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 2011  giugno 28 Martedì calendario

IL DIFFERENZIALE CON I BUND AI MASSIMI DALL’AVVIO DELL’EURO —

Gli italiani preoccupati per il debito pubblico ieri devono aver rimpianto i tempi di quindici anni fa. Allora la lira non era neppure stata riammessa nello Sme, il sistema di cambio da cui l’Italia fu espulsa nel panico del ’ 92. Ma nel ’ 96, con la lira in pista da sola, il distacco nei rendimenti dei titoli di Stato di Roma dai Bund tedeschi era inferiore a quello registrato ieri. Alla vigilia del rientro nel sistema monetario quello «spread» era dell’ 1,76%; ieri, dopo dodici anni di euro, ha toccato un picco di 2,22%. In un certo senso gli investitori si fidano dell’Italia meno ora che allora, malgrado l’ennesima asta di Bot andata ieri a buon fine. Il grafico a destra mostra che l’aumento dello scarto Italia-Germania, salito a livelli record nell’era dell’euro, è il frutto di due forze divergenti. Il mercato si fida meno dei titoli di Roma, ma ricerca quelli di Berlino che dunque riesce a collocarli con rendimenti sempre più bassi: la carta tedesca è considerata una sicurezza in tempi incerti, quindi la forbice con l’Italia si apre ogni giorno di più. Ma come rivela il crollo dei rendimenti nel 2008, il calo dei tassi tedeschi segnala anche i timori di una frenata dell’economia. C’è poi però una storia tutta italiana. I numeri del Bollettino della Banca d’Italia di giugno mettono in dubbio l’abituale convinzione che il debito italiano si finanzia in casa, cioè con le famiglie e le banche nazionali. In realtà quest’anno (ad aprile) gli italiani hanno ridotto l’esposizione sul debito pubblico e sono gli stranieri che stanno coprendo più del 100%del fabbisogno di finanziamento del Tesoro nel 2011. Assogestioni segnala che da inizio anno dai fondi obbligazionari e di liquidità, che di solito investono molto in titoli del Tesoro, sono usciti oltre 8 miliardi di euro netti. Dopo mesi in cui il Paese era parso al riparo, gli spifferi della crisi greca sono arrivati anche in Italia. Il timore che la saga di Atene finisca malissimo allontana gli investitori dalle destinazioni che non sembrano ultra-sicure. E un debito al 120%del Pil, con un governo uscito indebolito dalle urne, ad alcuni sembra una destinazione un po’ troppo esotica. Del resto l’allergia al rischio è ormai ovunque. Secondo l’Investment Company Institute, nelle ultime due settimane i risparmiatori hanno ritirato 51 miliardi di dollari dai fondi di liquidità americani che investono in bond privati: nel loro Dna è rimasto impresso il momento in cui alcuni di essi andarono sotto per aver comprato obbligazioni a breve termine di Lehman. Il corollario di questa sfiducia si avverte poi nelle banche europee. Gli americani si tengono alla larga dai loro bond e i prestiti interbancari si stanno diradando, perché gli istituti si fidano meno di prima gli uni degli altri: temono che la controparte imploda se la Grecia fallisse. Lo si vede nell’aumento di richieste di prestiti da parte delle banche europee direttamente presso la Bce, le cui operazioni di mercato aperto sono ai massimi da inizio febbraio. Lo stesso ricorso delle banche italiane ai fondi della Bce sta salendo, con richieste anche da parte anche di importanti istituti nazionali. I titoli azionari delle banche italiane banche medie e medio-piccole — tolte Intesa Sanpaolo e Unicredit— sono precipitati a livelli spesso molto sotto i minimi del crac Lehman. Il mercato le svaluta perché il loro patrimonio è composto di titoli di Stato italiani, che stanno perdendo valore. A sua volta il prezzo dei Btp cala e il rendimento sale nel timore — magari infondato ma presente all’estero — che alcune banche avranno bisogno di un aiuto pubblico. È una spirale di scarsa fiducia che si autoalimenta. In realtà quasi tutti gli istituti italiani hanno deciso aumenti di capitale e la manovra sul deficit è sul tavolo del governo. E mercoledì ad Atene il parlamento voterà le misure che devono aprire la via all’ennesimo stadio del salvataggio. Chiudere gli spifferi è possibile, prima che diventino tempesta.
Federico Fubini