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 2011  giugno 28 Martedì calendario

BETTINI E QUELL’INTESA CON BERLUSCONI: LEGGE ELETTORALE PRONTA, POI LUI DISSE NO

Il Pd non basta. Parola di uno dei fondatori. Bisogna andare oltre. E costruire un partito più grande, con Vendola e Di Pietro, che unifichi il centrosinistra e inneschi il ricambio di una classe dirigente ereditata dal Pci. Né Matteo Renzi né Pippo Civati, definiti «qualunquisti» ; ma leader nuovi e un partito nuovo, aperto «a tutte le donne e gli uomini di buona volontà che vogliono riscattare la Repubblica» . Lui il suo passo indietro l’ha fatto: Goffredo Bettini ha lasciato il coordinamento del partito, la presidenza dell’Auditorium di Roma, il Senato, rinunciando anche a Strasburgo. E ha scritto un libro — «Oltre i partiti» – che Marsilio manda domani in libreria, per suggerire ai colleghi di fare altrettanto. La proposta: «Un nuovo soggetto, che vada oltre il Pd e tenti una via nuova, basato su una sorta di democrazia diretta e integrale, bandendo correnti, intercapedini burocratiche, nicchie di potere e attivando procedure semplici, leggibili, durature e permanenti capaci di decidere non solo sui gruppi dirigenti, ma sulle scelte fondamentali politiche e di merito» . Le divisioni tra i vari partiti del centrosinistra, sostiene Bettini, si spiegano solo con una radicata volontà dei gruppi dirigenti di conservare se stessi in piccoli recinti che si controllano più facilmente. Una delle tesi del libro è che i leader democratici non abbiano avviato una serie ricerca attorno alle metafore in grado di definire un campo politico-ideale; si sono avvitati su programmi che nessuno legge, e hanno rinunciato alle parole chiave— dalla giustizia sociale all’uguaglianza delle chances— che la sinistra italiana ha sempre rivendicato e che sono patrimonio del riformismo mondiale. Gli stessi, poco utili programmi si ritrovano tali e quali – nota l’autore – negli altri partiti del centrosinistra; «e quando essi si sono combattuti l’hanno fatto più che altro per ragioni di visibilità, di opportunità politica, di manovra tattica. Vendola appare perfino più attento a certi contenuti cari alle gerarchie cattoliche rispetto al prudente, ma laico, Michele Salvati; così come Bersani, culturalmente tradizionalista e di sinistra, ritiene sbagliata e inopportuna la proposta di Veltroni sulla patrimoniale» . Gli steccati tra Pd, Italia dei Valori, Sinistra Ecologia e Libertà sono, secondo Bettini, «detriti del passato, utili a perpetuare nomenclature inamovibili. Tanto inamovibili che la sinistra italiana è la sola che, in modo assai buffo, negli ultimi vent’anni di fronte alle sconfitte non ha cambiato le persone, che sono sempre le stesse, ma i nomi dei partiti. Fissità delle facce, girandola delle formule. Fino a superare il limite della pazienza e, in assenza di una vera politica, debordare nel qualunquismo dei rottamatori» . Si potrebbe obiettare che le differenze tra i vari partiti sono molte. Ma, se è per questo, le differenze permangono anche dentro il Pd, dove «l’ultimo guizzo di grande politica si è spento con le dimissioni di Veltroni» , di cui peraltro Bettini dà un giudizio positivo («ma meglio avrebbe fatto ad accogliere la richiesta di un congresso» ). Unirsi è nell’interesse di tutti: «Il Pd appare stanco. Può anche risalire di qualche punto, ma sta tornando a essere principalmente un residuo del vecchio Pci, accerchiato da una costellazione di leader che agiscono disordinatamente o minacciano ulteriori esodi» . Su Di Pietro, Bettini azzecca la previsione e ne antevede la svolta moderata: «Alla fine i toni esasperati perderanno efficacia e tornerà l’esigenza della politica. Di Pietro stesso, allora, troverà più giusto e conveniente scongelare le energie che pure ha suscitato in acque più ampie, dove certamente tutti gli riconosceranno il ruolo e la funzione che in Italia si è conquistato» . Quanto a Vendola, vive un momento di espansione, ma deve scegliere «se fare un ennesimo partitino, come probabilmente gli consiglia la parte a lui vicina più settaria e interessata al potere, o giocarsi le carte dell’empatia, della straordinaria forza di trascinamento, della trasversalità dimostrata dai voti dei tanti iscritti Pd che l’hanno sostenuto nelle primarie, in un confronto aperto, non truccato, democratico con l’insieme del centrosinistra» . Ci sono poi tre righe che impongono un approfondimento. Scrive Bettini che «quando svolgevo la funzione di coordinatore nazionale del Pd, con Veltroni segretario, raggiunsi perfino un’intesa informale con lo schieramento avversario, che naufragò per ragioni estranee al merito» . Di quale intesa si tratta? «Era sulla legge elettorale— risponde Bettini al telefono —. Trattai a lungo con Gianni Letta e Denis Verdini. Con me c’erano Stefano Ceccanti e talora Dario Franceschini. Ovviamente Veltroni era al corrente. Raggiungemmo un accordo, sancito in un documento, su un sistema misto tra quello spagnolo e quello tedesco: una parte dei deputati eletti nei collegi, una parte in liste proporzionali, con soglia di sbarramento ma riconoscimento dei singoli partiti. Poi è saltato tutto. All’evidenza, Berlusconi ha valutato che gli convenisse tenersi la legge attuale» . Bettini, anche l’uomo più vicino a Massimo D’Alema, Nicola Latorre, ha parlato di partito unico della sinistra. Ma lei ci crede davvero? «L’idea è meno remota di quanto appaia. Ne ho parlato con molte persone, con ottimi riscontri» . Chi? «Vendola. Zingaretti. Mi pare che i risultati dei ballottaggi e dei referendum, dove l’elettorato del Pd si è ritrovato compatto sul candidato di Sel e su quello dell’Idv, confermino che la strada è quella» .
Aldo Cazzullo