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 2013  marzo 02 Sabato calendario

«LAVANNARE» E OPERAI, ROMA IN BIANCO E NERO - È

una Roma in bianco e nero quella documentata dai cento scatti di Mario Carbone ed Emilio Gentilini, visibili nella mostra «I volti, le pietre, la città», aperta fino al 5 maggio presso il Museo di Roma in Trastevere. I due fotografi hanno ripreso, tra il 1952 e il 1985, le immagini di una comunità oggi scomparsa. Renato Nicolini ha paragonato Gentilini a Roesler Franz, che sul finire dell’Ottocento si mise a disegnare febbrilmente gli angoli di una Roma pronta a svanire nel nulla. Ma Gentilini e Carbone, a differenza del celebre disegnatore, hanno puntato la loro attenzione più sui volti che sui luoghi. «Dopo aver guardato a lungo queste foto mi sono chiesto: qual è il vero bene culturale? Le pietre o gli abitanti?. Tutti e due, mi sono risposto. Ma come è possibile conservare qualcosa di effimero come uno stile di vita, gli occhi con cui una popolazione guarda il mondo, inventando così la tradizione?». Queste le considerazioni di Nicolini. I due fotografi hanno dimostrato che è possibile fissare sulla pellicola un modo di vivere.Nelle loro stampe si muove un’umanità indaffarata nelle faccende quotidiane, nelle cerimonie religiose, nelle lotte sociali. Sono passati appena cinquant’anni e sembra di rivedere il film di un’epoca lontanissima. Ecco il battesimo con i due sposini dalle facce di contadini inurbati da poco, l’artigiano di via dei Coronari che lavora a una cornice, la donna all’osteria ritratta come in un dipinto simbolista, un pranzo di muratori sui gradini dell’obelisco di piazza del Popolo, i caffè di via Veneto e le processioni, le modelle in posa e i funerali, la nevicata del ’57 e le turiste americane a piazza di Spagna. Sono queste le testimonianze di Carbone, nato nel 1924 a San Sosti, in provincia di Cosenza, trasferito prima a Milano nello studio di Elio Luxardo e poi a Roma, dove nel 1955 iniziò a lavorare anche nel cinema. Come documentarista raccontò le lotte operaie alla Zanussi, l’occupazione delle terre a Melissa (in Calabria), la condizione del lavoro contadino, la rivolta degli studenti alla facoltà di architettura di Roma nel 1968. Sono gli anni in cui divide lo studio con Franco Angeli, e sceglie l’artista della scuola di Piazza del Popolo come soggetto del suo primo cortometraggio, «Inquietudine». Comincia così una lunga collaborazione con i pittori, italiani e stranieri, che in quegli anni gravitano a Roma. Oggi, grazie alla sua donazione, lo straordinario archivio accumulato in quasi mezzo secolo di lavoro sta per confluire nella collezione del Museo di Roma in Trastevere.L’archivio Gentilini invece è già in possesso del museo. Le curatrici della mostra, Silvana Bonfili e Donatella Occhiuzzi, hanno selezionato dalla raccolta soprattutto le immagini che il fotografo scattò negli anni Settanta a Trastevere. Ed è impressionante notare come il rione si sia completamente trasformato in così pochi decenni. Nel 1972 alla fontana di piazza Mastai c’era ancora una «lavannara» che strizzava i panni a mano, nei vicoli le donne sistemavano la seggiola impagliata davanti all’uscio per chiacchierare con le vicine mentre ricamavano, lavoravano a maglia, pulivano le verdura per la cena, tenevano d’occhio i figli che giocavano a palla in mezzo alla strada. E poi c’era la raccoglitrice di cartoni che spingeva il suo carretto per tutto il rione, la «pizzicarola» che consegnava la spesa nel cestino di vimini calato dalla finestra, la candelaia che vendeva i ceri per la processione della Madonna del Carmine. Per Gentilini, che aveva lavorato a lungo a New York come fotografo di moda, erano immagini rubate: «Altrimenti non avrei potuto cogliere tutta la spontaneità delle donne di Trastevere. Nonostante cercassi di passare inosservato, qualcuna si accorgeva dell’obiettivo e con un linguaggio colorito mi faceva capire che la cosa non le era gradita».
Lauretta Colonnelli