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 2013  febbraio 28 Giovedì calendario

NIENTE MOGLI E MARITI TRA I DOCENTI. LA SCELTA AGITA L’ATENEO DI GENOVA

Chissà che direbbe il «papà» della chimica Antoine de Lavoisier, che con la moglie Marie Anne lavorava gomito a gomito; oppure la fisica Marie Curie, che nel 1903 conquistò con il marito Pierre il premio Nobel. Tempo scaduto per gli emuli di Barack e Michelle Obama che, da colleghi-coniugi nello stesso studio di Chicago, sono arrivati fino alla Casa Bianca.
All’Università di Genova, da ieri, non si potrà più lavorare con moglie o marito nello stesso dipartimento. Il Senato accademico, in seduta straordinaria, ha approvato con maggioranza piena (18 favorevoli, un contrario e un astenuto) il divieto alle chiamate di professori e il reclutamento di ricercatori che siano sposati con altri docenti dello stesso dipartimento. Il «conflitto di interessi» è stato messo a fuoco dall’Università di Genova, lo scorso ottobre, quando la direzione generale ha emanato una circolare per fare chiarezza su un caso di reclutamento di una ricercatrice sposata con un professore ordinario. Per prevenire casi di nepotismo si è intervenuti sulla legge Gelmini, la 240 del 2010, che all’interno di una stessa struttura accademica impedisce le chiamate di docenti con «un grado di parentela o affinità fino al quarto grado con un professore del dipartimento che effettua la chiamata, con il rettore, il direttore generale o un componente del consiglio di amministrazione».
L’Università di Genova ha voluto estendere il «divieto» ai coniugi, disciplinando così un porto franco. «Abbiamo colmato una lacuna del legislatore, dato che fino a oggi si poteva impedire la chiamata della cognata, ma non quella del coniuge», spiega il rettore dell’Ateneo Giacomo Deferrari, che ora però deve schivare le accuse di discriminazione nei confronti del matrimonio e addirittura delle relazioni eterosessuali. «Ovviamente ci sono anche le coppie di fatto e quelle gay: ma intanto abbiamo messo dei paletti a un’ampia casistica». La relazione tra carriera e parentela, all’interno degli atenei, è un tema caldo da sempre. Nel suo «Measuring nepotism: the case of italian academia» Stefano Allesina, cervello matematico in fuga a Chicago, nel 2011 ha scoperchiato la pentola dei baroni. Spulciando la banca dati del ministero dell’Istruzione ha rilevato come tra gli oltre 61 mila professori e ricercatori a tempo indeterminato delle università italiane, ci sono 4.583 cognomi ripetuti due volte e 1.903 che compaiono tre volte. La «convivenza» lavorativa dei coniugi ha conosciute fortune alterne anche fuori dalle università: nel 2010 il gruppo Richemont, polo svizzero del lusso, ha introdotto un codice di comportamento per dissuadere i ventimila collaboratori a intrattenere relazioni sentimentali tra di loro. Più tollerante la Norvegia, solo per motivi pragmatici: uno studio ha dimostrato che chi ha il coniuge in ufficio lavora di più. «Ma per quanto riguarda l’Ateneo ligure non c’è nulla da obiettare: mi sembra che sia stata fatta una lettura corretta della norma», osserva l’avvocato giuslavorista Vittorio De Luca. «L’Università ha colmato una lacuna delle legge 240, che all’articolo 18 disciplinava la materia per parenti e affini, ma non contemplava il caso di coniugio». L’intento è quello di introdurre criteri sempre più meritocratici, «in linea con il codice di reclutamento dei ricercatori, che agisce nella prospettiva della creazione di un mercato del lavoro europeo attrattivo, aperto e sostenibile», aggiunge De Luca. Ma è proprio sul merito che si innestano le critiche di chi ha votato contro la decisione del Senato accademico. «Se il marito è intelligente è giusto che sia discriminato per il fatto di essere coniugato con un ordinario?» protestano i contrari alla norma. E ancora: «Chi disciplina la chiamata di un amante o di un convivente nello stesso dipartimento dove lavora il "mentore"?». L’Avvocatura dello Stato, interpellata dagli organi di governo dell’Università prima della decisione, non è entrata nel merito e ha ribadito come occorra una modifica del regolamento d’ateneo sulle chiamate dei professori di prima e di seconda fascia, sia in caso di coniugi, che di conviventi. Probabilmente in un futuro neppure lontano potrebbe toccare alle coppie di fatto e a quelle gay.
Michela Proietti