Franco Sicheb, Italia Oggi 27/10/2011, 27 ottobre 2011
GLI INTERESSI CI POSSONO STROZZARE
Se un qualsiasi cittadino italiano domattina andasse in banca e chiedesse un prestito da 10 milioni di euro, prima lo guarderebbero come un pazzo, poi, forse incuriositi, chiederebbero: «Che garanzie ci offre per quel prestito?». Naturalmente la stessa cosa è accaduta quando l’Italia, in difficoltà a sostenere da sola i suoi titoli di Stato dall’attacco della speculazione, ha bussato alle porte della Banca centrale europea (Bce). Le è stato risposto: va bene, ti aiuto e compro titoli tuoi (e spagnoli, che erano nella stessa condizione). Tu però che garanzie di rimborso mi dai? Siccome un paese non può dare immediatamente in garanzia a chi fa il prestito, case e beni, come fa un privato con la banca, ha dovuto dare, in garanzia, il suo bilancio pubblico, accompagnato da misure che lo rendessero credibile al banchiere.
Il banchiere (la Bce) gli ha scritto 10 cose da fare perchè quel bilancio fosse credibile, e quindi in grado di ripagare a scadenza i soldi che venivano prestati con tutti gli interessi che via via maturavano. Vero che l’Italia, di quella banca a cui chiedeva il prestito, è azionista all’12,49%, e quindi un po’ ne aveva diritto. Ma vediamo cosa è accaduto. L’Eurosistema, che è come fosse il bilancio consolidato di tutte le risorse delle banche centrali che aderiscono all’area dell’euro (il bilancio Bce, da solo, non avrebbe le risorse necessarie), alla data del 5 agosto 2011 aveva in portafoglio 133,7 miliardi di euro in titoli di Stato. La somma era più o meno costante da mesi (saliva o scendeva di 0,1-0,3 miliardi di mese in mese).
Da quel momento, ha iniziato ad acquistare titoli di Stato italiani e spagnoli, più italiani che spagnoli, a dire il vero, anche se non ci sono dati ufficiali a confermarlo. Alla data del 21 ottobre 2011 quel portafoglio titoli di Stato dell’eurosistema era passato da 133,7 a 228,7 miliardi di euro. Ciò significa che, per difendere Italia e Spagna, sono stati impiegati, in soli due mesi e mezzo, 95 miliardi di euro. Diciamo pure che l’Italia ha messo la sua quota di quei 95 miliardi: 11,87 miliardi. Gli altri paesi dell’euro però hanno messo 83,13 miliardi di euro. Le somme più rilevanti sono state messe da Germania (18 miliardi) e da Francia (13,5 miliardi). Non è quindi così strano che i cittadini di quei paesi vogliano sapere come e quando, con quale certezza quei soldi vengano rimborsati quando i titoli scadranno e se gli interessi verranno pagati.
Ai cittadini tedeschi e francesi che non hanno pensioni di anzianità scoccia molto sapere che in Italia c’è gente che, anche grazie anche ai loro 31,5 miliardi di euro prestati in due mesi e mezzo, va in pensione a 58 anni pagata anche dai loro soldi per oltre 20 anni (l’aspettativa di vita). Chiedono che almeno lì si risparmi un po’, non buttando dalla finestra soldi che potrebbero servire ad altro: ad esempio a onorare la restituzione di quel prestito e magari a non doverne chiedere un altro.
Se l’Italia (come sembra) risponde picche, è facile immaginare che tedeschi e francesi dicano alla Bce: basta, non buttate più i nostri soldi per difendere i titoli di Stato italiani.
Che cosa accadrebbe? L’abbiamo già visto. All’asta bot dei primi di luglio, l’Italia ha piazzato titoli al 2,106% lordo annuo di interesse. Alla prima asta di settembre, nel pieno dell’attacco della speculazione, ha dovuto piazzare Bot a un interesse lordo annuo del 4,153%. Significa avere aumentato del 197% la spesa per interessi. Come si può vedere dalla tabella pubblicata del ministero del Tesoro, il momento per i titoli di Stato italiani è assai delicato: a novembre sono in scadenza 31,5 miliardi di euro, metà in Bot e metà in Ccteu settennali. Se dovessimo applicare a quello stock l’aumento già registrato in spesa per interessi, bisognerebbe pagare 1,2 miliardi in più all’anno ai sottoscrittori. Ma se la Bce annuncia alla vigilia che non compra più titoli di Stato italiani, è probabile che quell’asta costerebbe al Tesoro una maggiore spesa per interessi fra 1,5 e 2 miliardi di euro all’anno per sette anni.
Sempre dalla tabella del Tesoro vediamo che se è vero che la vita media del debito pubblico italiano è di 7,11 anni, è vero anche che le scadenze più importanti sono tutte nel 2012, quando andranno rinnovati quasi 300 miliardi di titoli di Stato su 1500 miliardi in circolazione (il resto del debito pubblico è fatto di altre voci, non titoli). Per non intervenire sulle pensioni di anzianità come chiedono tedeschi e francesi per i loro prestiti, l’Italia rischia di dovere aumentare per 7 anni la propria spesa per interessi di una somma oscillante fra i 15 e i 20 miliardi all’anno. Se questo accade, non si raggiungerà il pareggio di bilancio nel 2013 a meno di non fare una nuova manovra di almeno 30 miliardi di euro nel biennio 2012-2013, probabilmente tutta tasse. In pratica o si cambia la vita gradualmente, facendoli lavorare un po’ di più, a 170 mila italiani ogni anno, o la si cambia in peggio subito per 60 milioni di italiani.