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 2013  febbraio 28 Giovedì calendario

Il BANDITO GIULIANO E L’IPOTESI DEL SOSIA - Più che il Paese dove fioriscono i limoni, l’Italia sembra il Paese dove fioriscono i segreti

Il BANDITO GIULIANO E L’IPOTESI DEL SOSIA - Più che il Paese dove fioriscono i limoni, l’Italia sembra il Paese dove fioriscono i segreti. Ben tutelati, per decenni, per secoli anche. Nel secondo dopoguerra, dopo Portella della Ginestra (1947), tra l’altro, la strage di piazza Fontana (1969), l’assassinio di Moro (1978), la strage di Bologna (1980), le uccisioni di Falcone e Borsellino (1992). Dopo inchieste, perizie, indagini parlamentari, processi che si sono accavallati nel tempo, non si conoscono ancora i mandanti di quegli orribili delitti che hanno inquinato la società nazionale. L’eccidio di Portella della Ginestra, poveri contadini innocenti che festeggiavano il Primo maggio, inaugurò le stragi della neonata Repubblica. Sugli uomini e sulle donne radunati nella piana spararono, dai sovrastanti roccioni fioriti, le armi automatiche della banda Giuliano e anche bombe a mano gettate da altri. Le compromissioni, i patti tra mafia, Stato, banditi, polizia, carabinieri, servizi segreti nostrani e americani furono i protagonisti delle indagini finte, dei depistaggi, della mancata volontà di far giustizia perché, allora e dopo, lo Stato non ebbe il coraggio o la possibilità di giudicare se stesso. C’è anche chi non ha dimenticato. Giuseppe Casarrubea, tra i pochi, ha seguitato a studiare, ad analizzare i fatti, a far ricerca. Aveva un anno quando suo padre, un ebanista, fu, il 23 giugno 1947, vittima di Giuliano nella sezione comunista di Partinico dove si trovava. Professore di Lettere, studioso di storia, autore di numerosi libri, Casarrubea ha scritto ora, con Mario José Cereghino, esperto di archivi inglesi e americani, La scomparsa di Salvatore Giuliano (Bompiani, pp. 353, 12,50): un libro ricchissimo di informazioni, avallato dalla corposa e motivata prefazione di Nicola Tranfaglia. Che cosa c’è di nuovo? Casarrubea non è mai stato convinto che l’uomo ucciso nel cortile della casa di Gregorio De Maria, l’avvocaticchio legato alla mafia, fosse Salvatore Giuliano. Non è stato mai neppure convinto di quella messinscena: il 5 maggio 2010, sessant’anni dopo la notte tra il 4 e il 5 luglio 1950, lo scrittore ha chiesto di aprire un’indagine per far chiarezza sui non pochi fatti sospetti. La Procura della Repubblica di Palermo ha accolto la richiesta di indagare su quel che allora accadde, ha fatto riesumare il cadavere di Giuliano, ha ordinato un’autopsia accompagnata da esami del Dna da confrontare con i reperti dei congiunti. Medici legali, periti, biologi si sono messi all’opera. Tutto per ora è fermo. Ci fu veramente una sostituzione di cadavere? Un sosia fu ucciso al posto di Giuliano? È questo il nodo centrale, la novità del libro. Contemporaneamente Casarrubea e Cereghino hanno studiato i documenti desecretati nel 2005 dai servizi segreti italiani, dall’Oss, il progenitore della Cia americana, e dal Foreign Office inglese, che si sono occupati a lungo della vicenda siciliana e italiana. Si è chiarito ancora una volta come l’immagine del bandito reclamizzato come un Robin Hood di montagna che rubava ai ricchi per dare ai poveri fosse falsa, utile a chi si servì del bandito per losche trame. Più che un bandito, un terrorista, addestrato ai tempi della Repubblica di Salò quando militò nella Decima Mas, e dopo il 1945 quando mise la sua banda agli ordini dei servizi segreti americani che operavano in funzione anticomunista, in previsione della Guerra Fredda, cercando gli uomini adatti nei bassifondi dell’eversione nera. Il libro è un brogliaccio popolato di spie repellenti, di baroni siciliani legati alla delinquenza, di suicidi sospetti, di carteggi veri e falsi tra Giuliano e uomini dello Stato, di Pisciotta, il luogotenente, che non fu l’assassino dell’amico, di ministri, di equivoci uomini dei servizi italiani e americani in buoni rapporti con la mafia, di ispettori di Ps che fornirono un lasciapassare al «re di Montelepre», assassino di almeno cinquecento persone, mentre fingevano di cercarlo sulle montagne. La scomparsa di Salvatore Giuliano è una miniera. Sarebbe stato doverosamente indispensabile dare precise indicazioni bibliografiche — le fonti — come Casarrubea fece nel suo precedente libro, Storia segreta della Sicilia. Qui mancano del tutto, non sono sufficienti le citazioni tra virgolette. Tra lo Stato e Giuliano ci fu indubbiamente un patto. Fu rispettato? Il bandito fu veramente spedito negli Stati Uniti in cambio del silenzio? Chi fu ucciso in quel cortile? I magistrati di Palermo potrebbero finalmente metter fine a questa angosciosa fosca storia. Corrado Stajano