Pia Pera, il Sole 24 Ore 28/4/2013, 28 aprile 2013
LA RIVINCITA DELLA BALENA
Nel 1929 Constantin von Economo scoprì nella corteccia cingolata anteriore neuroni che velocizzano la comunicazione tra aree cerebrali favorendo il comportamento sociale, la creazione di legami duraturi, la capacità di provare emozioni, gioie e dolori. Spindle neurons in inglese, si trovano anche in certi primati e negli elefanti, asiatici come africani. Patrick Hof e Estel van der Gucht li hanno scoperti in cetacei come capodogli, balene, delfini. Lo sviluppo di questi neuroni è un esempio di evoluzione convergente di specie che, procedendo da un comune antenato 95 milioni di anni fa, hanno sviluppato, per percorsi evolutivi indipendenti, neuroni di funzione affine - trenta milioni di anni fa i cetacei, quindici milioni di anni più tardi gli ominidi e i primati. Grazie anche a tali neuroni i grandi cetacei modificano i loro comportamenti e per esempio trovano nuove strategie per cercare di sfuggire alla caccia.
Già Melville osservava che, in risposta a una caccia sempre più diffusa e spietata, il capodoglio, sperm whale in inglese per l’olio prezioso contenuto nella scatola cranica, non si riuniva più in piccoli branchi, ma in immense mandrie. Erano cambiate tante cose da quando gli abitanti dell’isola di Nantucket osservavano da riva le balene pascersi tranquille nell’oceano. L’isola stessa non era più quella di un tempo - un’agricoltura troppo intensiva aveva esaurito la fertilità del suolo, unica fonte di profitto restava la caccia alla balena per estrarne l’olio utilizzato allora per l’illuminazione. Sole nell’isola per lunghi periodi, le donne vivevano in un regime di matriarcato che rispecchiava l’organizzazione sociale dei cetacei, dove il capo è una femmina, e i maschi nuotano di branco in branco per accoppiarsi.
Estinta la popolazione locale, mentre i bambini si esercitavano al mestiere arpionando il gatto di casa le navi baleniere si spingevano sempre più lontano, fino nelle zone più remote del Pacifico, il cosiddetto Offshore Ground. I viaggi duravano anche tre o quattro anni.
Nelle balene, un tempo gigantesche ma miti e fiduciose creature, cominciarono a manifestarsi segni di nervosismo all’avvicinarsi dell’uomo, reazioni aggressive. Come l’affondamento dell’Essex, sfondata da un capodoglio gigante lungo ventisei metri. In Il cuore dell’oceano Nathaniel Philbrick ricostruisce le circostanze del naufragio. Se solo avessero dato retta al capitano Pollard, e puntato le tre lance verso le Isole Marchesi e le Hawaii, i naufraghi avrebbero trovato in breve tempo la salvezza. Ma Pollard, incapace di imporsi, cedette a Chase che, influenzato dalla fama di cannibalismo degli indigeni - un anacronismo già allora, solo che nessuno sull’Essex lo sapeva - scelse la rotta verso le coste del Sudamerica. Ne seguirono tre mesi di viaggio estenuante, con la perdita di una delle tre lance e la trasformazione in cannibali dei pochi sopravvissuti.
Quando fu tratto in salvo il 21 febbraio del 1821, Pollard, intento a succhiare le ossa dell’ultimo compagno deceduto, quasi non si rese conto di venire issato sulla nave. Mostrò tuttavia una straordinaria capacità di recupero: pur nell’inedia estrema, si sedette la sera stessa alla tavola degli ufficiali e raccontò l’accaduto. Più arduo si rivelò, una volta a Nantucket, affrontare la madre del cugino da lui incorporato. Chase, salvato tre giorni prima, diede alle stampe un resoconto del naufragio. Imbarcatosi nel 1840 sulla baleniera Acushnet, Melville vi conobbe William Chase che, interrogato sul naufragio dell’Essex, gli prestò una copia della Narrative scritta da suo padre.
Fu l’ispirazione per il romanzo pubblicato nel 1851, quando già da due anni i nantucketesi abbandonavano l’isola devastata da un incendio per cercare l’oro in California. Moby Dick si conclude con il Pequod e lo stesso Achab che colano a picco sotto l’urto vendicatore della balena bianca - che non era una femmina, ma un maschio di capodoglio più volte corso in soccorso dei suoi simili aggrediti dai ramponi.
L’Essex era stata distrutta dalla furia di un capodoglio il 20 novembre 1820. Chase racconta l’orrore dell’equipaggio nel vedere la preda trasformarsi in cacciatrice animata da desiderio di vendetta, l’incredulità - possibile che una creatura di proverbiale inoffensività esca dal branco dove sono state colpite tre sue compagne, aggredendo intenzionalmente la nave quasi a vendicarne le sofferenze? Adesso sappiamo che le balene comunicano attraverso un ricco repertorio di canti, ne inventano di nuovi, riconoscono le varianti dialettali, formano alleanze per pianificare strategie di caccia che trasmettono ai cuccioli, sono capaci di comportamento intelligente, di godere e di soffrire, forse anche di provare il desiderio di farla pagare. E vengono vieppiù meno gli argomenti etici o scientifici per sostenere che la loro vita vale meno di quella di ciascuno di noi.
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Nathaniel Philbrick, Il cuore dell’oceano. Il naufragio della baleniera Essex, Elliot, Roma, pagg. 312, € 19,50