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 2011  ottobre 27 Giovedì calendario

Decolla lo spreco di Fabrizio Gatti Ci lavorano controllori di volo, doganieri, poliziotti, operai, addetti ai bagagli

Decolla lo spreco di Fabrizio Gatti Ci lavorano controllori di volo, doganieri, poliziotti, operai, addetti ai bagagli... Ma dallo scalo di Brescia nell’ultimo anno non è passato neanche un passeggero. E in nove anni è costato oltre 40 milioni di euro Da stamattina non atterra nemmeno un merlo. Anche gli uccellini snobbano l’aeroporto più sprecone del mondo. Allacciatevi le cinture e preparatevi a scendere nell’Italia del federalismo militante: benvenuti in Padania, terra di faide all’ultima spesa tra leghisti e berlusconiani. La cattedrale delle cattedrali nel deserto è al centro della verdissima pianura lombardo-veneta. Proprio qui dove il Risorgimento italiano ha combattuto le sue battaglie per l’Unità. E dove 150 anni dopo ogni provincia ha il suo campanile, i suoi parlamentari, il suo dialetto stampato sui cartelli stradali. E, perché no, pure il suo mega aeroporto. Quello di Brescia è straordinario: 3 mila metri di pista, la torre di controllo con due uomini radar di giorno e di notte al lavoro, si fa per dire, vigili del fuoco, poliziotti, finanzieri, doganieri in servizio sulle 24 ore, addetti ai bagagli, alle pulizie, ai metal-detector, alle rampe, al piazzale, al rifornimento, alle previsioni del tempo, alle informazioni al pubblico. E da un anno nemmeno un passeggero. Nemmeno un volo, una partenza, un abbraccio. Roba da umiliare i padrini della defunta Cassa del Mezzogiorno. Ma giù al Nord le cose si fanno perbene. In nome dell’efficienza, del commercio, della tradizione. E del feudo: antico concetto che il linguaggio più raffinato preferisce chiamare lobby. La società Aeroporto Gabriele d’Annunzio ne è un monumento. Gestisce l’omonimo aeroporto di Brescia, nelle campagne di Montichiari, una ventina di chilometri dalla Leonessa d’Italia. E in nove anni, da quando è stata costituita, ha perso la bellezza di 40 milioni 383 mila 462 euro. Il bilancio migliore? Il primo nel 2002, quando ha operato per soli sei mesi: meno 2 milioni 504 mila e 52 euro. Il record nel 2009: meno 5 milioni 813 mila 555 euro e una ricapitalizzazione per perdite da 15 milioni 500 mila euro. Leggermente meglio nel 2010, ma solo grazie alla cancellazione di tutti i voli passeggeri: meno 4 milioni 574 mila 126 euro. Mai un bilancio almeno vicino al pari. Eppure ad appena mezz’ora di autostrada, negli stessi nove anni, l’aeroporto di Bergamo ha portato il suo utile da un milione 786 mila euro a 12 milioni 270 mila euro. Perderli per perderli, se avessero regalato quei 40 milioni ai 63 dipendenti, i 25 operai e i 38 impiegati bresciani avrebbero messo insieme un gruzzolo di quasi 635 mila euro ciascuno. Invece si ritrovano in cassa integrazione. Ultima conseguenza di decisioni prese sempre altrove. Ai cinque amministratori della società va un po’ meglio. Nonostante i risultati, negli ultimi sei anni il loro compenso medio pro capite è aumentato senza sosta: dagli 11.221 euro del 2004 ai 19.200 euro all’anno del 2010. Un bel più 71 per cento, che il consiglio d’amministrazione dell’aeroporto integra con guadagni e gettoni in altri incarichi e attività. Così hanno deciso i soci della Gabriele d’Annunzio: la Provincia di Brescia con un simbolico 0,01 per cento di azioni e la società Aeroporto Valerio Catullo di Verona Villafranca con il 99,99, a sua volta controllata da Camera di commercio di Verona, Provincia di Verona, Provincia di Trento, Comune di Verona, Provincia di Bolzano, Camera di commercio di Brescia, ancora la Provincia di Brescia con il 4,19 per cento. E altri soci tra banche, enti e Comuni della zona. Uno spreco di soldi pubblici che comincia da lontano. L’attuale crisi economica c’entra ben poco. Per anni idee, risorse, progetti sono stati bruciati in una battaglia di campanile. Combattuta anche davanti al Tar, al Consiglio di Stato, al tabellone degli orari dei voli. Città contro città. I veronesi della Lega contro i bresciani del Pdl. Lo stesso aeroporto di Verona contro il suo figlioccio di Brescia. Due aeroporti a 45 minuti di autostrada. Tre contando Bergamo. Cinque considerando Milano Linate e Malpensa. Soltanto quest’anno, il 31 maggio, è stata firmata la pace. Sfruttando la circostanza che la Lega governa in Comune a Verona con Flavio Tosi e in Provincia a Brescia. E il Pdl in Comune a Brescia con Adriano Paroli e in Provincia a Verona. Quanto sia stato paradossale lo scontro, lo si legge nel sito Internet dell’aeroporto: www.aeroportobrescia.it. È scritto così: "L’obiettivo della società è quello di promuovere lo sviluppo dello scalo bresciano in un’ottica di complementarietà e specializzazione, non conflittuale, rispetto all’aeroporto di Verona...". Non conflittuale. E perché mai un aeroporto aperto con soldi pubblici non dovrebbe fare concorrenza a un altro aeroporto? Per raccontare la cronaca di questa follia, bisogna fare come Tom Hanks nel film "The Terminal" di Steven Spielberg. Vivere nel terminal giorno e notte. Stare nelle sale deserte. Parlare con i dipendenti solitari. Raccogliere le paure di chi rischia di perdere il lavoro. Come gli addetti al piazzale. E i tassisti di Montichiari che non hanno più passeggeri da accompagnare. Non bastano i rarissimi voli in transito. Come venerdì 7 ottobre, quando uno sciopero a Verona ha fatto dirottare a Brescia sei aerei di linea. Nemmeno i nove voli postali della notte sono sufficienti a far respirare i conti. Tra le 23 e le due, dal lunedì al giovedì, viene scaricata e ricaricata sugli aerei la corrispondenza in arrivo e in partenza per tutta Italia. È l’ultimo contratto rimasto alla società Gabriele d’Annunzio che giustifica la presenza di poliziotti, finanzieri, doganieri, pompieri e via dicendo. Senza questa gentilezza al centrodestra locale da parte di Poste Italiane, rimarrebbero i voli a elica dell’aeroclub. E le prove tecniche della Bosio motori aeronautica, una gloriosa officina di manutenzione che con le limitazioni di rullaggio imposte dal nuovo regolamento dell’aeroporto proprio nel momento in cui non c’è più traffico, rischia a sua volta di chiudere. Cestinato il progetto di farne una scuola per preparare tecnici specializzati che non si sa più dove trovare. Più volte archiviato il tentativo di trasformare Montichiari in uno snodo merci. Le compagnie cargo venute qui sono fallite o hanno traslocato. E così quelle passeggeri. L’ultima a trasferirsi Ryanair: il 30 ottobre 2010. Nonostante gli aerei, dicono i dipendenti, sempre pieni. Dove sono finiti quei voli redditizi? Che combinazione: proprio a Verona. La storia di un giorno qualunque può cominciare da quando a Montichiari è ancora notte. Ore 3.15 Il nono cargo postale della Mistral Air è decollato da un pezzo. Se ne sono andati gli 80 operai esterni della cooperativa di facchinaggio, quasi tutti stranieri. E gli addetti al piazzale, dipendenti della Gabriele d’Annunzio. Lavorano quattro ore. Poi cassa integrazione. Nel buio totale dei campi, l’aeroporto di Brescia è una gigantesca cupola di luce su un piazzale immobile. Resterà così per tutta la giornata. I rimorchi portabagagli ammassati a destra dell’aerostazione. Trattori, autoscale, spargisale a sinistra. In un parcheggio lontano i pullman per i passeggeri che nessuno usa più. Milioni di euro affidati alla ruggine. Ore 7 Milano Linate a quest’ora sarà già piena di passeggeri in coda ai check-in. Bergamo pure. Dalla capitale dell’acciaio alle porte del Nord-Est, dalla stessa terra tra Brescia e Mantova che in questo momento può vantare un ministro e la presidente di Confindustria, non parte nessuno. Nemmeno un jet privato. La sala arrivi e la sala partenze sono luminose e pulite come uno stadio senza pubblico né giocatori. Ore 7.37 Il primo sole rischiara una montagna ricoperta di teli verdi, al di là della pista di decollo. La pista l’hanno allungata durante la Guerra fredda per far atterrare i bombardieri con le testate atomiche. A quei tempi quella montagna là in fondo non c’è ancora. Non esiste nemmeno nel 1999 quando l’allora presidente del Consiglio, Massimo D’Alema, inaugura l’aeroporto con queste parole: "Qui oggi abbiamo la dimostrazione che noi italiani quando vogliamo fare qualcosa ci riusciamo". Gli aerei passeggeri a Montichiari arrivano perché l’aeroporto di Verona deve chiudere temporaneamente per riammodernare gli impianti. E a Brescia vengono fatte le cose in grande. Sempre sotto il controllo dei concorrenti veronesi. In sei mesi la nuova aerostazione è pronta. Cinquanta miliardi in lire, quasi 26 milioni il costo in euro. Ore 8 Apre il giornalaio, sala partenze. Finalmente si vede qualche aereo: un Airbus 380, un Jumbo, un Md11, un Airbus 320. Sono giocattoli sugli scaffali dedicati ai bambini. In vetrina un bestseller ingiallito, "La mia Africa" di Karen Blixen. E tre libri di Fabio Volo. Chissà se questi li hanno messi lì con ironia. Lo schermo partenze è un quadrato azzurro come il cielo. Stesso colore lo schermo arrivi. Nessun aereo. L’ora è indietro di 13 minuti. Senza risposta anche i click sul sito Internet. Un simpatico avviso rivela che la pagina arrivi-partenze "viene aggiornata ogni 10 minuti". Ore 10.07 Dei tre metal-detector, uno resta acceso per il controllo dei dipendenti. Un televisore spiega 24 ore su 24 al salone vuoto cosa è consentito portare a bordo. Per ammazzare il tempo le due guardie giurate leggono il giornale, un libro, escono a turno a fumare. Ore 11.05 Lo sportello cambiavalute è spento. Manca la sedia. Sul foglio appeso al vetro la quotazione è ferma alle 13.45 del 28 dicembre 2007. Un dollaro: 1.53 euro. L’ufficio informazioni è illuminato. Due hostess in divisa confermano che il banco è aperto dalle 7 alle 19. L’ultima informazione che vi hanno chiesto? "Due giorni fa". Cosa chiedevano? "Dove comprare un biglietto aereo". La biglietteria è chiusa da mesi. Ore 11.42 Sempre al di là della pista, un’altra fila di camion sale ben sopra gli alberi. Quella montagna non c’è nemmeno nel 2002 quando l’aeroporto di Verona e la Provincia di Brescia costituiscono la Gabriele d’Annunzio. È la discarica dell’Azienda servizi municipalizzati di Brescia, da poco autorizzata appena fuori la recinzione dell’aeroporto. La norma internazionale Icao indica "in 13 chilometri dal sedime aeroportuale il limite consigliato per l’insediamento di attività di smaltimento". In Italia le regole sono più elastiche. I rifiuti attirano gli uccelli. E gli uccelli sono un pericolo se vengono aspirati dai motori dei jet. Due anni fa è successo due volte con i gabbiani, spiega il presidente dell’aeroporto bresciano, Vigilio Bettinsoli, 62 anni, in quota Pdl: "Ora sui rifiuti spargono enzimi per tenerli lontano". Ore 13.30 Luca Aldrovandi, 38 anni, e Luigi Gibelli, 56, tassisti senza lavoro, riconoscono Bettinsoli mentre pranza con un panino al bar dell’aeroporto. Vogliono sapere le novità. "Ci dicono", raccontano i due tassisti, "che se ci sarà l’accordo con Milano, Brescia potrebbe diventare il nuovo hub al posto di Malpensa. Oppure che Brescia si prenderà i cargo che non trovano più posto a Bergamo. O che qui arriveranno l’alta velocità e l’autostrada. Ma nel frattempo cosa mangiamo?". Nessuno ancora immagina che ogni progetto di ampliamento dovrà vedersela d’ora in poi con la montagna di rifiuti autorizzata a poche centinaia di metri dalla pista. I camion continuano a scaricare immondizia. Ore 15.15 Chiude il bar. In agosto se n’è andata la società Autogrill. Hanno faticato a trovare un imprenditore locale disposto a tenere aperto almeno per i dipendenti. Il giornalaio è sbarrato dalle 12.30. Ora l’aeroporto è davvero immobile. I dieci banchi check-in deserti. Alla parete, la pubblicità della Ryanair: "Tariffe fisse. Londra-Brescia-Cagliari". È il collegamento trasferito a Verona. Ma ci sono così tanti sardi a Brescia? "No", sorride un poliziotto, "Cagliari serviva a incassare le sovvenzioni statali". Sono 26 gli agenti sulle 24 ore. Più o meno lo stesso numero i militari della Finanza. Una trentina i pompieri. Ore 16 I progetti sul futuro dell’aeroporto vanno chiesti a Verona. Tutto passa da lì. La pace firmata il 31 maggio prevede la fusione delle due società di gestione e la costituzione della holding Sistema aeroporti del Garda: 25 per cento Provincia, Comune, Camera di commercio di Brescia, 25 per cento agli enti trentini e 50 per cento Provincia, Comune e Camera di commercio di Verona. In sospeso, l’ingresso con un 20 per cento di Sea Milano. Ma anche in questo caso i veronesi si terrebbero la maggioranza. Con una ridistribuzione delle quote 40, 20, 20 e 20. Ore 18.03 Alcuni dipendenti accettano di parlare, con la garanzia dell’anonimato: "Abbiamo paura di sanzioni disciplinari. Quando i sindacati hanno firmato la nostra cassa integrazione, i colleghi della società di Verona hanno ricevuto il premio di produzione. Perché loro con il low cost hanno aumentato gli incassi". È scritto anche nel verbale di approvazione del bilancio 2010: Brescia "sconta ancora oggi la mancanza di lungimiranza nelle strategie commerciali non cogliendo l’opportunità low cost e cioè rifiutando la proposta di Ryanair quando ancora non operava sull’aeroporto di Bergamo". "Adesso", spiegano i dipendenti bresciani, "ci dicono che diventeremo un solo aeroporto con due piste". Un aeroporto con due piste ne sfrutta una per i decolli e una per gli atterraggi. Ma se le due piste sono una a Brescia e l’altra a Verona, cosa cambia? Nessuno, a nessun livello, finora ha la risposta. Ore 18.58 Si aprono due porte scorrevoli. Arrivi internazionali. Esce un’addetta della società di pulizie Meridional. Oggi, come ieri e l’altro ieri, tutti i rifiuti prodotti da saloni e uffici non riempiono un sacchetto nero della spazzatura. Un altro giorno è finito nell’aeroporto dei passeggeri fantasma. n L’Italia delle piste bonsai di Riccardo Bianchi e Mariaveronica Orrigoni Producono perdite milionarie per gli enti locali. Eppure la corsa ai nuovi aeroporti non si ferma. Da Bolzano alla Sicilia In Molise vogliono volare, e il neo-confermato governatore Michele Iorio ha promesso ai suoi compaesani il primo aeroporto della regione. La storia insegna che uno scalo non si nega a nessuno, anche se il più delle volte a pagare le velleità locali sono i contribuenti. Costosi da costruire e poco frequentati, in Italia gli "scali bonsai" sono più di una ventina e registrano forti perdite di bilancio ripianate ogni anno dagli enti locali, che tanto li hanno desiderati. Lo spettro di possibili chiusure è stato paventato dallo stesso Enac, l’Ente nazionale per l’aviazione civile, nel Piano nazionale degli aeroporti: un rapporto messo a punto nel 2011 e che doveva essere reso pubblico sul sito a febbraio, ma di cui ancora non c’è traccia. Nonostante i funesti destini di realtà come Cuneo, Parma o Brescia e le promesse mai mantenute per Viterbo e Grazzanise, nel casertano, la corsa al piccolo aeroporto non si ferma. "I progetti hanno vocazioni diverse: molti sono fatti per promuovere lo sviluppo economico o quello turistico, e quindi hanno una forte valenza politica, altri rispondono solo a logiche di mercato", spiega Anna Gervasoni, direttrice del Centro di ricerca sui Trasporti e le infrastrutture dell’università Cattaneo di Castellanza, "ma è mancata e manca ancora oggi una regia nazionale, una visione a lungo termine e un coordinamento con le altre infrastrutture, soprattutto ferroviarie, che avrebbe evitato alcune scelte più che discutibili". Si parla di investimenti di decine di milioni, a cui vanno aggiunti i buchi nei conti delle società di gestione, che quando sono pubbliche devono essere coperti dalle amministrazioni. Come il Ridolfi di Forlì, che nel 2010 ha chiuso a meno 9,6 milioni con 15 milioni di debiti: a mettere una pezza ci hanno pensato gli azionisti Seaf, come racconta Raffaella Pirini, consigliere comunale del Movimento 5 stelle: "Il Comune è il socio di maggioranza e solo negli ultimi due anni, tra coperture e contributi straordinari, avrà speso più di 10 milioni". Oggi l’ultima spiaggia ha le sembianze della Regione, che dovrebbe unire nella Sar (la Società aeroporti Romagna per cui sono già stati versati 1,5 milioni) il Ridolfi di Forlì con il Federico Fellini di Rimini, che ha chiuso il 2010 in rosso per 2,6 milioni. Nelle regioni a statuto speciale la fotografia è la stessa. A Tortolì, nella provincia dell’Ogliastra in Sardegna, c’è un’aerostazione aperta solo in estate; quest’anno da agosto a settembre, perché a luglio la pista non era ancora stata collaudata. Neppure l’Enac sa quante persone ci passino: si parla di 2.900 nel 2011. L’aiuto pubblico però non è mai mancato, soprattutto a Giorgio Mazzella, l’imprenditore locale e presidente del Banco di Credito Sardo che negli anni ’90 rilevò la struttura. Gli affari non andavano bene, ma Provincia e Comune hanno deciso tra il 2001 e il 2004 di acquistare la proprietà, indebitandosi. Ora che i due enti non ce la fanno più, è arrivata in soccorso la Regione, che ha affermato di voler rilevare l’intero pacchetto ripianando i debiti. La Provincia di Bolzano, dalla sua, è sopravvissuta addirittura al referendum promosso nel 2010 da alcuni cittadini per "bloccare i fondi pubblici all’aeroporto", o per meglio dire all’Abd, interamente di proprietà dell’ente. Cifra che, fino a quel momento, si aggirava sui 45 milioni. Il quorum non è stato raggiunto e la Provincia è andata avanti con il suo piano di investimenti: 24 milioni da qui al 2030. Se il traffico è minimo, spesso è colpa di infrastrutture inadeguate. Come a Pontecagnano, provincia di Salerno, a poca distanza dalla Costiera amalfitana: sulla carta doveva essere un crocevia di prim’ordine, ma la realtà è ben diversa. "Le potenzialità ci sono, basti pensare ai numerosi jet privati che atterrano qui", sostiene Giovanni Basso, direttore amministrativo dello scalo, "ma per i voli di linea dipendiamo dall’allungamento della pista: abbiamo presentato un progetto da circa 40 milioni e aspettiamo una risposta". Per adesso, si parla di 20 mila passeggeri nel 2011, tra presunti fallimenti, sospensione delle tratte e un rapporto travagliato con Alitalia, unico operatore che unisce Pontecagnano a Milano. Un collegamento attivo fino al 30 novembre: dopo chissà. Qualcuno pensa che continuare sia troppo oneroso, visto che solo nel 2011 la voce "spese per la promozione" (vedi accordo con Alitalia) ha registrato 3,7 milioni, da aggiungere alle perdite stimate in 3,2 milioni. Quasi 7 milioni, interamente a carico del consorzio pubblico. Ma esiste un’alternativa all’eliminazione? Sì, ed è da mettere in pratica fin da subito: "Ogni realtà si deve sviluppare in maniera adeguata alla tipologia di mercato e alla domanda a cui si rivolge", commenta Oliviero Baccelli, vicedirettore del Certet della Bocconi. "Quando si parla di chiusura, è sbagliato generalizzare: Treviso è stato un esempio positivo, grazie ad un’impostazione creata dalla Save che ha premesso un’integrazione quasi perfetta con Venezia. Anche Comiso potrebbe trasformarsi in un supporto valido per Catania, che non è in grado di sostenere il traffico in arrivo". La storia del paesino in provincia di Ragusa è un mistero: le infrastrutture, costate più di 40 milioni, sono pronte ormai da quattro anni, ma la tanto proclamata inaugurazione resta un miraggio. Anche la Toscana ha avuto i suoi grattacapi. Nel 2007 la Regione ha acquistato per 340 mila euro il 62,7 per cento di Ala Toscana, a cui fa capo lo scalo dell’isola d’Elba, 9 mila passeggeri nel 2010, anno in cui ha dovuto aggiungere 350 mila euro per un aumento di capitale. I piani di rilancio tra i 2 e i 4 milioni si sono fermati con lo scandalo che ha coinvolto il consigliere Enac, Franco Pronzato, accusato di aver aiutato una società ad ottenere una licenza, proprio per atterrare nell’isola. Ormai anche la Elbafly, compagnia creata dagli albergatori locali, invece di volare organizza trasferimenti con lo scalo di Pisa. Tira brutta aria nelle sale d’attesa di Siena, frequentate solo da qualche campione di basket della squadra locale. Sulla struttura pende una pesante inchiesta della procura, in cui sono indagati anche i dirigenti del Monte dei Paschi. L’accusa riguarda una gara per la ricapitalizzazione della società (da 3 a 83 milioni), in cui i pm ipotizzano che fosse già deciso il vincitore, il fondo lussemburghese Galaxy. Per gli inquirenti il ministero dei Trasporti non revocò la procedura anche grazie all’interessamento di Franco Mugnai, avvocato e senatore Pdl. Il campanilismo è quindi più forte dei numeri, anche se sono negativi. Può perciò capitare che un’aerostazione come Perugia - non più di 100 mila passeggeri l’anno - riceva 42 milioni per costruire un nuovo terminal per i 150 anni dell’Unità d’Italia, o che a Taranto vengano spesi 200 milioni per lo scalo civile di Grottaglie, da cui partono due voli al mese. O può succedere come in Calabria, dove mentre arrivano 180 milioni per gli aeroporti di Crotone, Reggio Calabria e Lamezia Terme, qualcuno chiede nuovi fondi per costruirne un quarto a Sibari.