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 2011  giugno 28 Martedì calendario

Eco talebani contro il Wwf: «Fa affari con chi inquina» - Il panda del Wwf è finito nei guai.E ora iverticidell’as­sociazione temono il disa­stro

Eco talebani contro il Wwf: «Fa affari con chi inquina» - Il panda del Wwf è finito nei guai.E ora iverticidell’as­sociazione temono il disa­stro. Tutta colpa di un’inchie­sta trasmessa qualche giorno fa da un canale della televisio­ne pubblica tedesca. Per più di un anno Wilfried Hui­smann, tra i più noti docu­mentaristi di Germania, spes­so premiato in festival del set­tore, ha seguito in giro per il mondo le attività della più grande e nota associazione naturalistica internazionale. Il risultato, Il silenzio dei pan­da. Quello che il WWf non di­ce , è un disastro, almeno in termini di comunicazione: anzichè proteggere la natura, sostiene il film, l’associazio­ne appoggia e guadagna gra­zie a una serie di accordi con aziende chimiche e delle bio­tecnologie che favoriscono deforestazione e sviluppo delle coltivazioni genetica­mente modificate. Un anate­ma per gli ecologisti più ar­rabbiati. E un rischio terribile per le casse del gruppo, che riceve ogni anno circa 500 mi­lioni di euro in donazioni e che teme di vedere disseccar­si la sua principale fonte di fi­nanziamento. Tanto più che solo poche ore dopo la messa in onda il filmato è finito su youtube, trasformando la cri­si da tedesca a globale. La lista delle accuse si apre con il racconto della situazio­ne nel Gran Chaco, enorme ecosistema in parte semiari­do tra Argentina, Bolivia, e Pa­raguay. Qui il WWf ha dato il suo via libera ai progetti della multinazionale Monsanto per l’estensione della mono­cultura della soia, con l’uso di sostanze chimiche come i fosfati e di piante genetica­mente modificate. In Indone­sia, invece,l’associazione rac­coglie donazioni per la prote­zione degli orang-utang del Borneo. Ma i soldi raccolti non si sa che fine facciano vi­sto che nessun progetto è sta­to avviato. In compenso la fi­liale locale, in cambio di so­stanziosi finanziamenti, ha dato il suo bollino di iniziati­va «ecologicamente sosteni­bile », riconoscimento utilissi­mo da spendere presso i con­sumatori occidentali, all’atti­vità di una società che disbo­sca la foresta primaria per so­stituirla con coltivazioni di olio di palma. In India a lamentarsi sono gli ecologisti locali. Il Paese è per il Wwf una specie di fiore all’occhiello: dal 1974 ha av­viato un progetto per la prote­zione della tigre. Il problema è che col tempo gli animali si sono trasformati solo in una preziosa fonte di reddito. Nel­la riserva che dovrebbe tute­larli l’associazione ha creato strutture turistiche e acqui­stato oltre 150 jeep con le qua­li i turisti più ricchi (la visita costa 10mila euro) possono scorrazzare in lungo e in lar­go contribuendo, secondo le accuse, alla distruzione del­l’habitat naturale. L’elenco potrebbe continuare e all’im­magine ecologista dell’asso­ciazione non giova che il suo vicepresidente internaziona­le, un americano, intervista­to nel documentario, si di­chiari risolutamente a favore delle coltivazioni genetica­mente modificate. Di fronte alla gragnuola di colpi l’associazione si difen­de citando alcuni errori fat­tuali e rivendicando la sua fi­losofia di fondo, ispirata al dialogo con le forze economi­che e le imprese: noi non sia­mo fondamentalisti come Greenpeace, è il ragionamen­to. E del resto per l’associazio­ne accuse di «collaborazioni­smo » con l’establishment in­dustriale non sono nuove. Da sempre il vertice interna­zionale vede la presenza di manager dell’economia e di esponenti di alcune delle fa­miglie più aristocratiche d’Europa. Agli occhi dei duri e puri dell’ecologismo mili­t­ante il peccato originale è ad­dirittura nel nome di alcuni dei soci fondatori, come il principe Bernardo d’Olanda e il principe Filippo d’Edim­burgo, che ne è stato a lungo presidente. Il marito della re­gina Elisabetta è stato tra l’al­tro un famoso cacciatore. Tanto da giustificare la mali­gnità di qualche rivale: voglio­no salvare gli animali, certo. Per ucciderli con una bella battuta di caccia di quelle di una volta.