lancinante. Iacolare, difeso dall’avvocato Antonio Sorbilli, al momento dell’arresto non ha rilasciato dichiarazioni. Parlerà oggi durante l’interrogatorio del gip per la convalida del fermo? È nel suo diritto avvalersi della facoltà di non rispondere. Per ora l’unica sua disponibilità è stata la corsa in ospedale, insieme agli altri due indagati, per accompagnare il piccolo Vincenzo al pronto soccorso. «Facevano prima a chiamare l’ambulanza - sbotta la sua mamma, Stefania, 39 anni, casalinga e gli occhi profondamente cerchiati per tre notti insonni -. Ora mio figlio sta meglio e l’hanno trasferito dalla Rianimazione al reparto di chirurgia, ma poteva morire. Il colpevole deve marcire in galera, perché il mio Vincenzo non tornerà mai come prima».
Il sole entra nella stanza al terzo piano dell’ospedale San Paolo e alla porta c’é una fila di compagni di scuola, amici e parenti che vogliono salutarlo. Solidarietà esprime anche don Tonino Palmese, prete anti camorra, referente napoletano di Libera. «Al di là della sofferenza personale del piccolo Vincenzo, questa storia è lo spaccato di una gioventù che qui, più che altrove, fatica ad affermarsi perché insegue uno stile di vita dettato dalla violenza. Ventenni che trascorrono il tempo in un “non luogo” come l’autolavaggio e hanno smarrito il senso dell’importanza del dialogo».
Dal suo letto d’ospedale, intanto, Vincenzo fa il gesto di ok con la mano, quando arriva il sindaco sospeso Luigi De Magistris e gli promette che appena esce lo accompagnerà allo stadio per la partita del Napoli. Mentre l’adolescente alza il braccio, si leggono le parole tatuate di una canzone: «Basterebbe darsi un senso e andare avanti». Ma stavolta dare un senso al dramma vissuto è davvero dura.

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PIERLUIGI BATTISTA, CORRIERE DELLA SERA 11/10 -
S e date del «ciccione» a un mite ragazzo sovrappeso, tranquilli, nessuno vi rimprovererà per aver usato un’espressione offensiva nei confronti di chi, quando gli tocca umiliarsi alla bilancia, si avvicina angosciosamente ai cento chili. Non è il residuo di un’usanza lessicale arcaica: è l’ultimo linciaggio consentito in tempi in cui il linguaggio si fa sorvegliato, buono, premuroso, carico di buone intenzioni, attento a ogni diversità e ai diritti di tutte le minoranze. Tutte tranne una: quella dei grassi, colpevoli persino di scassare i conti del servizio sanitario nazionale e perciò da mettere all’indice.
I bulletti che bersagliavano di scherno il povero «cicciobomba» ci sono sempre stati e l’onta perenne di noi (ex) smilzi è di non esser mai intervenuti a difesa del povero compagno impacciato e impedito dal suo grasso in eccesso, messo in porta per renderlo inoffensivo durante una partitella di calcio. Ma ci saremmo vergognati a esercitare la nostra disgustosa crudeltà di fronte agli adulti. Anche in Full Metal Jacket di Stanley Kubrick la recluta obesa e strabordante subiva le vessazioni del sergente che ne curava il severo addestramento: finì malissimo, con la recluta schiantata, resa folle da un trattamento insopportabile.
Oggi i ragazzini che a Napoli hanno seviziato e massacrato un «cicciobomba» sentono che attorno ai soprusi contro i grassoni non grava quell’atmosfera di indignazione morale che oggi giustamente circonda chi si appella in modo offensivo nei confronti di una minoranza religiosa, di una diversità sessuale, di una distanza etnica e razziale. Percepiscono rozzamente che il grasso se l’è cercata, che le intimazioni della nuova dittatura salutista trovano in quel loro compagno così deturpato dai rotoli di ciccia un ostacolo caparbio e ostinato. Non sono magri, snelli, slanciati, asciutti, in forma? Colpa loro che non seguono diete, non fanno sport, non sanno adeguarsi agli imperativi del «mangiar sano», non espellono calorie, non vanno in palestra. E ci costano. Sono vulnerabili alle malattie, non dureranno a lungo secondo gli algoritmi messi a punto dalla sapienza medica, dai guru del benessere, degli strateghi della salute e delle diete forsennate.
«Ciccione», «grassona», «palla di lardo», «chiattona»: si possono dire. Un tempo un individuo corpulento, di mole falstaffiana, veniva indicato come una figura arguta, sapida, capace di combinare i piaceri della mente con quelli del corpo. L’imponenza di Orson Welles era oggetto di ammirazione persino erotica. La floridezza era anche simbolo di lontananza dalle fatiche del lavoro manuale, bestiali, massacrante, certamente più efficaci delle nostre diete più raffinate. La prosperità si sposava felicemente con i chili di troppo. E i segaligni, pelle e ossa, divorati dai tormenti e dalle ambizioni, suscitavano diffidenza e sospetti.
«Vorrei che attorno a me ci fossero degli uomini piuttosto grassi e... che dormano la notte», dice Cesare ad Antonio nella tragedia di Shakespeare, «mentre quel Cassio è magro e affamato: pensa troppo, e uomini del genere sono pericolosi». Oggi parole del genere sarebbero impensabili. È da decenni oramai che nel mondo della moda le ragazze un filo sopra la norma della quasi anoressia vengono messe ai margini, con le conseguenze che sappiamo nella psicologia delle adolescenti. La pubblicità è totalmente impregnata di un messaggio che rende l’obesità una malattia orribile. Ciò che rende sconvolgente la permanenza del ciccione come destinatario di una condanna sociale è che la persecuzione linguistica della grassezza (e non solo banalmente linguistica come si è tristemente constatato tra i teppisti di Napoli) avviene in un’atmosfera culturale in cui il rispetto quasi sacrale di qualunque «diversità» è diventato un articolo di fede.
Non si offendono i ciechi e i sordi, la stessa parola «handicap» è circondata dai densi fumi sulfurei del politicamente scorretto. Si fanno le Paralimpiadi dei diversamente abili, ma i diversamente magri non verrebbero mai invitati. Il grasso può essere indicato come un renitente alla civiltà dei magri e dei sani. Contro di lui si possono usare le espressioni più atroci, che mai sarebbero tollerate in altri contesti e con altre vittime (forse solo con le persone di bassa statura: «nano», per quanto offensivo, si può dire, non si sa come mai). Perché i suoi chili di troppo indicano una colpa, una resistenza, un ostacolo. Non importa che soffrano in silenzio, maledetti ciccioni .