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 2013  marzo 12 Martedì calendario

NE’ STUDIO, NE’ LAVORO: ECCO I GIOVANI SENZA DESIDERI

Stanno seduti su due piloni gialli spartitraffico, davanti all’ingresso di un grande centro commerciale. Vicini. In silenzio. Non sembrano arrabbiati. Nulla li accende. Se proprio si tratta di esprimere un desiderio per il futuro, qualcosa di futile e grandioso, lui dice: «Un’Alfa Giulietta e un viaggio a Miami». Lei ci pensa tre minuti buoni: «Anche io vorrei un’auto - racconta - ma non ho desideri speciali. Non mi piace illudermi. Vorrei solo un posto da segretaria. Ottocento euro al mese. Magari il sabato sera andare a mangiare la pizza». Per le statistiche dell’Istat, Vittoria e Nicola sono due giovani «Neet» (Not in Education, Employment or Training). Come il 22,7% dei ragazzi e delle ragazze fra i 15 e i 29 anni. Non studiano e non lavorano, impantanati dentro a una palude di sfiducia. A guardarli sotto la luce nera di un temporale, sembrano soprattutto due giovani italiani a cui qualcuno ha cavato la speranza dagli occhi.

Rispondono a monosillabi. Gentili, educati. Sono in guerra e lo sanno, ma la combattono da questa strana trincea a bassa intensità emotiva. «Non posso permettermi di esternare troppo - dice lei - mio padre è in cassa integrazione da tre anni. È molto giù, non parla, il che è anche peggio». Unico regalo ricevuto a Natale: 50 euro dalla nonna. Vittoria La Braca, 20 anni, ha studiato contabilità in un istituto tecnico. Ha un solo lavoro da mettere in curriculum: «Tre mesi di stage in un studio legale, organizzati dalla mia scuola». Si alza alle 8 del mattino, accompagna il fratello Simone in classe, va al mercato, cucina con la mamma casalinga e aspetta il pomeriggio. Abita in zona Lingotto, periferia sud. «Con Nicola ci vediamo in un centro commerciale oppure in centro città». Stanno insieme, sono fidanzati. Anche se lo dicono con un’indecifrabile timidezza, che sembra connessa al senso del poi. Loro al momento non hanno un futuro contemplabile. In compenso hanno capelli ben curati, tagliati da amici. Vestiti normali alla moda. In tasca, telefonini comprati scontatissimi su Ebay. Hanno questa storia che li tiene insieme nell’incertezza. Ma nessun piano, se non aspettare: «È colpa del sistema. Nessuno ci ascolta».

Nicola Pillo, 23 anni, ha sempre voluto diventare un informatico. È appassionato di computer da quando aveva sei anni: «Ho studiato in un istituto tecnico. Ci so fare: hardware e software. Ho mandato centinaia di curriculum, sono andato a bussare ovunque. Ma niente. Non ho ricevuto neppure una risposta. Ho trovato solo due lavori di altro genere. Un mese e mezzo di pulizie alla Fiat, l’estate di tre anni fa. Poi tre mesi di stage alla Confesercenti nel 2009». Da allora, nulla. Solo piccole cose in nero, del tipo: «Il mio computer si è beccato un virus... Puoi aiutarmi?». Nicola dice di spendere 40 euro alla settimana. «Sigarette più birra media il sabato sera. Ma ai miei non chiedo niente». La sua famiglia è originaria di Foggia. Lui è il più grande di tre figli. Stanno tutti sulle spalle del padre, un poliziotto in pensione. «Papà mi sprona. Dice di provare ancora. Ma io ho un po’ smesso di sperare, lo ammetto. La situazione è troppo deprimente. Certe volte penso che andrò a cercare fortuna in Germania, anche se i miei genitori non sono molto d’accordo». Nicola votava Berlusconi, ma ha scelto Grillo: «Spero che si occupi di lavoro». Vittoria, invece, è andata a votare per la prima volta in vita sua: «Monti. Perché ci ha salvato dal tracollo. Ma ormai non mi interessano più le chiacchiere. L’unica domanda che conta a questo punto é: quanto tempo ancora ci vuole per uscire da questa situazione?». Si difendono dalla crisi come da un temporale. Magari lungo e cattivo. Ma qualcosa di esterno. «Però sappiamo bene che non possiamo andare avanti così in eterno». Se questa notte trovassero 5 mila euro sotto il cuscino, Nicola li metterebbe in banca. Vittoria invece ne darebbe la metà al padre cassaintegrato: «E poi mi aprirei un conto». Eccoli, due «Neet» sotto al diluvio. Non hanno anatemi da lanciare. Neppure cercano consigli. «Un giorno mi piacerebbe avere una famiglia», dice lui. Vittoria lo guarda: «Prima di tutto io voglio un lavoro. Essere autonoma. È da quando ho sei anni che sogno di diventare una segretaria».